Elogium
Tra le forme pubbliche della scrittura campeggiava un tempo l’elogium, un breve componimento in versi inciso su un cartiglio sotto la statua del defunto, in cui si esaltavano le sue benemerenze verso la patria. Oggi non ci son più statue, né cartigli, né poesie e nemmeno patria, ma si può ancora scrivere un elogio per soddisfare un debito di riconoscenza.
Pochi certo conoscono Oskar Faradine, Drago Floyd, John Bird, Kevin Mancuso, Frederic Sklonisko, O. J. Clarke, Raf Donato, Tom Salima, Robert Vip, Michael Wotruba, Stephen Benson, Dario Donati, John Shadow, Peter Newton, David Hills, Dick Spitfìre, Sarah Asproon, Chang Lee Sung; forse qualche attempato amante del genere ricorderà invece Joe d’Amato. Ebbene, son tutti eteronimi di una sorta di Pessoa del cinema italiano, Aristide Massaccesi, certo il più prolifico dei registi nostrani, se è vero che, a quanto si dice, nel corso della sua vita, interrottasi improvvisamente nel 1999, girò oltre duecento film, di cui fu spesso anche soggettista, sceneggiatore, produttore, direttore della fotografia, ogni volta con nomi diversi dettati da un inesausto furore mascheratorio, coadiuvato da fratelli e sorelle in una singolare azienda familiare del film erotico. Eh già, perché a scorrere i titoli del Nostro non si possono nutrire dubbi: Sollazzevoli storie di mogli gaudenti e mariti impenitenti, Novelle licenziose di vergini vogliose, Papaya dei Caraibi, La via della prostituzione, Immagini da un convento, L'alcova, Il piacere, Lussuria, Voglia di guardare, La monaca del peccato, Eleven days eleven nights eccetera eccetera.
Aveva esordito quindicenne, nel 1951, come assistente del fotografo di scena nella Carrozza d'oro di Jean Renoir; poi era stato fotografo di Godard, di Zeffirelli, di Mario Bava e di altri, finché all’inizio degli anni Settanta si mise in proprio e da allora per tre decenni sfornò un’impressionante sequela di b moovies d’ogni genere. Poco prima di morire rilascerà una lunga intervista filmata a Manlio Gomarasca e a Davide Pulici, che stanno ora curando la sua biografia: fu un tardivo riconoscimento del merito.
Del merito?! Quale merito, si chiederà, potrebbe mai avere un simile personaggio? Ebbene, per chi come lo scrivente è cresciuto in un periodo in cui nei portoni delle chiese comparivano delle bacheche con un elenco dei film proiettati nel borgo selvaggio, divisi in Visibili a tutti (un titolo ogni tanto), Visibili ai soli adulti (qualcosa in più), Sconsigliabili per tutti ed Esclusi per tutti (circa il novanta per cento della lista, e di codesto novanta tre quarti nell’ultima rubrica); chi ricorda i funzionari della Rai incaricati di verificare la trasparenza delle calze delle Gemelle e l’altezza della banda laterale delle loro mutande, o il Papa Buono che si mosse personalmente per far togliere dalle vie il manifesto di Poveri ma belli in cui compariva il generoso fondo schiena di Marisa Allasio; costui dunque non può non esser grato ad Aristide d’essergli stato con i suoi film di terza categoria singolare mistagogo dell’eros nel buio complice delle sale cinematografiche pomeridiane di quegli anni ormai lontani e non rimpianti, anche se son quelli della giovinezza, onde oggi paga volentieri con questo tardivo elogio il suo debito di riconoscenza all’autore di Emanuelle nera (si badi bene, con una enne sola!).
Miserrimus