"Il mondo mi vuole morto
e non lo sa"

(ricordando Pier Paolo Pasolini)

di Sergio Giuliani

 

Se ne parlava tanto; forse troppo. Te lo trovavi tra i piedi ovunque, dalla tv al Corriere della sera che non fece una piega ad accogliergli in prima pagina gli articoli che parevano e, forse, erano, conservatori; peggio! Reazionari per quegli anni. E poi, scrivere sul foglio di Tassan Din? (ma ve lo ricordate,il figuro?)! Era troppo per chi, come me, lo aveva incontrato e conosciuto ad una manifestazione da centomila persone a Milano, nei pressi di Piazza Piola dove eravamo stati inscatolati da polizia e da servizio d’ordine nostro,preoccupatissimo.

Aveva occhiali scuri e un’enorme macchina da ripresa cinematografica appollaiata su una spalla come un gran falco. Solito eskimo verdino, passava tra gli slogans senza voler sentire acidi commenti su di lui, “traditore” di giovani prostituiti e dell’ideologia di sinistra.

Aveva gli occhi alti alti nel teschio e disassati. Mentre parlava con quella sua voce tenera e raschiata, lo coprivano gli slogans dai molti megafoni e si spostava rapido, quasi ai margini della folla senza che lo vedessi adoperare la macchina da ripresa otturata.

Così me lo ricordo, anche fra sussurri ingenerosi. A me, gli articoli sul Corriere piacevano. Capivo che sognava un’innocenza prepolitica, una contestazione dai bordi netti che vedeva soltanto servi rimasti servi, che non volevano diventar padroni e padroni cocciuti e, quindi, perdenti. Il male era, per lui, il pasticcio dei ruoli, allorché il rivoltoso imparava la lingua e i metodi del padrone e diventava come lui, al peggio, dimenticando se stesso, ovvero le buone ragioni che lo muovevano naturalmente in un processo sociale che serbava i valori umani, li disincrostava e li rivalutava.

Era stato contro i ragazzi del ‘68, contro l’aborto e non soltanto per il gusto di andar contro tutto e tutti e, soprattutto, contro i propri compagni di idee. E’ un po’ vero che gli si attagliava il ruolo del perseguitato, del processato a vita, dello scacciato dal partito comunista: forse ci andava un poco a nozze con la discriminazione.

Ma forse no! Ottimo scrittore com’era (era nato poeta in friulano, stupendamente!) si era negato all’accademismo, al coltivarsi in vitro ed era passato, dopo i bellissimi romanzi giovanili “Il sogno di una cosa” e “Amado mio”, a schizzarsi volutamente col pantano della violenza di borgata e non solo e la violenza, l’inferno, come lo chiamava, non lo aveva più lasciato.

Mi arrabbiai con lui quando teorizzò la distruzione della tv e della scuola.

Ma forse? E la scuola di don Milani, che avevo tanto apprezzato, non era una non-scuola, un risarcimento e non una scatola-premio molto spesso non capita, non voluta e messa addosso come scapitozzare un gelso?

Mi parve volesse impoverire gli altri, lui che povero di cultura non era certo più. Ma poi capii. I fili della cultura, a tutti i livelli, sono retti dai pupari che, nel bene e nel male, fanno i programmi scolastici,le case editrici,il mercato librario (vedere adesso, come è scaduto il libro,coi “Meridiani” in edicola! Altro che promozione culturale a poco prezzo!) e gli indirizzi dei programmi tv (vedere adesso,tra fratelli,isole, marescialli, squadre e montalbani!) Si finisce, spesso, col far bere a forza chi non ha sete e chi, potesse, sceglierebbe altre bevande! Provocatoriamente, certo, perché Pasolini non ha mai negato la cultura, con fatica acquisita; se mai, ne ha combattuto il mercimonio Il due novembre del ‘75 mi telefonò un’alunna della classe parallela alla mia, Idana, che aveva collaborato alla messa in scena scolastica d’un testo “politico” (ma quale testo non lo è?) incollato dai ragazzi.

Aveva la voce giù. Mi chiese se andavo a casa sua,a parlare con loro di Pasolini.

C’erano i soliti ragazzi di scuola e il maestro Sidoti. Parlai poco o nulla e molto ascoltai. I ragazzi soffrivano e l’idea di una morte per politica tutto sommato pareva addolcirli: meglio che una violenza nata sul rischio delle scelte di Pier Paolo. I “grandi” sfilarono un poco il rosario delle accuse di diversità: poco “compagno”, dissero. Tutto sommato i ragazzi accettavano appieno l’esperienza umana, sociale ed artistica di Pasolini; i “grandi”, inconsciamente forse,l’avrebbero voluto “ripulire”. Omosesso e Corsera erano ancora due radicati nemici.

Sono passati trent’anni, da quel farsi sera, da quella veglia funebre e laica in casa di Idana, ad Albisola.

Ma per la scuola, che sapeva vivere e ritrovarsi insieme, allora, è passata un’era geologica. E quei ragazzi,anche per merito di civili ed umane emozioni, sono oggi dei meravigliosi adulti.

                                Sergio Giuliani