FOGLI MOBILI
La rubrica di Gloria Bardi
Una pubblicità inquietante
Passando in autobus, ho visto sui muri della nostra città una pubblicità che riproduce un’intera squadra di zelantissimi operai, con tanto di salvatesta rosso, nell’atto di darsi un gran da fare attorno a un bimbo che ride su un triciclo.
Non ho avuto modo di avvicinarmi e vedere se c’è qualche messaggio ulteriore nello scritto, al di là di uno slogan che corrisponde pienamente all’immagine ma che non saprei ora riprodurre alla lettera.
La scena personalmente mi risulta repulsiva, ma riproduce bene una maniera aberrante di prendersi cura dell’infanzia, abusandone, seppur “con tanto affetto”; ovvero soffocandola con prestazioni, protezioni, servizi e produzioni, che ne negano la dimensione più specifica, ovvero l’avventura di crescere.
A essere infatti sconcertante è che chi ha escogitato quel messaggio, l’ha ritenuto attraente per chi era destinato a raccoglierlo: mamme, papà, mondo adulto in generale.
Attraente perché capace di riflettere, pur con ironia, un’aspirazione generalizzata. E’ quest’aspirazione a preoccuparmi.
Ci affanniamo a circondare i bambini di pienezza, a strutturarne il tempo oberandolo di impegni, a evitare loro noia, solitudine e silenzio. E poi la tivù, e poi il pc, e poi il cell e gli sms: si è sempre collegati, si è sempre frastornati.
La scuola ci mette del suo con cose come i compiti delle vacanze, che spesso diventano vere ossessioni familiari.
Ma chi l’ha detto che la solitudine, il silenzio, l’assenza e perfino la noia siano sempre e comunque da evitarsi?
Sì, forse, “all’oratorio tra l’oleandro e il baobab”, senza “neanche un prete per chiacchierar”, la vita scorre lenta e si attraversano anche attimi di angoscia, però ci si ritrova; e ci si ritrova a riflettere, elaborare trame emozionali, logiche e affettive.
Si tesse la propria interiorità, la si definisce, la si cimenta.
Si assaporano nostalgie e voglie tutte leopardiane di saltare la siepe, con l’immaginare e con la progettazione di un agire futuro.
Si assapora l’importanza dell’altro, degli altri, data dal non essere lì, né raggiungibili, e, nel contempo, ci si costruiscono risorse interiori per l’elaborazione di lutti e di angosce che nessun frastuono riuscirà a evitarci.
E poi ci sono i rischi, che vanno calibrati ma non evitati: la campana di vetro, che impedisce al bambino di sperimentare, a rischio di qualche caduta, potrà risultare comoda per genitori che amano la loro tranquillità più di quanto amino i loro figli.
La protezione deve esserci, ma discreta, agita da lontano, e non essere d’ostacolo all’apprendimento attraverso tentativi ed errori, attraverso intelligenza e creatività, che è un diritto innegabile dei bambini. E quindi degli uomini che quei bambini diventeranno.
E lo stesso vale per il sacrificio, che non va risparmiato: tutto ciò che vale costa fatica e va conquistato.
A volere sono capaci tutti, i nostri piccoli cresciuti in un vivaio pubblicitario, lo sono più che mai: a conquistare sono capaci in pochi.
La facilità – disse qualcuno che ora non ricordo- è la più grande bugia che possiamo raccontare ai nostri figli.
E forse gliela raccontiamo per farci perdonare il fatto di non essere noi stessi diventati adulti.
I bambini di oggi sono poco cimentati dal punto di vista dei sacrifici costruttivi e sono invece investiti di disagi affettivi, crisi familiari mal gestite, adolescenza di ritorno dei genitori.
L’essenziale è che guardino altrove. L’imperativo è distrarsi.
Ma non è certo distraendosi che si trova equilibrio, salute, soluzione.
E’ necessario che i ragazzi sappiano che non esistono plotoni di facilitatori pronti ad affannarsi a pagamento attorno al loro triciclo. E che se esistono, non è bene ricorrervi.
E’ necessario che sappiano che la gran parte dipende da loro e che questo avviene anche quando rinunciano, in nome della comodità, alla regia della propria esistenza.
Credo che l’ immagine pubblicitaria da cui ho preso spunto vada valorizzata come l’icona negativa di ciò che non possiamo volere per i nostri figli, immagine di un falso puerocentrismo che, fingendo di mettere al centro il bambino –e al centro di un affanno isterico- ancora una volta lo sacrifica, e così l’uomo che quel bambino diventerà domani, senza essere stato veramente bambino, senza poter mai essere veramente adulto.
Gloria Bardi www.gloriabardi.blogspot.com