Sfida non raccolta
 
dal SECOLOXIX
 
Ha ragione Renzo Foa quando scrive sul Giornale che la Casa delle libertà ha perso le due grandi scommesse del rilancio dell'economia e della sfida culturale lanciata a una sinistra da anni egemone nell'editoria, nella scuola, nell'università. Avrebbe, però, dovuto ricordare che la sfida culturale, a livello televisivo, aveva ben poche possibilità di vittoria. E a causa del conflitto di interessi, che non è certo un'invenzione dell'Ulivo.
Mediaset, infatti, ha imposto un modello di tv commerciale vincente per le casse del Cavaliere ma, a dir poco, estremamente volgare per quanto riguarda lo stile e i contenuti degli spettacoli di varietà, e appena passabile per quanto riguarda la divulgazione scientifica e il resto. La tv pubblica, non solo sotto il governo di centro destra, non ha trovato di meglio che di inseguirla sul suo terreno in una concorrenza spietata per assicurarsi le star del momento. Anche quando erano bollite e ridotte a essere i fantasmi di se stesse, come nel caso di Adriano Celentano. Ma con che faccia Berlusconi si lamenta del super Molleggiato nazionale, quando i dirigenti televisivi della sua scuderia relegano le trasmissioni di un autentico professionista come Renzo Arbore a notte fonda? Celentano lo ha attaccato? Bene, non gli mancano le risorse (e le reti!) per contrapporre a Rockpolitik uno spettacolo di segno eguale e contrario da mandare in onda nelle ore di maggiore ascolto. Sarebbe una forma credibile di par condicio.
Senonchéè proprio la par condicio la bestia nera del premier. A capo di un'area politica sempre più svuotata di contenuti culturali, è un venditore che vuole accaparrarsi i vecchi guitti che fanno audience, e non un imprenditore capace di inventarsene di nuovi e di correre il rischio di lanciarli sul mercato mass-mediatico. Insomma gli starebbe bene anche il Celentano di oggi purché facesse il suo gioco. Da qui le sue assurde liste di proscrizione che fanno diventare giganti comici e giornalisti che alla Bbc non potrebbero fare neppure gli uscieri.
C'è un nesso forte tra l'incapacità irrimediabile di Berlusconi a fronteggiare le sfide ricordate dall'ottimo Renzo Foa e il suo attacco alla par condicio. Qual è, infatti, la filosofia della par condicio se non il congelamento dell'esistente? Se tu rappresenti il trenta per cento dell'elettorato devi disporre del trenta per cento di spazi mediatici, se rappresenti il cinque per cento hai diritto a non più del cinque per cento.
E' la stessa logica di quel tale che, nella Germania degli anni Trenta, si chiedeva come mai gli ebrei fossero così sovrarappresentati ai piani alti della cultura, della finanza e del giornalismo: se erano il sei per cento della popolazione perché all'università salivano al venti per cento?
Lungi da me l'idea malsana di equiparare il premier a Hitler, ma non posso non ricordare che nella società aperta tutti i concorrenti dovrebbero avere il piede sulla stessa linea di partenza, almeno se la competizione si svolge in uno spazio pubblico - la tv di Stato - e la posta in gioco è il governo del Paese.
Le formazioni che hanno raccolto il sufficiente numero di firme richieste per presentare una lista, in teoria potrebbero proporre agli elettori programmi politici in grado di risollevare il Paese dalla crisi in cui si trova. In base a quale ratio quei programmi dovrebbero essere illustrati 5 minuti contro ai 45 concessi ai partiti maggiori? E' il carattere stesso dell'informazione televisiva che esige la par condicio. Il servizio pubblico guarda ai diritti non al mercato: l'università dà al docente di sanscrito pochissima audience, lo stesso stipendio che dà al docente di diritto privato che fa lezione in un anfiteatro.
Si ha davvero una profonda disistima degli elettori se si ritiene che l'esposizione televisiva dei concorrenti comporti una emorragia di voti a vantaggio di questi ultimi. Ed è ben paradossale che a ostacolare i disegni del Cavaliere siano i vecchi democristiani dell'Udc.



(Dino Cofrancesco)