|
Ha ragione Renzo Foa quando scrive sul Giornale che
la Casa delle libertà ha perso le due grandi scommesse del
rilancio dell'economia e della sfida culturale lanciata a
una sinistra da anni egemone nell'editoria, nella scuola,
nell'università. Avrebbe, però, dovuto ricordare che la
sfida culturale, a livello televisivo, aveva ben poche
possibilità di vittoria. E a causa del conflitto di
interessi, che non è certo un'invenzione dell'Ulivo.
Mediaset, infatti, ha imposto un modello di tv commerciale
vincente per le casse del Cavaliere ma, a dir poco,
estremamente volgare per quanto riguarda lo stile e i
contenuti degli spettacoli di varietà, e appena passabile
per quanto riguarda la divulgazione scientifica e il resto.
La tv pubblica, non solo sotto il governo di centro destra,
non ha trovato di meglio che di inseguirla sul suo terreno
in una concorrenza spietata per assicurarsi le star del
momento. Anche quando erano bollite e ridotte a essere i
fantasmi di se stesse, come nel caso di Adriano Celentano.
Ma con che faccia Berlusconi si lamenta del super
Molleggiato nazionale, quando i dirigenti televisivi della
sua scuderia relegano le trasmissioni di un autentico
professionista come Renzo Arbore a notte fonda? Celentano lo
ha attaccato? Bene, non gli mancano le risorse (e le reti!)
per contrapporre a Rockpolitik uno spettacolo di segno
eguale e contrario da mandare in onda nelle ore di maggiore
ascolto. Sarebbe una forma credibile di par condicio.
Senonchéè proprio la par condicio la bestia nera del
premier. A capo di un'area politica sempre più svuotata di
contenuti culturali, è un venditore che vuole accaparrarsi i
vecchi guitti che fanno audience, e non un imprenditore
capace di inventarsene di nuovi e di correre il rischio di
lanciarli sul mercato mass-mediatico. Insomma gli starebbe
bene anche il Celentano di oggi purché facesse il suo gioco.
Da qui le sue assurde liste di proscrizione che fanno
diventare giganti comici e giornalisti che alla Bbc non
potrebbero fare neppure gli uscieri.
C'è un nesso forte tra l'incapacità irrimediabile di
Berlusconi a fronteggiare le sfide ricordate dall'ottimo
Renzo Foa e il suo attacco alla par condicio. Qual è,
infatti, la filosofia della par condicio se non il
congelamento dell'esistente? Se tu rappresenti il trenta per
cento dell'elettorato devi disporre del trenta per cento di
spazi mediatici, se rappresenti il cinque per cento hai
diritto a non più del cinque per cento.
E' la stessa logica di quel tale che, nella Germania degli
anni Trenta, si chiedeva come mai gli ebrei fossero così
sovrarappresentati ai piani alti della cultura, della
finanza e del giornalismo: se erano il sei per cento della
popolazione perché all'università salivano al venti per
cento?
Lungi da me l'idea malsana di equiparare il premier a Hitler,
ma non posso non ricordare che nella società aperta tutti i
concorrenti dovrebbero avere il piede sulla stessa linea di
partenza, almeno se la competizione si svolge in uno spazio
pubblico - la tv di Stato - e la posta in gioco è il governo
del Paese.
Le formazioni che hanno raccolto il sufficiente numero di
firme richieste per presentare una lista, in teoria
potrebbero proporre agli elettori programmi politici in
grado di risollevare il Paese dalla crisi in cui si trova.
In base a quale ratio quei programmi dovrebbero essere
illustrati 5 minuti contro ai 45 concessi ai partiti
maggiori? E' il carattere stesso dell'informazione
televisiva che esige la par condicio. Il servizio pubblico
guarda ai diritti non al mercato: l'università dà al docente
di sanscrito pochissima audience, lo stesso stipendio che dà
al docente di diritto privato che fa lezione in un
anfiteatro.
Si ha davvero una profonda disistima degli elettori se si
ritiene che l'esposizione televisiva dei concorrenti
comporti una emorragia di voti a vantaggio di questi ultimi.
Ed è ben paradossale che a ostacolare i disegni del
Cavaliere siano i vecchi democristiani dell'Udc.
(Dino Cofrancesco)
|
|