FOGLI MOBILI
La rubrica di Gloria Bardi
Solamente “vecchi”
L’immedesimazione, frutto della capacità di immaginare, è molto importante per attivare corde morali e per indurre a comportamenti solidali.
Si tratta esattamente di quello stesso gioco del “facciamo che eravamo”, con cui i bambini si attrezzano per la vita e nello stesso tempo rivestono via via panni differenti, cogliendo il mondo da varie angolature.
Sì, perché se una volta ti tocca la parte di cappuccetto, la volta dopo magari ti ritrovi nei panni del lupo o del cacciatore o della nonna.
Ecco: fermiamoci sulla nonna.
Avete mai provato, se anagraficamente non lo siete ancora, a immedesimarvi nella condizione di un anziano e, con addosso quei panni mentali, girare la vostra città?
La troverete spesso indecifrabile, spesso nemica, spesso disperante.
Come altrimenti si può definire uno spazio di vita comunitaria che sempre più spesso dà per scontata la generale padronanza dell’inglese, o che dissemina ovunque infernali automatismi, tali da indurre in soggezione chiunque, ma un anziano di più.
Provate ad andare alle poste, ad esempio, luogo frequentatissimo dai pensionati.
O in una stazione ferroviaria.
Provate a compilare un modulo. Provate a leggere il libretto di istruzioni di un elettrodomestico.
Per non dire che non esistono più le care vecchie cabine telefoniche e stanno per tramontare i benzinai, quelli che ti chiedono “quanto?” e poi, se sono davvero gentili, ti lavano anche il vetro.
Non scrivo questo per fare l’amarcord dei bei tempi antichi, in genere non ho il vizietto della nostalgia, ma lo scrivo perché ritengo che la trasformazione delle città da luoghi d’abitudine a luoghi di tecnologia, se tiene conto di criteri funzionali ed economici, non tiene conto dell’esistenza degli anziani, una fascia difficilmente riconvertibile, lasciata a se stessa, alla deriva della modernità.
La città si presenta labirintica, spazio impietoso e impaziente di nuovi sviluppi, dove i vecchi non possono che sentirsi appunto vecchi, inadeguati, smarriti, drammaticamente soli, frastornati al di là di quanto l’età spesso comporta, “come fossero vuoti a perdere” secondo un bel testo di Baglioni.
Ingombranti, così si sentono, in una società che parla di loro solo in termini di “problema”, mai in termini di valore.
In un mondo fatto a immagine e somiglianza di chi smanazza il cell, di chi frequenta il pc, di chi naviga in Internet, di chi “speak english”, e altre piacevolezze della più recente e invasiva contemporaneità, come possono i nonni dialogare coi nipoti se i loro linguaggi e il loro immaginario si è divaricato fino all’incomunicabilità?
I nonni, con le loro “lungaggini” che nessun cosmonauta del tempo reale ha la pazienza di stare ad ascoltare, di predisporsi a raccogliere.
I “vecchi” sono una risacca del passato, ad estinzione, delle cui ragioni antieconomiche nessuno si cura veramente, l’unica cosa che ci si preoccupa di offrire loro è un’animazione fracassona ed estemporanea, fatta per distrarli da se stessi e render loro meno gravosa l’emarginazione. O l’ allestimento di Residenze Protette, spesso talmente tali da diventare “ghetti” dove si gestisce la sopravvivenza ma non si offrono chances di vita significante.
L’umanità in delirio di onnipotenza non sopporta il declino e gli uomini vivono nella costante rimozione del fatto che tutti dovranno avviarvisi, trasformandosi inesorabilmente da “dimenticanti” in “dimenticati”.
Allora, nel ruolo del “vuoto a perdere” sarà troppo tardi per l’immedesimazione; il gioco del “facciamo che eravamo” funziona e fa crescere e apporta saggezza e buona intraprendenza solo fintanto che non si realizza il “non possiamo essere altro che quello che siamo”: vecchi.
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Gloria Bardi www.gloriabardi.blogspot.com