Nel rigore di Cofferati la resa dei conti delle due sinistre 
dal SECOLOXIX
 

Un tempo era «Zangherì-Zangherà», ricordate? Oggi, come allora, «Bologna è rossa, ma rossa di vergogna», più«Ds-Ss» e altri slogan del genere; comunque sia la "capitale" dell'Emilia-Romagna si conferma un epicentro dello scontro tra la sinistra istituzionale e di governo (o riformista), da una parte, e i movimenti antagonisti e la sinistra radicale, dall'altra. Una città sulla quale pesa - e si ripresenta puntualmente - l'eredità del '77, una data che vale molto più di un anno e che vide proprio Bologna quale teatro di un celebre convegno "Contro la repressione" (con la presenza, tra gli altri, dello psicanalista e filosofo francese, Félix Guattari, il sodale di Gilles Deleuze, e l'appoggio delle vedette dell'intellighentzia parigina, da Sartre e Foucault sino Barthes). Un anno che diede il via a una stagione, fatta di creatività - Radio Alice, la scoperta delle tecnologie e della comunicazione, il Dams, gli "indiani metropolitani", l'underground, la sinistra libertaria, Andrea Pazienza e il fumetto, l'"orda d'oro" di Nanni Balestrini e Primo Moroni - ma sulla quale calarono l'ombra della P38 e della violenza politica, e un estremismo che vedeva il nemico innanzitutto nell'altra sinistra.
Tra piazza Verdi e i portici di via Zamboni, nella zona universitaria dove si concentrano quei drop out e punkabbestia che fanno infuriare il "bolognese medio" e a cui il sindaco Sergio Cofferati ha dichiarato metaforicamente guerra, il regista Guido Chiesa ha non a caso ambientato il suo ultimo film, Lavorare con lentezza, una nostalgica rievocazione della "parte buona" di quell'epoca, mutuando il titolo da un celeberrimo slogan diffuso via etere da Radio Alice.
Oggi, come allora, dunque, si confrontano due sinistre: il "rigorismo civico" (una tradizione tipica del Partito comunista italiano) impugnato da Cofferati (e che pare riscuote molti consensi "traversali" in città), e un fronte composto da no global, Rifondazione e singole personalità della sinistra radicale - che si dichiarano in qualche modo eredi del Movimento del Settantasette. Sul palcoscenico bolognese a questi ultimi si aggiungono, poi, anche vari mal di pancia interni ai Democratici di sinistra e il dissenso - magari a denti stretti - di vari cattolici perplessi riguardo la versione Law and order del sindaco.
Dopo gli scontri di ieri sotto palazzo D'Accursio - la sede del Comune - l'attenzione è concentrata sull'ordine del giorno e il documento relativo alla legalità che dovrebbe andare in votazione il 2 novembre in consiglio comunale. Ma la resa dei conti sembra destinata, dal livello di tensione che si respira in città ad arrivare ben prima. E a dividere opinion-maker, salotti buoni e intellettuali di una città che pullula di scrittori (da Pino Cacucci alla Grazia Verasani dal cui Quo vadis baby? è stato tratto l'omonimo film di Gabriele Salvatores) e artisti (Antonio Albanese, in primis, che continua a dichiararsi felice di vivere a Bologna).
Riformismo e radicalismo sono, quindi, impossibilitati a convivere in quello che è sempre stato considerato - pur se oggi un po' "acciaccato" - il "laboratorio" del progressismo e del centrosinistra (prestando così il fianco alle critiche provenienti da destra che vedono nel conflitto di queste giornate un preludio a quanto accadrebbe in un prossimo governo Prodi)?
In una città abituata da tempo immemorabile a sentirsi particolare - quella che potremmo chiamare l'"eccezione bolognese", parafrasando un'altra famosa peculiarità - bisogna rigorosamente tenere conto anche dei singoli e delle loro storie. E, dunque, se sul capoluogo emiliano-romagnolo si è certamente proiettata l'ombra lunga del conflitto tra due "deus ex machina" della politica nazionale - Cofferati e Fausto Bertinotti (che, nella recente campagna per le primarie dell'Unione, proprio a Bologna, dovette subire la contestazione dei sostenitori di Simona Panzino, la "candidata" senza volto di una parte della galassia no global, a sua volta piuttosto frantumata) - nelle vicende felsinee giocano molto le situazioni locali e gli individui.
Gli ex del '68 e del '77 si sono divisi: alcuni si sono ritirati "a vita privata" (il ben noto "riflusso"), altri sono andati a far politica a tempo pieno tra partiti e istituzioni, altri ancora hanno scelto di continuare a movimentare la scena pubblica bolognese tra associazioni, società civile, sindacato. Per un Gianni Sofri, docente universitario e fratello di Adriano, che è presidente del Consiglio comunale, c'è un Tiziano Loreti, diventato segretario provinciale di Rifondazione comunista, che è stato ricoverato in ospedale dopo aver ricevuto una manganellata nei tafferugli dell'altro giorno. Per un Diego Benecchi, già leader di Lotta continua, che ha fatto il suo ingresso nell'ex partito avversario (Pci-Pds-Ds), divenendone dirigente, per poi fondare "Nuovamente", un'associazione di sinistra definita dagli avversari la "Compagnia delle opere rossa", c'è un Bifo (alias Franco Berardi), in prima fila nella manifestazione dei collettivi studenteschi contro Cofferati, che continua a fare il guru della sinistra alternativa, dissidente e "nomade" (arrivando a dichiarare, come poco tempo fa, di «rimpiangere Guazzaloca», il precedente sindaco, il primo non postcomunista della storia cittadina).
Sull'onda dell'attenzione alle tecnologie della comunicazione, infatti, alcuni ex sono diventati pubblicitari di grido (Andrea Roversi) e altri si sono gettati nella Rete (Roberto Grandi, attualmente prorettore dell'università e già consulente di immagine di Prodi) o hanno inventato le tv di strada (il filosofo Stefano Bonaga, già assessore all'Innovazione della giunta Vitali, celebre per una lunga relazione con Alba Parietti), dando vita a una "cyber-sinistra" specificamente bolognese.
I disobbedienti, che rivendicavano buona parte dell'eredità del '77, si sono sciolti anche a Bologna, mentre i loro leaderini continuano a orientare i centri sociali e a fare politica, individuando il nuovo obiettivo da sconfiggere nella linea politica del sindaco. Ad accomunare vecchi esponenti e nuovi eredi del '77, (con le debite eccezioni) è, dunque, l'acrimonia nei confronti di Cofferati. Prima (all'epoca in cui portò 3 milioni di italiani in piazza), accusato di «giacobinismo inutile» e, ora, di essere un «riformista di destra», un «Tarquinio il superbo» e un «monarca assoluto». Ieri contro la «repressione» e Zangheri, oggi contro gli sgomberi e la «ruspa democratica» cofferatiana.


MASSIMILIANO PANARARI
26/10/2005