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Etica e politica. Dei due termini, che hanno dato il titolo
al più bel libro che Benedetto Croce abbia mai scritto, si
può dire ciò che un tempo si diceva della differenza
sessuale: è qualcosa che il genere umano si porterà dietro
ancora per un bel pezzo. Il loro rapporto potrebbe
costituire il filo rosso che, intrecciandosi in modi e stili
diversi, segna e identifica le varie stagioni dello spirito
occidentale. Semplificando un discorso estremamente
complesso, non pare azzardato affermare, infatti, che le
epoche più creative dell'Occidente sono state caratterizzate
dal loro bilanciamento laddove la libertà e il sapere hanno
corso rischi mortali quando l'uno ha cercato di cancellare e
di sopraffare l'altro.
L'eticizzazione della politica - la politica al
servizio della rigenerazione morale del consorzio sociale,
in nome di una religione divina o terrena - porta al
fanatismo; la politicizzazione dell'etica - l'impegno
morale che si esaurisce nel contributo all'unità e alla
potenza della propria tribù - porta al cinismo. Ben si
comprende, pertanto, come una parte rilevante del pensiero
politico (e giuridico), dall'antichità a oggi, sia
caratterizzata dalla preoccupazione di sostenere il termine,
di volta in volta, più debole al fine di ristabilire un
equilibrio ritenuto cruciale per le sorti della nostra
civiltà.
Il mito in cui la dialettica etica/politica trova la sua
espressione più alta è rappresentato da "Antigone", l'eroina
che, nella tragedia di Sofocle (442 a.C.), incarna le
ragioni della morale contro le ragioni della politica. Com'è
noto, la figlia di Edipo al reggitore di Tebe, lo zio
materno Creonte, autore di una legge che vieta di dar
sepoltura al fratello Polinice, morto nel tentativo di
distruggere la città e di abbattere i templi degli dei,
contrappone gli agrafoi nomoi, le leggi non scritte
ma di origine divina che le impongono, invece, il gesto
pietoso. La vicenda - che «ha creato da subito e poi per
venticinque secoli, una circolarità di rapporti e di saperi»
- viene rievocata oggi, alle ore 17, con la partecipazione
di Gustavo Zagrebelsky e di altri noti studiosi, nell'Aula
Magna dell'Università di Genova, in occasione della
presentazione del volume "Antigone. Il mito, il diritto, lo
spettacolo" (Ed. De Ferrari), curato da Margherita
Rubino e da Mariangela Ripoli, una filosofa del diritto,
prematuramente scomparsa, di grande probità intellettuale e
di stile schivo e riservato.
Sarebbe impresa ardua dar conto, in breve spazio, della
straordinaria ricchezza degli interventi raccolti nel testo
e firmati da giuristi, da storici della letteratura e del
teatro, da saggisti, da filosofi. Nella grande varietà di
metodi e di approcci analitici, essi testimoniano il fascino
intramontabile che continua a esercitare Antigone ma,
altresì, gli equivoci che ancora si addensano sulla sua
figura tragica. Opportunamente, Flavio Baroncelli, a
conclusione di una lettura esemplare del testo sofocleo,
scrive «che Antigone c'entra qualcosa con la libertà» ma
solo se s'intende, con "libertà", «la capacità di
disobbedire, a qualsiasi costo, a un comando che si sente
come illegittimo» e, per fare da pendant, altrettanto
opportunamente, Walter Lapini avverte che Creonte non è il
tiranno perfetto ma lo zelota della legge, la cui colpa
è la mediocrità che non gli consente di sospendere il
diritto in nome della pietas familiare.
Si riconferma, insomma, la geniale intuizione hegeliana che
la vera tragedia non sta nello scontro di un torto e di una
ragione ma nel confronto di due ragioni, giusta quel
pluralismo etico o politeismo dei valori, che sembra
iscritto da sempre nel dna occidentale e che Mauro Barberis
ci ricorda, con le citazioni di Isaiah Berlin e di Max
Weber.
(Dino Cofrancesco)
25/10/2005
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