A caccia di equilibrio
 
dal SECOLOXIX
 
Etica e politica. Dei due termini, che hanno dato il titolo al più bel libro che Benedetto Croce abbia mai scritto, si può dire ciò che un tempo si diceva della differenza sessuale: è qualcosa che il genere umano si porterà dietro ancora per un bel pezzo. Il loro rapporto potrebbe costituire il filo rosso che, intrecciandosi in modi e stili diversi, segna e identifica le varie stagioni dello spirito occidentale. Semplificando un discorso estremamente complesso, non pare azzardato affermare, infatti, che le epoche più creative dell'Occidente sono state caratterizzate dal loro bilanciamento laddove la libertà e il sapere hanno corso rischi mortali quando l'uno ha cercato di cancellare e di sopraffare l'altro.
L'eticizzazione della politica - la politica al servizio della rigenerazione morale del consorzio sociale, in nome di una religione divina o terrena - porta al fanatismo; la politicizzazione dell'etica - l'impegno morale che si esaurisce nel contributo all'unità e alla potenza della propria tribù - porta al cinismo. Ben si comprende, pertanto, come una parte rilevante del pensiero politico (e giuridico), dall'antichità a oggi, sia caratterizzata dalla preoccupazione di sostenere il termine, di volta in volta, più debole al fine di ristabilire un equilibrio ritenuto cruciale per le sorti della nostra civiltà.
Il mito in cui la dialettica etica/politica trova la sua espressione più alta è rappresentato da "Antigone", l'eroina che, nella tragedia di Sofocle (442 a.C.), incarna le ragioni della morale contro le ragioni della politica. Com'è noto, la figlia di Edipo al reggitore di Tebe, lo zio materno Creonte, autore di una legge che vieta di dar sepoltura al fratello Polinice, morto nel tentativo di distruggere la città e di abbattere i templi degli dei, contrappone gli agrafoi nomoi, le leggi non scritte ma di origine divina che le impongono, invece, il gesto pietoso. La vicenda - che «ha creato da subito e poi per venticinque secoli, una circolarità di rapporti e di saperi» - viene rievocata oggi, alle ore 17, con la partecipazione di Gustavo Zagrebelsky e di altri noti studiosi, nell'Aula Magna dell'Università di Genova, in occasione della presentazione del volume "Antigone. Il mito, il diritto, lo spettacolo" (Ed. De Ferrari), curato da Margherita Rubino e da Mariangela Ripoli, una filosofa del diritto, prematuramente scomparsa, di grande probità intellettuale e di stile schivo e riservato.
Sarebbe impresa ardua dar conto, in breve spazio, della straordinaria ricchezza degli interventi raccolti nel testo e firmati da giuristi, da storici della letteratura e del teatro, da saggisti, da filosofi. Nella grande varietà di metodi e di approcci analitici, essi testimoniano il fascino intramontabile che continua a esercitare Antigone ma, altresì, gli equivoci che ancora si addensano sulla sua figura tragica. Opportunamente, Flavio Baroncelli, a conclusione di una lettura esemplare del testo sofocleo, scrive «che Antigone c'entra qualcosa con la libertà» ma solo se s'intende, con "libertà", «la capacità di disobbedire, a qualsiasi costo, a un comando che si sente come illegittimo» e, per fare da pendant, altrettanto opportunamente, Walter Lapini avverte che Creonte non è il tiranno perfetto ma lo zelota della legge, la cui colpa è la mediocrità che non gli consente di sospendere il diritto in nome della pietas familiare.
Si riconferma, insomma, la geniale intuizione hegeliana che la vera tragedia non sta nello scontro di un torto e di una ragione ma nel confronto di due ragioni, giusta quel pluralismo etico o politeismo dei valori, che sembra iscritto da sempre nel dna occidentale e che Mauro Barberis ci ricorda, con le citazioni di Isaiah Berlin e di Max Weber.



(Dino Cofrancesco)
25/10/2005