TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni 

 

FOGLI MOBILI

La rubrica di Gloria Bardi

E poi riparleremo di scuse…

 

  Vorrei, con tutta la modestia e il rispetto per l’universo mondo di cui sono capace, aggiungere retroattivamente i miei fischi a quelli rivolti da un gruppo di “indisciplinati” al cardinale Camillo Ruini qualche tempo fa.

Fischi che hanno provocato il richiamo e il rimbrotto di tanti politici, Romano Prodi compreso, pronti a scusarsi con il porporato, peraltro non imporporato per il fastidioso fuori scena.

Ma cari signori della politica, che altro ci concedete di fare?

Quale altra voce ci è data per far valere la causa, quella sì sacrosanta, della laicità?

Per difendere quel bandolo di illuminismo che l’Italia bene o male  è riuscita ad accaparrarsi nel corso della sua incespicante emancipazione?

Che altro, con una Chiesa infiltrata capillarmente nelle maglie del potere economico, finanziario, politico (si veda il recente articolo sul Venerdì di Repubblica), così da condizionarlo fortemente e renderlo, a immagine e somiglianza del cattolicesimo dottrinale e istituzionale, essenzialmente “feudale”?

Si tratta di un magistero privo, a differenza del protestantesimo, di una consistente etica della responsabilità pubblica, tanto da battezzare senza ribrezzi i vari Fazio e Fiorani, per non parlare degli Andreotti e simili, ovvero personaggi tutti devotamente praticanti pubblici maneggi e private comunioni.   

Il potere cattolico rivendica oggi, in una società che, dopo le rivoluzioni storico-culturali dell’età moderna, è fondata sul diritto, le non-ragioni del privilegio.

Le rivendica a dispetto della natura multiideologica e multiculturale di questa stessa società. 

Le rivendica, rispolverando vetusti strumenti di dominio: indice dei libri proibiti, scomunica, indulgenze e schierando le divisioni degli esorcisti.

E le rivendica a prezzo di  nozze maledette.

Mi riferisco a quelle col neo-liberismo berlusconiano che, come il dio-mercato vuole, ha bisogno di illiberalità e di strumenti di dominio delle coscienze.

Neo-liberismo e teo-conservazione si alleano,  a costituire, scambiandosi i favori ed innestandosi su un DNA storico di tipo feudale, quel pastiche paternalistico, illiberale e biecamente egoistico che è l’Italia odierna.

Avvilente melange di edonismo consumato e moralismo predicato.  

Un’Italia che, risalendo addirittura la rivoluzione francese, tira fuori dal cilindro l’esenzione fiscale per il clero, con l’estensione alle altre chiese a fare da schermo.

A questo proposito lode e gloria ai Valdesi, che non si sono prestati al gioco e hanno opposto un dignitoso “no, grazie”.

Magari lo facessero anche gli insegnanti di religione passati iniquamente di ruolo, ma non ci si può aspettare dalle debolezze dei singoli quello che si deve esigere dal potere responsabile (che ci deve risposte) dei politici. 

Un’Italia ipocrita, dove si vieta per legge quell’eterologa che qualunque donna si è sempre concessa e sempre  si concederà con un bell’adulterio, dove si vieta ciò che è possibile (e comprabile) nel resto d’Europa, dove si dice no alla ricerca ma non si dirà no ai suoi eventuali risultati.

Ipocrisia che  prende mostruosamente corpo nella pedofilia diffusa negli angoli bui di  quello stesso clero che poi dal pulpito tuona contro il disordine rappresentato dall’omosessualità, contro la rilassatezza dei costumi e magari a favore del celibato ecclesiastico.  

E la Chiesa rivendica il privilegio a costo di affidarsi a imbarazzanti ma non scomunicati crociati e improbabili “defensores fidei”, quali i Borghezio, i Bossi, i Giuliano Ferrara o anche l’allegra schiera di divorziati e magnaccia d’alto bordo che dai palazzi alti sorreggono, politicamente parlando, il seggiolone papale.  

E infine la Chiesa rivendica il privilegio contro la stessa valenza religiosa e morale del proprio messaggio, a cui contraddice profondamente essere imposto per legge. Una religione che ha bisogno di spada è morta e sconfitta, non crede a se stessa, o non crede agli uomini a cui si rivolge.

Dio ha imposto ad Adamo ed Eva di non mangiare il frutto del fatidico albero ma non

ha messo i fili spinati tra i suoi rami, né l’ha sradicato dall’Eden, come abbiamo fatto noi con la fecondazione assistita o con la pillola abortiva e come qualcuno si prepara a fare con l’aborto.

Le scelte morali devono restare appunto scelte anche perché solo così sono appunto morali e meritevoli.

Mi aspetterei proprio dai cattolici illuminati una difesa della gratuità della loro fede, un’espressione contro il privilegio preteso e negoziato nei palazzi dei potenti nella Roma dei Ratzinger. 

Nessuno, parlando a nome della laicità, intende negare ai vescovi l’insegnamento morale, il magistero religioso, ma ne nega la trasformazione in materia di potere, imposta a chi ha visioni differenti della vita e diverse prospettive valoriali.

Laicità significa libertà di espressione e di opinione e rispetto per le diverse idee di felicità e di realizzazione delle aspirazioni umane, dove queste siano socialmente compatibili.

Ma in Italia siamo analfabeti della laicità, dal momento che siamo cresciuti nel vivaio del privilegio cattolico e non siamo neppure più in grado di riconoscerlo, abituati ad accettare come cosa normale che, ad esempio, tutti, atei e buddisti compresi, paghino con le tasse gli stipendi degli insegnanti di religione.

O che la stragrande maggioranza dell’8 per mille delle tasse sia destinato per vie dirette e indirette alla Chiesa Cattolica, o comunque ad altre chiese (schermo), senza includervi associazioni laiche di volontariato, dove quella minoranza discriminata che sono, a dispetto dell’articolo 3 della Costituzione, agnostici e atei possano meglio riconoscersi.

E i nostri politici, avendo consentito questa trama di ordinaria e straordinaria ingiustizia, pretendono pure che stiamo compostini compostini  e non fischiamo!

Ricordo un convegno di bioetica a Finale Ligure con la partecipazione del vescono Bertone: nel suo intervento, presentato come  ispirato dello spirito santo, ha detto cose discutibili, anche citando scorrettamente Kant (ma magari lo Spirito Santo non ha letto, come noi poveri professorini di filosofia, la Critica della Ragion Pratica), e poi se ne è andato sottraendosi al dibattito: concetto medievale di auctoritas, ovvero “ipse dixit”.

Per carità, ognuno, compreso il Cardinale, è libero di porsi come ritiene di doversi porre, ma la democrazia ha il dovere di essere altro.

La democrazia è il governo fondato sul dialogo. Diversamente, non è. 

Ecco perché voglio aggiungere la frustrazione, ché di questo si tratta, dei miei fischi a quelli incriminati, se i fischi sono l’unica forma di espressione del dissenso che ci rimane.

Ma li intendo rivolti oltre che al Vescovo, e più ancora che a lui, che comunque fa il suo mestiere, ai politici che non ci tutelano, che  pesano la nostra fettina di illuminismo nel borsino dei voti e confezionano il loro bravo piatto di lenticchie per vincere vincere vincere le elezioni. E perdere la ragione.

Ma, a ben vedere, dovrebbero scusarsi con noi per quei fischi a cui ci hanno indotto con la loro irresponsabilità e che certo non avrebbero dovuto essere.

Invece se ne dissociano scuri in volto, come imbronciati papà che si scusano e spingono i figli monelli, che hanno fatto pipì sul muro dell’oratorio, a chiedere scusa al prevosto.

Metteteci in condizione di non dover fischiare, cari signori che ci chiedete il voto, da sinistra e da destra, puntellate i diritti, create presupposti al costituirsi di una società pluralista, sconfessate le non ragioni del privilegio e della prepotenza ideologica, e poi  riparleremo di scuse.    

  Gloria Bardi   www.gloriabardi.blogspot.com