Legge urbanistica:
assalto alle città Dopo tagli e privatizzazioni, ecco
il colpo di grazia alle comunità locali. Già
approvata alla camera, sta arrivando al senato la legge urbanistica firmata
da Maurizio Lupi, deputato di Forza Italia, con amici anche a sinistra.
L'analisi, e la denuncia, di un grande urbanista di Vezio De Lucia Non so se il marasma che scuote governo e maggioranza travolgerà anche il
cosiddetto disegno di legge Lupi in discussione al senato, che è stato
approvato alla camera alla fine del mese di giugno. Ma anche se così fosse
non possiamo metterci una pietra sopra. Non possiamo perché la proposta -un micidiale esempio di quel «riformismo
eversivo» che guida l'azione dell'attuale maggioranza - ha goduto del
sostanziale consenso di importanti settori del centrosinistra [in
particolare della Margherita], dell'Istituto nazionale di urbanistica [ormai
collaterale al centrodestra] e del fragoroso silenzio della stampa [salvo
pregiate eccezioni]. Perciò non è difficile prevedere che sarà nuovamente
all'ordine de] giorno, seppure in un diverso assetto governativo e sotto
mutate spoglie. Il disegno di legge prende il nome dal suo principale artefice, Maurizio
Lupi, deputato di Forza Italia, negli anni passati assessore del comune di
Milano, ispiratore dell'urbanistica contrattata di rito ambrosiano. A
Milano, infatti, il Piano regolatore è una specie di rovina archeologica. Il capoluogo lombardo non è mai stato un modello di rigorosa
amministrazione urbanistica. La tradizione, grazie anche a nuovi
provvedimenti regionali, raggiunge oggi soglie estreme. Progetti e programmi
pubblici e privati non sono tenuti a uniformarsi alle prescrizioni del Piano
regolatore ma, al contrario, è il Piano regolatore che si deve adeguare ai
progetti, diventando una specie di catasto dove si registrano le
trasformazioni edilizie contrattate e concordate. Con il disegno di legge in discussione al senato, l'impostazione milanese
viene estesa a tutta l'Italia. I lettori di Carta sanno di che si tratta, ma
è bene ricordare i contenuti essenziali della proposta. Cominciando dalla norma più grave, quella che cancella il principio
stesso del governo pubblico del territorio, sostituendo gli atti cosiddetti
«autoritativi», vale a dire quelli propri del potere pubblico, con «atti
negoziali» assunti d'accordo con la proprietà immobiliare. In secondo luogo,
la legge Lupi cancella gli standard urbanistici, che sono le quantità minime
di spazi destinate a verde e a servizi garantite a tutti i cittadini, un
vero e proprio diritto alla vivibilità, conquistato nell'ormai lontano 1968.
Se è vero che in alcune parti del centro nord la disponibilità di spazi per
attrezzature è in larga misura garantita, non è così nei comuni del
Mezzogiorno, dove adeguate disponibilità di verde pubblico e servizi sono
ancora un miraggio. Altri due insensati contenuti della legge Lupi riguardano
l'indiscriminata incentivazione del consumo del suolo e i limiti posti alla
tutela del paesaggio. Invece di imporre la preservazione di quanto resta di
territorio non urbanizzato, come stanno facendo Francia, Germania,
Inghilterra, e come richiede l'Unione europea, se ne legittima la
dissipazione. Appariscente la differenza, per esempio, con la legislazione toscana, che
ammette l'utilizzazione del suolo non urbanizzato solo se si dimostra che
non ci sono possibilità di recuperare spazio nell'ambito della città
esistente. Riguardo alla tutela, il disegno di legge la riserva allo Stato,
cancellandola dall'ordinaria attività di pianificazione a scala locale,
contraddicendo principi mai messi in discussione dall'Unità d'Italia. Se
avesse operato in passato una norma del genere, l'Appia Antica sarebbe come
Casalpalocco, le colline di Bologna e di Firenze sarebbero come Posillipo,
non ci sarebbe il parco delle Mura di Ferrara, non sarebbe stata salvata la
costa della Maremma livornese, e così di seguito. Pochissimi gli osservatori che hanno posto in relazione il disegno di
legge Lupi con le spericolate avventure dei cosiddetti immobiliaristi che
spadroneggiano nella finanza italiana, con la copertura delle autorità
monetarie e politiche, e hanno contribuito a fare della rendita il motore
dell'economia nazionale. La questione della rendita è strettamente legata all'urbanistica. Negli
anni sessanta e settanta, l'impegno della cultura di sinistra per la riforma
urbanistica era tutt'uno con il più generale impegno per contrastare,
contenere e ridurre i privilegi della rendita immobiliare e finanziaria. Il
patto fra i produttori, l'alleanza fra salario e profitto contro la rendita,
furono efficacissime parole d'ordine e direzioni di marcia che nessuno
ricorda. Fra i pochi che hanno messo in evidenza il primato nell'Italia di
oggi della rendita sul profitto e sul salario, e della speculazione
sull'impresa e sul lavoro, mi limito a ricordare gli interventi di Edoardo
Salzano e di altri sul sito Eddyburg [di cui raccomando la quotidiana
frequentazione] e l'articolo di Paolo Bordini sul manifesto del 30 agosto. Bordini sostiene che con la legge Lupi si completa un percorso iniziato
nel 2001 con il provvedimento del neonato governo Berlusconi noto come
«scudo fiscale», che consentì il rientro dall'estero di circa 70 miliardi di
euro, finiti prevalentemente in investimenti immobiliari [anche a causa
della crisi del mercato borsistico dopo 1' 11 settembre 2001]. Per adeguare l'offerta alla domanda fu varato il provvedimento per la
liquidazione del patrimonio pubblico, noto come «cartolarizzazione», che
prevede anche la valorizzazione dei beni venduti con interventi in deroga
alla disciplina urbanistica. È poi la volta del disegno di legge sulla
cosiddetta competitivita in discussione alla camera [con annessa «legge
obiettivo sulle città»] che prevede «l'incremento premiale dei diritti
edificatori», vale a dire l'aumento delle densità urbane. Per spianare definitivamente la strada alla peggiore rendita speculativa
serve ancora l'eliminazione degli standard che intralciano molti lucrosi
affari, come nel caso dell'area ex Fiera di Milano. Perciò serve la legge
Lupi.B
GLI «ALLUPATI» E CHI
ESCE DAL BRANCO « Qualche giorno fa, poi, Maurizio Lupi
era alla presentazione della candidatura di Milano all'Expo del 2012. Lì, il
presidente del consiglio comunale di Milano, Vincenzo Giudice, ha descritto
una corsa al cemento in perfetta coerenza con lo spirito della legge Lupi.
«Il prossimo passo, il
più importante, sarà quello di riunire
attorno ad un tavolo i privati interessati a sostenere l'Expo, perché senza
il loro contributo l'impresa diventerebbe impossibile». bolle speculative e deroghe Nelo panorama nazionale, l'urbanistica romana è, insieme
a quella di Milano, capofila nel sistematico uso degli strumenti della
deroga, che permettono di approvare progetti senza alcuna coerenza urbana e
rappresentano un grande premio alla rendita immobiliare. Abbiamo più volte
messo in luce su Carta i principali esempi di uso disinvolto dell'accordo
con i proprietari delle aree. Ma non avremmo mai pensato di imbatterci in
una questione della portata di quella che ci accingiamo a descrivere. Il nostro racconto deve iniziare dal Piano regolatore di Roma approvato
nel 1965, che prevedeva a sud di Roma, lungo l'autostrada che collega con
l'aeroporto di Fiumicino, un «autoporto», e cioè un centro di scambio
intermodale delle merci. Il luogo prescelto era localizzato a Ponte Galena,
alla confluenza con l'autostrada per Civitavecchia-Livorno: l'estensione
dell'area prescelta era di circa 150 ettari. Trent'anni dopo, durante tangentopoli, su quei terreni viene sperimentato
il principale assunto teorico della «nuova» urbanistica: l'arbitrarietà
della destinazione d'uso - decisa ovviamente dalla proprietà - rispetto a
quella prevista dagli strumenti urbanistici. La proprietà è nota e
qualificata, la Lamaro, e realizza un edifìcio per uffici e un grande numero
di capannoni commerciali. Nulla a che vedere, dunque, con il previsto
«autoporto». Siamo nel 1991.1 manufatti vengono sequestrati dalla magistratura e si
apre un processo che non avrà alcun esito. Nel 1995, passato il terremoto di
«mani pulite», la giunta comunale di Roma permette l'apertura di una
struttura commerciale, denominata Com-mercity. Il valore di quei terreni
subisce un'enorme rivalutazione economica. Nel 2001 iniziano a trapelare sulla stampa le prime indiscrezioni sulla
volontà del comune di Roma di localizzare sui terreni adiacenti a Commercity
la nuova Fiera di Roma. Ma è agli inizi di marzo del 2003, e cioè prima
dell'adozione del nuovo Piano regolatore da parte del consiglio comunale di
Roma, che viene ufficializzata la decisione di localizzare su altri 223
ettari di territorio la nuova struttura. L'annuncio avviene alla Fiera
immobiliare Mipim, che ogni anno si svolge a Cannes, un incontro del grande
capitale internazionale alla ricerca di affari: del resto, il nuovo
strumento urbanistico romano si vanta di essere «il Piano delle offerte». La
decisione viene perfezionata attraverso un accordo di programma. I lavori di
costruzione della Fiera iniziano nel 2004, subito dopo che la Regione Lazio
aveva aderito al citato accordo di programma. Ma fin qui, come dicevamo, siamo nella prassi canonica dell'urbanistica
contrattata: i terreni cambiano destinazione d'uso in relazione alla volontà
della proprietà fondiaria. Ma c'è un fatto nuovo e inquietante, e cioè il
ruolo della Regione Lazio : nel febbraio 2002 - in una data in cui non è
ancora concluso l'iter della variante che localizza la Fiera nei terreni
dell'»autoporto» - l'amministrazione guidata da Francesco Storace stipula
con il comune di Fiumicino [anch'esso guidato da una giunta di centrodestra]
un accordo di programma che individua in 160 ettari di terreno agricolo,
localizzati a meno di un chilometro dall'originaria previsione del Piano del
1965, un nuovo «autoporto». Un giro di rivalutazione economica di qualche milione di euro a vantaggio
della rendita immobiliare. Un rapido calcolo. La valutazione di un terreno
agricolo in quel quadrante non supera 20 euro al metro quadrato: il terreno
del nuovo «autoporto» valeva nuzialmente 32 milioni di euro. Il cambiamento
di destinazione d'uso porta il valore unitario ad almeno 180 euro al metro
quadrato: il terreno balza dunque ad un valore di circa 300 milioni di euro.
Ecco il vero volto dell'urbanistica contrattata. •