Che cosa è capitato alla scuola?

Chissà che cosa è capitato alla scuola che, a poco a poco, è entrata nel novero delle cose impolverate o di cui si fa un uso poco convinto e riconoscente.
Se ne parla soltanto per fenomeni di gravi monellerie (allagamento di edifici), di bullismo o di vera e propria microcriminalità (v. la recentissima spedizione punitiva contro un'allieva di una secondaria savonese).
Neppure ciò che resta degli esami finali (non più di maturità, ma di stato: anche le parole hanno un senso!) o l'attesa per i tabelloni scuote più di tanto la calma piatta dell'interesse mediatico.
Pare passata un'era dagli 'scioperi' a capriccio (e nessuno li rimpianga!) che intasavano la città ed accendevano i borbottii dei benpensanti, e non solo, ma preoccupavano anche i 'rivoluzionari di professione' che un poco li sgridavano, ma più li coccolavano, sperando di allevare la covata.
Nulla di nulla. Mai come oggi la scuola, ovvero milioni di persone, è silente e cerca strade minimali: per i giovani, sopravviverci, portandovi i loro passatempi, e schivando lo studio come gli slalomisti le porte; per i genitori, dopo il 'dramma' della scelta, 'affidare' il figlio all'ambiente il più garante possibile e, poi, fino a contrario avviso, tirare i remi in barca;per i cittadini e i 'politici', tenere in sicurezza la 'ola' giovanile, scaricare sulla scuola, a chiacchere (perché allora bisognerebbe destinare risorse!) compiti educativi non certamente soltanto suoi o, almeno, ai quali è impreparata.
Le prove di quanto affermo: sono zeppi i siti internet, vuote le librerie (i libri 'classici', offerti ormai nelle edicole, vi languono) e le scelte del ciclo di studi secondari sono affidate (e fin qui,niente male!) ai conciliaboli ed alle esperienze familiari, ad una valutazione acritica della pagellina di terza media e, quel che è peggio, alla autopubblicità degli istituti che, da luoghi del sapere, hanno dovuto trasformarsi, con effetti spesso pulcinelleschi, in imbonitori interessati a non perdere alunni, quindi classi, quindi posti di lavoro, quindi finanziamenti etc etc.
Intendiamoci: non c'è davvero nulla di male nella pubblicità sulle fiancate degli autobus urbani et similia; ma una preparazione culturale non si esprime davvero con posters e slogans: è ben altro!
Certamente la società è cambiata rapidissimamente e certi saperi hanno bisogno non certo di pensione, ma di una energica lustratura che li riporti a brillare.
Negare il peso dell'apprendere, il ruolo della disciplina che sottomette (spesso volentieri e, alla lunga, con riconoscenza) alla fatica dello studiare significa traviare la conoscenza portandola a livelli effimeri,trascurati e mediatici.
Non si cambia un tipo di scuola soltanto per abbassarne le esigenze, la fornitura di saperi e, così, poter intrattenervi tanti, tanti giovani poco motivati. Non si vuole di sicuro credere immutabile la scuola gentiliana: ci mancherebbe altro. Ma i cambiamenti, come dice Dante, devono essere garantiti dall'assunzione di un peso superiore a quello dimesso.
Ora: l'aver (giustamente!) abolito le rimandature, senza vere e proprie risorse e misure per i cosiddetti 'recuperi', le percentuali 'bulgare' di promozioni con o senza 'asterischi', l'esame di maturità diluito nel bulgaro e tutto interno alla scuola-madre esame di stato va solo apparentemente a vantaggio dei giovani e delle famiglie: in realtà è una deprivazione, una sottrazione di qualità di un servizio primario che dev'essere garantito dallo stato democratico. L'impreparazione (certo; non mancano davvero le lodevoli eccezioni, ma il mio discorso vuol essere massivo) con l'alibi che 'tanto è la vita a formare i ragazzi, non certo la scuola [e c'è molto di vero,oggi!] è un crear buchi neri coscienti di farlo.
La categoria dei docenti, il cui status mai è stato così basso, ha tutte le energie per reagire, ma si trova mosca nella plafoniera: regolamenti, minime risorse e mal destinate, diverticoli continui che distraggono dal rapporto docente, precariato lungo quanto una carriera, tendenza ad aggravare l'insegnamento vero e proprio con compiti di contorno amministrativo-burocratico e scarsa o nulla visibilità del lavoro docente rettamente inteso.
Non tutti sono Mastrocola che scappano a scrivere romanzi sulla scuola e disertano le cattedre di cui irridono le difficoltà.
I più rimangono, verrebbe da dire a militare in una battaglia oggi non sostenuta, non illuminata, ignorata dai media e dalla politica se non quando qualche 'caso' escresce.
I più rimangono. E domani? Chi insegnerà a chi e che cosa? Facciamo presto!

Sergio Giuliani