Savona deve cambiare
Il problema quindi non è se cambiare, ma come cambiare

di Sergio Acquilino

L’ultima esperienza amministrativa, sia per come è stata condotta che per come è terminata, dimostra che le forze politiche che hanno gestito il governo della città, almeno nei loro gruppi dirigenti, non sono state all’altezza dei suoi problemi ed in particolare non sono state in grado di affrontarne la crisi economica e le sue ricadute sociali.

L’aver privilegiato il settore dell’edilizia, peraltro subendo (o avvallando) interessi essenzialmente privati, dimostra l’assoluta mancanza di strategia verso le forze economiche e produttive ed ha determinato una consistente frattura tra l’amministrazione e la cittadinanza, frattura che percorre anche la base delle maggiori forze politiche del governo cittadino.

La riconversione turistica della città, affidata soltanto al nuovo terminal croceristico, è lungi dall’essere attuata e, sia detto chiaramente, non sarà mai all’altezza di generare quella ricchezza che è venuta meno con la deindustrializzazione.

Sul fronte industriale spicca la mancanza di qualsivoglia progetto di rilancio ed il PUC, con il mutamento di uso in senso commerciale dell’area Metalmetron e di altre aree, porta alle estreme conseguenze quella dissennata politica di abbandono e trasformazione residenziale delle zone produttive che ha caratterizzato le ultime amministrazioni comunali.

L’apertura di nuovi centri di vendita della grande distribuzione rischia di compromettere ulteriormente il tessuto commerciale della città, rendendo vana ogni speranza di rilancio turistico.

La scarsità di risorse a disposizione ha inoltre impedito di intervenire con coraggio nel settore della cultura e dell’istruzione e gli stessi servizi sociali, al di là dell’impegno dell’assessore, non navigano certo in acque migliori.

Savona deve quindi cambiare, e di ciò vi è ampia consapevolezza tra i cittadini, negli ambienti culturali, tra le forze sociali ed anche in larghi settori del centrosinistra.

Chi invece non sembra accorgersi di questa esigenza, dimostrando così l’arroganza di colui che, limitandosi a coltivare influenti amicizie, è oramai estraneo al rapporto con i cittadini e con i propri iscritti, è il gruppo dirigente dei DS.

La riprova, se mai ce ne fosse stato ulteriore bisogno, è il modo con cui è maturata la proposta di candidare Federico Berruti a sindaco di Savona, e ciò a prescindere dalle capacità e dall’intelligenza del prescelto, che sono fuori discussione.

L’aver fatto precedere la scelta del candidato alle consultazioni con le sezioni ed agli incontri sul programma con gli altri partititi dell’Unione (o anche solo dell’Ulivo) costituisce una grave mancanza di rispetto che la dice lunga sull’oligarchia che governa la federazione DS, come efficacemente l’ha definita Franco Astengo.

Il problema quindi non è se cambiare, ma come cambiare, cioè come rendere effettiva quella svolta amministrativa di cui la città ha bisogno e, soprattutto, come farlo con simili interlocutori.

E’ evidente che il cambiamento non può venire dalla destra, sia perché è stata Forza Italia nell’amministrazione Gervasio che ha contribuito in larga parte a questo declino, sia perché – in ogni caso – la Casa della Libertà a Savona non è in grado di fornire alcuna credibile alternativa.

E’ quindi compito della sinistra voltare pagina.

Trucioli Savonesi nella primavera di quest’anno ha lanciato la proposta di una “terza via”, cioè la predisposizione di un programma di radicale discontinuità rispetto al passato che coinvolga in primo luogo quelle forze (Rifondazione e Noi per Savona) che non hanno condiviso le responsabilità amministrative di questi anni e, naturalmente, che vada oltre, escludendo però le forze politiche dell’Ulivo.

Una proposta, questa, che ha avuto il merito di avviare un interessante dibattito, ma che presenta un vizio di fondo: quello di non considerare che l’esigenza di cambiamento attraversa quasi tutte le forze politiche del centrosinistra e, in primo luogo, proprio i DS e la Margherita.

Proporre quindi una terza via chiusa al confronto con i DS e la Margherita (e, a maggior ragione, con i Comunisti italiani ed i Verdi) significa quindi espellere dalla costruzione di una vera alternativa larghi settori di quei partiti che, al pari e forse più di altri, sentono la necessità di voltare pagina.

E‘ questo un grave errore perché mentre da un lato si avverte l’esigenza di un qualcosa di nuovo dall’altro si offre una soluzione politica che gela sul nascere ogni possibilità di trasformazione.

Sono infatti convinto che il radicale cambiamento sia possibile soltanto se coloro che lo auspicano riescono a vincere la loro battaglia all’interno dell’Unione, lasciando per un momento da parte le tentazioni di presentare una propria lista alternativa.

Sono anche consapevole che non sia affatto semplice riuscire ad ottenere, con questa dirigenza DS, risultati significativi sotto il profilo programmatico, ma ciononostante credo che sia un dovere provarci.

Per queste ragioni non ho condiviso la proposta lanciata da alcuni di costituire una nuova associazione che si faccia partito politico con il compito di costruire questa “terza via”.

Non vi è necessità di una nuova articolazione organizzativa della sinistra, ma se mai vi è l’esigenza opposta, e cioè quella di riunire le attuali forze di sinistra e ambientaliste facendole ragionare secondo un programma ed un progetto comune.

Ed occorre che questo progetto non si chiuda in sé stesso ma parli all’intera città e che vengano coinvolti altri soggetti politici (penso ai circoli savonesi della Margherita che hanno presentato proposte programmatiche del tutto condivisibili o ad alcune sezioni DS che esprimono analoghe esigenze), sociali (penso ai sindacati, alle organizzazioni di categoria, ma anche al forum sociale), del tempo libero, dello sport e della cultura.

Ed infine bisogna costringere i gruppi dirigenti delle altre forze dell’Unione a sedersi attorno ad un tavolo per verificare quanto di questo progetto sono pronti ad accettare e cioè, in altri termini, fino a che punto esse sono disponibili ad accogliere (o subire) le esigenze di cambiamento che provengono dalla città.

Naturalmente occorre anche che il gruppo dirigente dei DS rinunci ad imporre il nome del candidato sindaco perché è evidente che le candidature devono essere del tutto coerenti con le novità che la situazione esige e nel contempo devono rappresentare la garanzia della piena attuazione del nuovo progetto.

Anche con riguardo alla scelta del candidato sindaco è quindi necessario, sia sotto il profilo del metodo che sotto quello del merito, far emergere con estrema chiarezza la discontinuità rispetto al recente passato.

Sotto il profilo del metodo è indispensabile evitare il ripetersi dello sgradevole teatrino a cui abbiamo assistito in occasione della candidatura in regione dell’ex sindaco Ruggeri, ed è per questo motivo che, pur stimando molto Federico Berruti, credo che sia meglio che egli continui a fare il vicepresidente della provincia, come peraltro mi sembra che si sia impegnato a fare in una lettera ai giornali di qualche mese fa.

Nel merito poi è necessario individuare una persona nuova, capace, estranea alle ultime esperienze amministrative, che goda della fiducia di ampi settori cittadini e che rappresenti l’Unione nel suo complesso e non una sua singola componente, seppur maggioritaria.

E’ per questo che lo strumento delle primarie, che per il resto giustamente non entusiasma, in questa situazione può essere utile e risolutivo.

Al termine di questo percorso, che bisogna completare entro poche settimane, si potrà sapere finalmente se, come è auspicabile, la radicale svolta politica e programmatica per Savona diventerà un patrimonio di tutta l’Unione, ovvero se le forze che vi si oppongono riusciranno, ancora una volta, a prevalere.

In questo caso è evidente che si renderà necessario, per coloro che ancora non si saranno arresi ai gruppi di potere di questa città, percorrere tutti assieme la terza via che ha suggerito Trucioli Savonesi.

 Sergio Acquilino