Liana Millu la foto, le copertine, un sito
Bob Dylan  La foto, i siti , il libro
Henri Bergson Un ritratto, la foto, i siti, Il presente come condizione del passato
Tina Modotti foto, la poesia di Neruda, i siti
Beppe Fenoglio Non mi sono laureato, le foto, i siti
Gianni Rodari

Il gioco dei se, L'avventura dello Zero, le foto,

i siti per l'approfondimento.

Saul Bellow Un sito, le foto, una copertina
Kenzo Tange Il sito ufficiale, foto, progetti
Pablo Neruda La foto, una straordinaria poesia, un'opera di Giò Pomodoro, alcuni siti
Billie Holiday Le foto, omaggio di Stefano Benni
Mahmud DarwishLe foto e una poesia
Mario LuziLe foto e una poesia
Percy Bysshe Shelley

A Jane, alcune poesie su un sito dedicato

Arthur MillerFoto con M. Monroe, con W. Allen, un bel ritratto
Stelio RescioUna Storia operaia, Foto
Arthur MillerL'articolo del NYtimes dell'11 febbraio 2005
Bruno MarengoFoto, la copertina di Il mare che viene e che va, il mare di Spotorno, Verso l'acqua profonda
Ettore ScolaFotogrammi, le foto, la locandina dell'Arcidiavolo

Sibilla Aleramo

E' il lavoro, oggi l'aurora; Foto
Emily DickinsonPoesia, foto, firma
Antoine Saint ExuperyLa volpe (il piccolo principe), foto, il disegno, la firma.
Dino CampanaGenova, le foto
Susan Sontagun articolo del NYT
Eugenio MontaleLo sai: debbo riperderti e non posso
Angiolo BarileNEVE
Milena MilaniMichele ha fatto un goal, Il ritmo del pane, Amore per Zavattini
Uno spazio a Filippo Tommaso MarinettiIl futurismo nel mondo, Il telegramma di Marinetti al Duce inviato da Altare assieme ai ceramisti di Albissola
Uno spazio a Guido GozzanoLe golose, L'onesto rifiuto, Le non godute
Uno spazio a Camillo SbarbaroAforismi

LIANA MILLU

Liana Millu, squisita poetessa genovese, è scomparsa nello scorso mese di Gennaio a novant'anni.

Liana Millu è stata una delle grandi testimoni dell'Olocausto: deportata ad Auschwitz, era riuscita a  tornare ed aveva dedicato tutta la sua vita, e la sua arte, a diffondere il messaggio dell'orrore per la più grande tragedia dell'umanità moderna.

Già dal 1947 (lo stesso anno in cui Primo Levi scrisse : “Se questo è un uomo”) uscì il suo fondamentale “Il fumo di Birkenau”: un testo che subito non ebbe fortuna.

Ci volle tempo, infatti, tra incomprensioni e rimozioni perché in Italia ed in Europa certe storie venissero ascoltate ma, edito da Giuntina, anche “Il fumo di Birkenau” è diventato un longseller e negli anni Novanta è stato tradotto in quasi tutte le lingue europee: francese, inglese, olandese e tedesco.

L'altra opera di Liana Millu legata all'esperienza del campo di sterminio è stata “I ponti di Schwerin”, mentre grande importanza, nel panorama letterario ligure, hanno avuto raccolte di poesie e di racconti: da “Le violette di Piazza De Ferrari” a “La camicia di Josepha”.

Per onorarne la memoria ripubblichiamo il testo, uscito postumo, del messaggio inviato al Presidente della Provincia di Genova in occasione della giornata della memoria: 27 Gennaio 2005 (Liana Millu era malata, pensava di non poter partecipare alla cerimonia e morì subito dopo aver scritto queste ultime righe).

“ Mi spiace non essere qui e iniziare nel solito modo: “Sono il numero 5384A di Auschwitz – Birkenau”. Le parole sono sempre le stesse, ma oggi risuonano con la forza di milioni di persone che parlare non possono più.

Mi rivolgo a tutti, particolarmente ai ragazzi perché conoscere quel passato è garanzia per il loro, per il nostro avvenire.

Avvicinate quel passato, il vostro presente ne sarà rafforzato.

Andate in quei luoghi funesti e non per un giorno.

Studiarli porterà bene alla vostra vita: non limitatevi ad un giorno.

Tornerete migliori e più forti; la vostra coscienza ne sarà approfondita.

Questo vi auguro.

E vi benedico in nome di quelli che non potranno farlo.

27 Gennaio, ripetete questa data, il 27 Gennaio riguarda tutti, ci riguarda tutti.

Che Dio vi benedica e vi aiuti a non dimenticare.

Mai”.

dal sito: http://www.comune.pisa.it/casadonna/htm/liana_millu.htm  dal sito: www.rbookshop.com    

un sito in lingua tedesca su Liana Millu : http://www.resistenza.de/frauen/milu.htm

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 BOB DYLAN

Bob Dylan è una delle figure più importanti e controverse della musica americana. Nella sua vita e' stato tante cose: protestatario, ebreo, cristiano, folk-singer, cantante rock, country, blues, gitano e predicatore, innovatore e reazionario, tossicodipendente e vegetariano, padre e marito, acustico ed elettrico, commerciale ed elitario. Ma in quasi quaranta anni di attività artistica, ha saputo conquistare i livelli più elevati del tempio della musica. Come e' stato detto: "Se fra cento anni qualcuno cantera' una canzone di questo secolo, sara' una canzone di Bob Dylan".

Bob Dylan  vero  Robert Allen Zimmerman,  nasce a Duluth, una piccola cittadina del Minnesota, quasi al confine con il Canada, il 24 Maggio 1941. Dopo pochi anni la sua famiglia si trasferisce nella vicina Hibbing, un centro minerario. Qui, decide di imparare a suonare il pianoforte e fonda il suo primo gruppo rock: I Golden Chords. Buddy Holly, Elvis Presley, Gene Vincent sono i suoi preferiti, gli stessi di alcune migliaia di giovani come lui.

Nel 1960 Dylan arriva a New York, per andare a trovare il suo idolo Woody Guthrie, agonizzante in un letto d'ospedale e soprattutto per cercare la strada del successo. Riesce a inserirsi in una cerchia di cantanti folk e inizia ad esibirsi nei locali del Greenwich Village. La voce di Dylan, aspra e tagliente, il suo stile rozzo ma efficace, colpiscono la critica.

E' il folk, infatti, la forma musicale che il movimento giovanile ha scelto in quegli anni come bandiera. Il rock 'n' roll, era visto alla stregua di musica commerciale e senza alcun valore. La politica si fondeva con il folk attraverso quelle canzoni dette "di protesta", che proprio Dylan era destinato a far conoscere al mondo intero. In quei mesi, Dylan canta soprattutto composizioni di Woody Guthrie o comunque nel suo stile, e incide il primo LP per la Columbia, Bob Dylan (1962), che passa però quasi inosservato. Il suo secondo album, The Freewheelin’ Bob Dylan, invece, spopola con un brano memorabile come "Blowin’ in the wind", inno di pace per antonomasia, che lancera' Dylan nell'olimpo dei folk singer, con Pete Seeger, Joan Baez & C.. In questo periodo Dylan incide alcuni dei suoi classici: "A Hard rain’s a-gonna fall", "Masters of war", "Don’t think twice, it’s all right". La consacrazione avviene a Newport, nel 1963, dove Dylan verra' eletto praticamente come il Re del Folk.

tratto dalla biografia di Bob Dylan

Bob Dylan nonostante abbia 64 anni  continua  a suonare e a fare concerti. Quest' anno è candidato al premio Nobel per la letteratura.

 Bob Dylan

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per saperne di più alcuni siti:

www.ondarock/dylan.htm

www.biografiaonline.htm

  Mr. TAMBOURINE MAN  un volume  di 1230 pagine  in uscita in questi giorni  con tutti i testi delle sue canzoni e delle sue poesie. Prefazione di Patty Smith. 

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Henri Bergson

Henri Bergson (Parigi 1859 – 1941) il filosofo della “Società Aperta” e della “Morale Aperta”, insegnò dal 1899 al College de France e vinse, nel 1928, il Premio Nobel per la letteratura.

Tra le sue opere ricordiamo: Saggio sui dati immediati della coscienza (1889), Materia e Memoria (1896), L'evoluzione creatrice (1907).

In Bergson è cruciale il concetto del tempo, riferito sia all'evoluzione materiale e biologica, sia agli stati di coscienza.

Bergson rifiuta il tempo “spazializzato” della meccanica e oppone ad esso la concreta esperienza interiore come “durata”in cui gli stati di coscienza si compenetrano in una amalgama in continua evoluzione.

Bergson dà notevole rilievo alla memoria, che caratterizza la vita profonda della coscienza.

Il pensiero di Bergson ha esercitato una profonda influenza in letteratura (soprattutto su Proust e Peguy) e nel campo della critica letteraria.

Il presente come condizione del passato

[...] tra il passato e il presente c’è ben altro che una semplice differenza di grado. Il mio presente è ciò che mi interessa, ciò che vive per me, e, in breve, ciò che mi provoca all’azione, mentre il mio passato è essenzialmente impotente. [...]Cos’è per me il momento presente? La caratteristica del tempo è di scorrere; il tempo già trascorso è il passato, e chiamiamo presente l’istante in cui scorre. Ma qui non si può trattare di un istante matematico. [...] La materia, in quanto estesa nello spazio, deve essere definita, a nostro avviso, un presente che ricomincia incessantemente, e, inversamente, il nostro presente è la materialità stessa della nostra esistenza, cioè un insieme di sensazioni e di movimenti, e nient’altro che questo. E questo insieme è determinato, unico per ciascun momento della durata, proprio perché sensazioni e movimenti occupano i luoghi dello spazio e perché, nello stesso luogo, non ci possono essere più cose contemporaneamente. [....]

(H. Bergson, Materia e memoria, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp. 247-49.)

Per saperne di più alcuni siti:

http://www.cvm.qc.ca/ccollin/portraits/bergson.htm

http://www.marcelproust.it/gallery/bergson.htm

http://www.forma-mentis.net/Filosofia/Bergson.html

dal sito: http://www.cvm.qc.ca/ccollin/portraits/bergson.htm              dal sito: http://www.marcelproust.it/gallery/bergson.htm_J.E._Blanche_1891

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TINA MODOTTI

Assunta Adelaide Luigia Modotti (Tina) nasce ad Udine al Borgo Pracchiuso di Udine, il 17/08/1896 .

La sua sarà una strana vita d'emigrante: prima l'Austria, poi gli Stati Uniti  nel 1913. Fa la sarta ma nel contempo segue, in maniera attiva, esperienze teatrali. Nel '17 è a San Francisco con Robo (il poeta e pittore Roubaix del'Abrie Richey, che morirà di vaiolo nel '22).

Comincia a frequentare artisti ed intellettuali. Nel '20 torna ad Hollywood dove gira alcuni film e conosce Edward Weston, col quale poi nel '23 si trasferisce in Messico.Uniti da un forte amore, vivono entro il clima politico e culturale post-rivoluzionario, a contatto con i grandi pittori muralisti David Alfaro Siqueiros, Diego Rivera e Clemente Orozco, che appartengono al Sindacato artisti e sono i fondatori del giornale El Machete, portavoce della nuova cultura e, in seguito, organo ufficiale del Partito Comunista Messicano.

Tina impara l'arte della fotografia. Nel '24 la sua prima mostra fotografica. Weston rientra negli USA quando il loro rapporto si deteriora. Tina rimane in Messico, dove vive con la sua fotografia: dopo le prime attenzioni per la natura (rose, calli, canne di bambù, cactus, ...) sposta l'obiettivo verso forme più dinamiche, quindi utilizza il mezzo fotografico come strumento di indagine e denuncia sociale, e le sue opere, comunque realizzate con equilibrio estetico, assumono di frequente valenza ideologica: esaltazione dei simboli del lavoro, del popolo e del suo riscatto (mani di operai, manifestazioni politiche e sindacali, falce e martello. Significativa e profonda la sua amicizia con Frida Kahlo e Diego Rivera.

Si unisce a Xavier Guerrero, ed inizia la sua militanza politica comunista che la porterà anche a Mosca. Partecipa attivamente a manifestazioni a favore di Sacco e Vanzetti, lavora per il movimento  sandinista e conosce Vittorio Vidali, rivoluzionario italiano ed esponente del Komintern.

Le sue foto diventano sempre più politiche e sono pubblicate su numerose riviste. Nel '28 conosce Julio Antonio Mella, rivoluzionario cubano, di cui Tina si innamora profondamente.

Ma è un amore di pochi mesi: Mella verrà ucciso dai sicari del dittatore cubano Machado.La vita politica si fa difficile: i movimenti comunisti vengono dichiarati fuori legge e Tina viene accusata il 5/2/30 di aver partecipato ad un attentato contro Rubio, nuovo Capo di Stato. Arrestata ed espulsa dal Messico raggiunge Berlino con Vidali. Lì Tina conosce un momento di ripresa artistica, e prestigiosi giornali pubblicano le sue foto. Poi ritorna a Mosca.Fino al 1935 vive fra Mosca, Varsavia, Vienna, Madrid e Parigi, per attività di soccorso ai perseguitati politici. Nel '36 è in Spagna, assieme a Vidali che assume il nome di Carlos Contreras. Lavora negli ospedali e nei collegamenti tra i combattenti. Nel 1937 a Valencia fa parte dell'organizzazione del Congresso internazionale degli intellettuali contro il fascismo. Ha occasione di conoscere Robert Capa e Gerda Taro, Hemingway, Antonio Machado, Dolores Ibarruri, Rafael Alberti, Malraux, Norman Bethune e tanti altri della Brigate internazionali. Dopo la disfatta spagnola tenta di rientrare in Italia ma le negano l'ingresso. Ritorna in Messico, dove lavora nell'Alleanza Internazionale "Guseppe Garibaldi". Muore a Città del Messico il 5 gennaio del 1942 colpita da infarto su un taxi. La stampa reazionaria e borghese tenta di trasformare la sua morte in un delitto accusando Vidali.
Fu una donna complessa, poliedrica, che abbracciò nella propria esistenza attività che la impegnarono in maniera totale ed assoluta, senza risparmiarsi mai.
La Modotti stessa dichiarò di aver messo troppa arte nella sua vita.

Tina Modotti in una scena di un film

La tomba di Tina Modotti, con la poesia scolpita di NerudaIl funerale di Julio Antonio Mellan col pittore Diego Rivera al centro nel 1929la famore "Rose" di Tina Modotti

Il casellario col nome di TinaDocumento di ricerca di TinaEdward Weston, Tina sul tetto di casa, Messico 1924foto di Edward Weston: Frida Kahlo e Diego Rivera a San Francisco nel 1930



TINA MODOTTI E' MORTA
(di Pablo Neruda a Carlos J. Contreras)

Tina Modotti, sorella, tu non dormi, no, non dormi:
forse il tuo cuore sente crescere la rosa
di ieri, 1'ultima rosa di ieri, la nuova rosa.
Riposa dolcemente, sorella.

La nuova rosa è tua, la nuova terra è tua:
ti sei messa una nuova veste di semente profonda
e il tuo soave silenzio si colma di radici.
Non dormirai invano, sorella.

Puro è il tuo dolce nome, pura la tua fragile vita:
di ape, ombra, fuoco, neve, silenzio, spuma,
d'acciaio, linea, polline, si è fatta la tua ferrea,
la tua delicata struttura.

Lo sciacallo sul gioiello del tuo corpo addormentato
ancora protende la penna e l'anima insanguinata
come se tu potessi, sorella, risollevarti
e sorridere sopra il fango.

Nella mia patria ti porto perché non ti tocchino,
nella mia patria di neve perché alla tua purezza
non arrivi l'assassino, né lo sciacallo, né il venduto:
laggiù starai tranquilla.

Non odi un passo, un passo pieno di passi, qualcosa
di grande dalla steppa, dal Don, dalle terre del freddo?
Non odi un passo fermo di soldato nella neve?
Sorella, sono i tuoi passi.

Verranno un giorno sulla tua piccola tomba
prima che le rose di ieri si disperdano,
verranno a vedere quelli d'una volta, domani,
là dove sta bruciando il tuo silenzio.

Un mondo marcia verso il luogo dove tu andavi, sorella.
Avanzano ogni giorni i canti della tua bocca
nella bocca del popolo glorioso che tu amavi.
Valoroso era il tuo cuore.

i siti per gli approfondimenti sono molti, segnaliamo:

http://www.modotti.com/

http://www.comitatotinamodotti.it/

http://www.photographers.it/articoli/tinamodotti.htm

http://www.cts.it/index.cfm?module=Geo&page=City&CityID=2842&Area=InfoPage&InfoPageID=2392

http://www.lospaziobianco.it/articolo.php?chiave=1353

a cura di P. T.
 

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BEPPE FENOGLIO

Beppe Fenoglio nacque ad Alba,  capitale delle Langhe, il 1 Marzo del 1922.

I suoi genitori gestivano una macelleria: dopo aver frequentato il Liceo e ricevuto una educazione antifascista da professori quali Pietro Chiodi e Leonardo Cocito, si iscrive alla facoltà di Lettere di Torino.

Richiamato alle armi, non conclude gli studi: all’8 Settembre del 1943 riuscì a ritornare ad Alba.

Qui si arruolò tra i partigiani, prima in un gruppo comunista, poi, nell’estate del 1944, nelle formazioni monarchiche di Mauri.

Il suo esordio letterario fu particolarmente difficile.

Nel 1949 l’editore Einaudi rifiutò la sua prima raccolta “Racconti della Guerra Civile”.

Solamente nel 1952 Vittorini favorì la pubblicazione, nella collana “ I gettoni” di Einaudi, la raccolta di racconti “I ventitrè giorni della Città di Alba”.

Nel 1962 vince il Premio delle Alpi Apuane con il racconto “Ma il mio amore è paco”.

Fenoglio morì il 17 Ottobre 1963, a Torino, per un cancro ai polmoni.

Le sue opere più importanti: Il partigiano Johnny e La Paga del Sabato, uscirono così postumi, raccolti dai manoscritti contenuti in un apposito Fondo Fenoglio, sollevando molti problemi critici e filologici.

Nel 1978 Einaudi pubblicò l’edizione critica delle “Opere”, curata da Maria Corti.

dal sito: sapere.virgilio.it/ extra/083/libri.html         dal sito: www.repubblicaletteraria.net

dal sito: www.cadalu.it                dal sito: www.centrostudibeppefenoglio.it/

"Naturalmente non mi sono laureato"
'Sono nato ad Alba il 1° Marzo 1922, studente al ginnasio liceo, poi all'Università, ma naturalmente non mi sono laureato. Soldato del Regio e poi partigiano. Oggi uno dei procuratori di una nota ditta enologica. Credo sia tutto qui. Ti basta no? Mi chiedi una fotografia. Ora, sono sette anni circa che non mi faccio fotografare...'


Da una lettera a Italo Calvino, febbraio 1952

(Tratto da Beppe Fenoglio, di Gina Lagorio, pg. 7 (Tascabili Marsilio|Biografie, Marsilio Editori, Venezia, 1998))

dal sito (molto bello che consigliamo): http://digilander.libero.it/patcar/fenoglio/

visita anche i seguenti siti per gli approfondimenti:

www.it.wikipedia.org/wiki/Beppe_Fenoglio

 www.centrostudibeppefenoglio.it/

www.cadalu.it

www.italialibri.net/autori/fenogliob.html

 

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GIANNI RODARI

Gianni Rodari nasce nel 1920 ad Omega.

Rimasto orfano precocemente del padre, sviluppa un carattere chiuso e riservato. Frequenta il liceo in seminario, ma lo conclude alla scuola pubblica. L’adolescenza e la gioventù li passa nell’Azione Cattolica. Nel ’39 si iscrive alla Cattolica, ma non terminerà gli studi. Nel ‘42 vince il concorso da maestro. Si iscrive al partito fascista. I drammatici avvenimenti della guerra lo colpiscono profondamente negli affetti personali: perde gli amici più cari ed il fratello Cesare nel settembre del 1943 viene internato in un campo di concentramento in Germania.
Subito dopo la caduta del fascismo Gianni Rodari si avvicina al Partito Comunista, a cui si scrive nel 1944 e partecipa alle lotte della resistenza. Viene chiamato a dirigere, subito dopo la guerra, Ordine Nuovo, poi inizia la sua collaborazione con l’Unità e avvia la sua produzione di libri per l’infanzia, oltre a Dirigere il settimanale per bambini “Il Pioniere”. Sotta la direzione di Ingrao torna  a lavorare per l’Unità, e nel ’57 supera l’esame da giornalista di giornalista. Nel ’58 va a Paese Sera dove rimarrà sino al 14 aprile del 1980, data della sua morte.

Gli anni della scrittura per l'infanzia e della notorietà sono comunque quelli dal 1960 in poi. Incomincia a pubblicare per una prestigiosa casa editrice come Einaudi e la sua fama si diffonde in tutta Italia. Il primo libro che esce con la nuova casa editrice è "Filastrocca in cielo ed in terra" nel 1959. Solo nel 1962-63 raggiunge una certa tranquillità economica grazie alla collaborazione a "La via migliore" e all'enciclopedia per ragazzi "I quindici".
Gianni Rodari vinse nel 1970 il Premio Andersen, prestigioso riconoscimento alla sua opera di scrittore per l'infanzia.
Dal 1992 le opere di Rodari sono illustrate per la Einaudi Ragazzi dal famoso fumettista Altan.

Le fiabe e le filastrocche di Rodari segnano nel ‘900 una straordinaria rottura con la fiaba tipica per bambini, la cui morale sempre contenuta, subliminale, normalizzante e terrificante scompare e si fa strada un diverso approccio, seppur fantastico, con la realtà. Con la realtà dei bambini, che nella quotidianità e con gli oggetti comuni sognano ed immaginano un mondo parallelo e straordinario.

Dopo Rodari nulla sarà più uguale nella letteratura italiana per l’infanzia.

La bibliografia con le date di edizione:

Filastrocche in cielo e in terra (1960)

Le avventure di Cipollino (1961)

Favole al telefono (1962)

Gip nel televisore (1964)

Il Libro degli errori (1964)

La torta in cielo (1966)

Le filastrocche del cavallo parlante (1970)

Grammatica della fantasia (1973)

C'era due volte il Barone Lamberto (1978)

Il gioco dei Quattro Cantoni (1980)

Il secondo libro delle filastrocche (1985)

Versi e storie di parole (1995)

IL GIOCO DEI SE
Se comandasse Arlecchino
il cielo sai come lo vuole?
A toppe di cento colori
cucite con un raggio di sole.
Se Gianduia diventasse
ministro dello Stato,
farebbe le case di zucchero
con le porte di cioccolato.
Se comandasse Pulcinella
la legge sarebbe questa:
a chi ha brutti pensieri
sia data una nuova testa.

L'AVVENTURA DELLO ZERO
C'era una volta
un povero Zero
tondo come un o,
tanto buono ma però
contava proprio zero e
nessuno
lo voleva in compagnia.
Una volta per caso
trovò il numero Uno
di cattivo umore perché
non riusciva a contare
fino a tre.
Vedendolo così nero
il piccolo Zero,
si fece coraggio,
sulla sua macchina
gli offerse un passaggio;
schiacciò l'acceleratore,
fiero assai dell'onore
di avere a bordo
un simile personaggio.
D'un tratto chi si vede
fermo sul marciapiede?
Il signor Tre
che si leva il cappello
e fa un inchino
fino al tombino...
e poi, per Giove
il Sette, l'Otto, il Nove
che fanno lo stesso.
Ma cosa era successo?
Che l'Uno e lo Zero
seduti vicini,
uno qua l'altro là
formavano un gran Dieci:
nientemeno, un'autorità!
Da quel giorno lo Zero
fu molto rispettato,
anzi da tutti i numeri
ricercato e corteggiato:
gli cedevano la destra
con zelo e premura
(di tenerlo a sinistra
avevano paura),
gli pagavano il cinema,
per il piccolo Zero
fu la felicità.

da Il libro delle filastrocche
 

Rodari col fratelloL'autore con la figlia Paola, nel 1957Rodari lavora a Paese Sera

le foto sono tratte dai siti che elenchiamo ed ai quali rimandiamo per un maggior approfondimento della vita e delle opere dell'autore:

http://www.giannirodari.it

http://www.letteratura.it/giannirodari/

http://www.girodivite.it/antenati/xx3sec/_rodari.htm

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SAUL BELLOW

Nel corso della scorsa settimana è morto Saul Bellow, l'ultimo protagonista di una generazione che ha saputo inventare nuove forme narrative, per un mondo trasformato.

I suoi eroi sono stati perdenti vincitori, intellettuali illuminati da lampi di ironia, protagonisti di una orgogliosa libertà mentale contro la crescente omologazione.

L”uomo in bilico” è una delle figure decisive del complicato dopoguerra americano, di quella generazione che ha avuto in Saul Bellow l'ultimo gigante, una figura ingombrante e possente.

Bellow ha saputo rivendicare il ruolo storico della cultura, piuttosto che quello del romanziere.

Bellow viene a mancare in un momento in cui dall'America arrivano ancora ,certo, voci significative (ma molto diverse:Toni Morrison, Don De Lillo; forse – per dirne uno meno lontano da lui – Philiph Roth), ma non è più l'America, come in quel momento straordinario di cui Bellow fu protagonista, a indicarci la strada del futuro.

Ricordiamo alcune delle sue opere principali: Vittima (1947), Le avventure di Augie March (1953), Herzog (1964), il pianeta di Mr.Sammler (1970), il dono di Humboldt (1975), I più muoiono di crepacuore (1987).

 

Un sito per gli approfondimenti: www.saulbellow.org/ the Official Website of the Saul Bellow Society

S. Bellow, dal sito: http://www.britannica.com/nobel/art/...   La copertina del libro, vincitore del Premio Nobel   Un Bellow giovane, dal sito: http://www-news.uchicago.edu/resources/arts

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Kenzo Tange

Il grande architetto giapponese è morto, qualche giorno fa a novantadue anni.

Era nato, infatti, ad Osaka nel 1913.

Sostenitore del razionalismo moderno, la sua opera fu determinante per la rinascita architettonica del Giappone, dalle rovine del dopoguerra.

Tange, progetto, infatti il parco della Pace (1949 – 1955) e la Biblioteca per Bambini (1955) ad Hiroshima, oltre ad altre opere, dimostrando il suo rifiuto dell'impostazione tradizionale degli uffici pubblici in Giappone.

Ampliati i suoi interessi anche nel campo urbanistico, realizzò il piano regolatore di Toronto (1958) e la ricostruzione della città di Skopje in Macedonia, dopo un disastroso terremoto.

Con il piano per la fiera mondiale di Osaka (1967 – 1970) vide realizzarsi le sue più mature concezioni urbanistiche.

Ha continuato a lavorare fino in tarda età: risale al 1990 il complesso del municipio di Tokyo ed al 1994 il TeleTech di Singapore.

Anche in Italia rimangono importanti testimonianze del suo lavoro: i centri direzionali di Bologna (1975) e di Napoli (1987).


il sito ufficiale di Kenzo Tange

丹下健三



プロフィール

著書

作品
丹下健三


 

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PABLO NERUDA

Pablo Neruda (pseudonimo di Neftali Ricardo Reyes) nasce in Cile nel 1904.

Nelle sue prime raccolte si riscontrano le radici moderniste.

Si tratta ,ancora di una poesia giovanile: soltanto nel 1926, con Tentativa del hombre infinito, apre la ricerca di uno stile diverso, che accolga le novità introdotte dai movimenti letterari del tempo.

Intraprende la carriera diplomatica ed è nominato console in Birmania, dove rimane fino al 1931.

Trasferitosi nel 1934, in Spagna, incontra Garcia Lorca e Rafael Alberti, avvicinandosi al  marxismo.

Con lo scoppio della guerra civile, il poeta consacra la propria scrittura alla denuncia diretta del dramma di cui è testimone, che viene rievocato nei componimenti di Tercera Residenca (1947).

Il 1950 segna l'anno di pubblicazione del Canto General, nei cui versi Neruda concretizza il proposito di comporre un canto epico per l'America.

Il suo sguardo abbraccia tutta la realtà geografica e storica del continente, per condensarla nelle enumerazioni caotiche, che richiama nuovamente con un certo immaginario surrealista.

Fra il 1944 ed il 1954 lo scrittore, in esilio, intraprende una serie di viaggi in Unione Sovietica, Francia, Italia e Cina.

Durante il secondo soggiorno in Italia,a  Capri, scrive le poesie raccolte in Los versos del capitan (1952), poesie d'amore dedicate a Matilde Urrutia, sua compagna di una vita.

Nel Memorial de Isla Negra (1964) Neruda si abbandona a una poesia evocativa, che scaturisce da un collage di figure e luoghi della sua infanzia e giovinezza, fino all'esilio ed al rientro in Patria.

Con l'elezione di Salvador Allende, Neruda è nominato ambasciatore del Cile a Parigi.

Nel 1971 gli viene assegnato il premio Nobel.

Quando, nel 1973, Pinochet realizza il colpo di stato contro il governo Allende, il poeta è già gravemente malato. Muore in quello stesso anno.

 

Da Veinte poemas de amor y una cancion desesperada (1924) pubblichiamo (con la traduzione in calce):

 

Cuerpo de mujer, blancas colinas, muslos blancos

te pareces al mondo en tu actitud de entrega.

Mi cuerpo de labrego slavaje te socava

y hace saltar el hijo del fondo de la tierra.

 

Fui solo como un tunel. De mi huìan los pàjaros

y en mì la noche entraba su invasion poderosa.

Para sobreviverme te forjé come un arma,

como una flecha en mi arco, come una piedra en mi honda.

 

Pero cae la hora de la vengenza, y te amo.

Cuerpo de piel, de musgo, de leche àvida y firme.

Ah lo vasos de pecho! Ah los ojos de ausencia!

Ah las rosas del pubs! Ah tu voz lenta y triste!

 

Cuerpo de mujer mia, presistirè en tu gracia.

Mi sed, mi ansia sin lìmite, mi camin indeciso!

Oscuros cauces donde la sed etrna sigue,

y la fatiga sigue, y el dolor infinito.

 

 

Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,

assomigli al mondo nel tuo gesto di abbandono.

Il mio corpo di rude contadino ti scava

a fa scaturire il figlio dal fondo della terra.

 

Fui solo come un tunnel. Da me fuggivano gli uccelli

e in me irrompeva la notte con la sua potente invasione.

Per sopravvivere a me stesso ti forgiai come un'arma.

Come freccia al mio arco, come pietra per la mia fionda.

 

Mi viene l'ora della vendetta, e ti amo.

Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.

Ah le coppe del seno! Ah gli occhi d'assenza!

Ah le rose del pube! Ah la tua voce lenta e triste!

 

Corpo della mia donna, resterò nella tua grazia.

Mia sete, mia ansia senza limite, mio cammino incerto!

Rivoli oscuri dove la sete eterna rimane,

e la fatica rimane, e il dolore infinito.

Autore: Giò Pomodoro, Titolo: Isla Nigra a Pablo Neruda (1975/1976), Localizzata: Giardini Via Carlo Marxhttp://www.angelfire.com/co2/coditos0/http://usuarios.lycos.es/everything_laurita/neruda.htm

un sito cileno per saperne di più: http://www.uchile.cl/neruda/

ed uno bellissimo per il centenario della sua morte: http://www.centenariopabloneruda.cl/

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BILLIE HOLIDAY

Il nonno paterno fu uno dei 17 figli di una schiava nera della Virginia e di un proprietario irlandese di una piantagione. Sua madre aveva solo 13 anni quando la partorì.

Il nome alla nascita è Eleanora Fagan Gough, siamo nel 1915 a Baltimora. La futura Lady Day ascolta per la prima volta la musica jazz di Luis Armstrong e Bessie Smith, e fa il suo debutto da cantante in uno tetro night club di Harem.

Userà il nome di Billie Holiday perché grande ammiratrice della star del cinema Billie Dove.

Venne scoperta da John Hammond, che nel 1933 le organizza la sua prima registrazione con Benny Goodman. La sua prima band venne organizzata dal pianista Teddy Wilson, a cui poi si aggiungeranno Goddman e Roy Eldridge.

Istaura una lunga relazione con Lester Young Prez.. Nel 1939 è il successo di “Strange Fruit” (canzone nella quale racconta gli strani frutti che pendono dagli alberi della piantagione: gli schiavi neri impiccati dai bianchi) e God bless the Child.

Compare nel film Lady sings the blues, mentre nel 1946 ha un trionfante successo al Town Hall e appare nel film New Orleans. Nonostante una mancanza di allenamento tecnico, l’inimitabile fraseggio e gli acuti drammaticamente intensi la resero la più incredibile cantante jazz dei suoi tempi. Le bianche gardenie tra i suoi capelli divennero la sua caratteristica.

Fatale, la lotta di Billie contro la droga. Una lotta che la conduce alla rovina. Fra arresti, persecuzioni giudiziarie e disperati tentativi di disintossicazione, la carriera della Signora del blues è letteralmente distrutta da alcool ed eroina. La voce, specchio della sua anima, subisce un inesorabile declino. Acre, miagolante, urtante: sono gli aggettivi che si accompagnano alla voce di Billie negli ultimi anni della sua carriera. Le sue condizioni fisiche sono tali da compromettere le tournèe in Europa. La morte arriva mentre è in un letto d’ospedale, consumata dalle droghe, perseguitata dalla giustizia, il 17 luglio del 1959.

 

 

                       

L'OMAGGIO DI STEFANO BENNI

Negra? Non si vede?
Cantante? Ascoltami e vedrai
Puttana? Sì, ho fatto anche quello
E bevo anche come quattro uomini
Non mi fai paura, ho suonato in posti peggiori di questo
In bar di cow boys nel sud dove mi sputavano addosso
In una città dove il giorno stesso avevano linciato un nero
A New Orleans dove un diavolo alla moda
Ogni sera mi regalava fiori di droga
E a Chicago mi innamorai di un trombettista sifilitico
E all’uscita del night mi hanno spaccato la bocca
Sotto la pioggia da una stazione all’altra
Lady sings the blues

Negra? Sì, ma ci sono abituata
Cantante? Canto come una gabbia di uccelli
Note gravi e alte, e tutto il repertorio
Posso svolazzare come quelle belle cantanti dei film
E poi posso piantarti una ballata nel cuore
Vuoi strange fruit? Vuoi midnight train?
Posso cantartela anche da ubriaca
O con un coltello nella schiena
O piena di whisky e altro, perché sono una santa
E il mio altare è nel fumo di questo palco
Dove Lady sings the blues

Negra? Negra e bellissima, amico
Cantante? Non so fare altro
Puttana? Beh sì ho fatto anche quello
E bevo come quattro uomini
Non toccarmi o ti graffio quella bella bianca faccia
Posate il bicchiere, aprite quel poco che avete di cuore
State zitti e ascoltate io canto
Come se fosse l’ultima volta
Fate silenzio, bastardi e inchinatevi
Lady sings the blues

E quando tornerete a casa dite
Ho sentito cantare un angelo
Con le ali di marmo e raso
Puzzava di whisky era negra puttana e malata
Dite il mio nome a tutti, non mi dimenticate
Sono la regina di un reame di stracci
Sono la voce del sole sui campi di cotone
Sono la voce nera piena di luce
Sono la lady che canta il blues
Ah, dimenticavo... e mi chiamo Billie
Billie Holiday

    Stefano Benni

 

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MAHMUD DARWISH

 Il poeta Mahmud Darwish (al-Burwa Palestina, 1941) ha vissuto la prima fase della sua vita in Israele; sin da giovane ha profuso il suo impegno politico nell'attività giornalistica e nella poesia, guadagnandosi presto il titolo di “aedo dei palestinesi”. I toni aspri delle sue invettive lo hanno però portato in prigione diverse volte, tanto da indurlo ad emigrare in Libano nel 1971. Il cantore della Palestina è per il suo popolo, come il poeta preislamico, l'aedo appunto, che ricorda i luoghi del paese evocando i nomi e gli eventi cari alla memoria di tutti. La metafora poetica diventa simbolo politico gravido di sentimenti di dolore: ricordare la Palestina è rimpiangere il paradiso perduto.

 

    Nella traduzione di F.M:Corrao pubblichiamo “A mia madre”   

 

Mi manca il pane di mia madre
Il suo caffè

La sua carezza Che cresce con la mia infanzia

 Giorno dopo Giorno

Amo la vita

 Perchè se morissi

 Non sopporterei il pianto di mia madre!

 Accoglimi se un giorno diventerò

Mascara per le tue ciglia

E coprimi le ossa di erbe

Portate dal tuo candido seno

E stringimi forte

Con una ciocca dei tuoi capelli

Con un filo del tuo abito

Sperando di diventare un dio

Diventerò un dio...

Quando toccherò in fondo al tuo cuore

 E quando tornerò, usami come combustibile

Per rischiarare il fuoco

 Come filo da bucato sul terrazzo di casa

 Perché non posso resistere senza la preghiera dei tuoi giorni

Sono invecchiato

Ridammi le stelle dell'infanzia

Perché possa condividere coi giovani uccelli

La strada del ritorno

Verso il nido della tua attesa!

 

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MARIO LUZI

Lunedì 28 Febbraio è Morto Mario Luzi, aspro e solenne poeta del '900 italiano. Era nato a Castello, in provincia di Firenze nel 1920.

Aveva cominciato a scrivere giovanissimo, fin da bambino: il suo esordio avvenne nel 1935 con “La Barca”, cui seguirono, fra gli altri, “Avvento Notturno”, “Quaderno Gotico”; “Nel magma” “Su fondamenti invisibili”, “Sotto specie umana”, fino all'ultimo “Dottrina dell'estremo principiante” uscito del 2204.

Scrissi anche per il teatro.

Nel 2004, pochi giorni prima di compiere novant'anni, fu nominato Senatore  a Vita dal Presidente della Repubblica. Ruolo che ha ricoperto per pochi mesi, distinguendosi però per prese di opposizione molto chiare: sia rispetto al governo in carica, sia rispetto all'avventura in Irak (una sua lettera esortante alla pace era stata pubblicata Venerdì 25 Febbraio: tre giorni prima della morte).

Al di là dei luoghi comuni che, spesso, hanno accompagnato i giudizi espressi sulla sua opera, in particolare quello riguardante una assegnazione quasi automatica alla categoria del “naturalista cattolico”, Luzi fornì segnali di una poetica provvista di grande originalità, proprio perché la sua naturalezza nel descrivere la vita e la morte emoziona ancora oggi, facendo comprendere che non si deve parlare a vuoto del mistero della vita.

   Per ricordare Mario Luzi, pubblichiamo, da “Avvento Notturno” (1940)  

GIA' COLGONO I NERI FIORI DELL'ADE

Già colgono i neri fiori dell'Ade

i fiori ghiacciati viscidi di brina

le tue mani lente che l'ombra persuade

e il silenzio trascina. 

Decade sui fiochi prati d'eliso,

sui prati appannati torpidi di bruma

il colchico struggente più che il tuo sorriso

che la febbre consuma. 

Nel vento il tuo corpo raggia infingardo

tra vetri squillanti stella solitaria

e il tuo passo roco non è più che il ritardo

delle rose nell'aria.

 

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PERCY BYSSHE SHELLEY

Figlio di un ricco proprietario terriero del Sussex di solide tradizioni conservatrici, Percy Bysshe Shelley  fu fin da piccolo, quasi per contrappasso, uno scandalo permanente; si definì democratico, filantropo e ateo e lo gettò in faccia alla società borghese e filistea da cui era circondato; pubblicò le sue prime poesie da editori che poi rischiarono l'incriminazione; stregò una fanciulla di sedici anni, Harriet e fuggì con lei ad Edinburgo, per lasciare poco dopo e andare a convivere, stavolta in Europa, con Mary, la figlia del filosofo Godwin.

In Italia si invaghì della fiorentina Emilia Viviani, una delle sue muse poetiche.

L'irrequietudine stava forse per placarsi quando Shelley trovò la morte nel mare del golfo dei Poeti l'8 Luglio 1822; le onde in tempesta che avevano affondato la barca restituirono il cadavere qualche giorno dopo la disgrazia.

Il poeta fu cremato e seppellito a Roma accanto a Keats, nel cimitero acattolico di Testaccio, sotto la Piramide di Caio Cestio, dove si trovano anche le ceneri di Antonio Gramsci.

Shelley incarna il paradigma del poeta romantico nel grado più puro e assoluto, con i connotati comuni della vita breve e al calor bianco, vissuta al di sopra del bene e del male, degli amori folli e promiscui, della rincorsa dell'ideale, dell'esilio, della vita nomade, della sepoltura metaforicamente o realmente “illacrimata”.

Per tutto l'Ottocento l'ammirazione per Shelley fu, in realtà, un altarino da tenere gelosamente nascosto, e quindi anche in parte il frutto dell'ipocrisia britannica.

La critica novecentesca lo ha ristudiato a fondo, reintegrandolo nella tradizione come sommo poeta lirico, e privilegiando in lui gli apporti della filosofia scettica, la revisione del pensiero platonico e l'intimo e irrisolto dualismo di una personalità complessa.

 

Pubblichiamo l'introduzione di : A Jane il ricordo (2 Febbraio 1822), che sintetizza al meglio il pensiero di questo poeta.

 

Ed ora l'ultimo di molti giorni,

tutti belli e brillanti come te,

il più splendido e l'ultimo, è morto.

Sorgi Memoria, e scrivi la sua lode!

Forza, al lavoro! Vieni, traccia

l'epitaffio della sua gloria;

perché la Terra adesso cambia faccia,

e il Cielo è arcigno.

....

 

Now the last day of many days,

All beatiful and bright as thou,

The loveliest and the last, i dead.

Rise, Memory, and write its praise!

Up to thy wonted work! Come, trace

The epitaph of glory fled;

For now the earth has changed its face,

A frown is on the Heaven's brow.

....

 

                         

 

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ARTHUR MILLER

Con la sua lunga vita, durata quasi novant'anni, Arthur Miller, nato a New York il 17 Ottobre 1915 e morto lo scorso 10 Febbraio, ha vissuto in pieno gli avvenimenti, le tragedie e le contraddizioni politiche e sociali del ventesimo secolo.

E' stato uno degli scrittori più importanti del nostro tempo, dallo spettro creativo ampio: in grado di passare dalla scrittura drammaturgica per la quale viene soprattutto ricordato (Morte di un commesso viaggiatore 1949; Il crogiolo 1953) al romanzo (Focus, 1945), e dalla scrittura di viaggio (Salesman in Beijng 1983) a quella saggistica (The Theatre Essay of Arthur Miller, 1978, 1986) e autobiografica (Timbebends; A Life 1987).

Dolorosamente formativi furono gli anni della sua giovinezza, in una famiglia ebrea improvvisamente colpita dalla crisi degli anni'20; e duri furono gli anni in cui, da studente, fu costretto a sperimentare lavori umili per potersi permettere gli studi universitari.

Miller è stato, lungo tutto il secolo,la coscienza pensosa e critica della scena americana: famoso drammaturgo, protagonista della cronaca come marito di Marylin Monroe, democratico convinto e sempre schierato in prima fila per le battaglie civili, umanitarie e politiche,

Se non il più importante, nel secolo di Eugen O'Neill e di Tenesse Williams, Miller è stato sicuramente uno degli importanti, cui fare riferimento durante la metamorfosi di un secolo troppo breve, perché gli autori trovassero il tempo e le occasioni necessarie per consolidarsi in scritture forti.

dal sito: http://www.repubblica.it/2003/e/gallerie/spettacoliecultura/artmiller/artmiller.html                        con Marylin

dal sito: http://www.repubblica.it/2003/e/gallerie/spettacoliecultura/artmiller/artmiller.html

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STELIO RESCIO

Stelio Rescio (Calimera 1921 – Savona 2003) ha rappresentato, per un lungo periodo, un personaggio anomalo e scomodo, nel panorama vieppiù conformista della cultura savonese.

Sempre a cavallo tra la politica militante e la pratica culturale, Rescio è stato giornalista, scrittore, critico d'arte, organizzatore dell'avanguardia nelle arti visive.

Dal 1969 al 2000 il suo “Centro d'arte e cultura il Brandale”, sito nel cuore della Città Vecchia, è stato il punto di riferimento per intere generazioni di artisti.

La sua attività, in quel periodo, raggiunse punte di inarrivabile continuità sia sotto l'aspetto quantitativo (da Ottobre a Maggio, ogni 15 giorni, “vernissage” per due mostre), sia sotto l'aspetto qualitativo: dall'intricato dedalo di via Forni passarono i migliori esponenti dell'avanguardia italiana ed internazionale e, nel campo della poesia visiva, grazie anche alla collaborazione con Mirella Bentivoglio, il Brandale poteva ben essere qualificato come il punto d'eccellenza per tutto il panorama nazionale.

Rescio, nel frattempo, trovava la possibilità di organizzare grandi mostre per il Comune di Savona (fine anni'70, inizio anni'80: il grande ciclo del futurismo da Farfa ad Acquaviva alla Ferrero Gussago: futurismo che Rescio aveva contribuito, sul piano critico,a “sdoganare” da pesanti ed ingiustificati retaggi di ostracismo ideologico), scrivere su riviste specializzate come Alfabeta o Palomar, fare il corrispondente, prima dell'Unità e poi del Manifesto, svolgere una intensissima attività politica, passando dal PCI alla vicenda del PdUP – Manifesto ed, infine,a Rifondazione Comunista.

Un personaggio poliedrico, dalla grande carica umana, che Savona non deve dimenticare.

"Una storia operaia" di Stelio Rescio. (Da "Il Letimbro")

"Al non frettoloso passante che sarà tentato di metter piede in una libreria di Savona o della riviera potrà capitare d'imbattersi nella copertina multicolore di un libro in formato tascabile; la riproduzione del fresco, delicato dipinto di Ettore Canepa, ci restituisce in versione accattivante il muro sbrecciato di un "interno di paese" inconfondibilmente ligure: Spotorno. Difficilmente si sarebbe potuta trovare una più idonea apertura all'opera narrativa (la terza in ordine di tempo) di Bruno Marengo, "I figli di Madame Reverie", edito da "L'autore libri" di Firenze.
Non diversamente dagli altri centri disseminati lungo il litorale, l'estate risveglia la cittadina dal sonnolento trascorrere del tempo, restituendola al turismo balneare. Detto del luogo che fa da scenario alla vicenda, è da aggiungere che lo svolgimento narrativo, che si vale di una scrittura sciolta ma sorvegliata, prende le mosse dall'evento traumatico che ha coinvolto l'area savonese: la chiusura, dopo una crisi prolungata di una grande fabbrica, l'acciaieria che nei capannoni attorno agli altiforni accoglieva, un tempo ogni giorno, migliaia di lavoratori.
Il protagonista della vicenda, Ginetto, detto "Gin", è uno di loro; è un operaio di mezza età venuto su, per dirlo con un'espressione desueta, nella consapevolezza della sua condizione sociale. Ed è questo suo vissuto (il lavoro in fabbrica, l'insieme di relazioni e di valori a cui dà luogo) che si lascia alle spalle mentre, alla guida della sua vetturetta, procede lentamente verso Spotorno, "il rifugio dove leccarsi le ferite".
Attorno a questa figura emblematica si muovono gli altri personaggi di un piccolo mondo ritagliato al di fuori degli anonimi, spersonalizzanti agglomerati della città. In un racconto nel quale le diverse individualità, tratteggiate con affettuosa partecipazione, i casi personali e gli avvenimenti, lungi dal configurarsi come dati di cronaca, acquistano significato ed un respiro corale.
Abituale luogo d'incontro degli amici è la trattoria di Madame Reverie, la non più giovane proprietaria. Non manca (ma potrebbe essere diversamente?) il personaggio femminile, che è l'oggetto del desiderio di due giovani amici, "Archimede che deve il suo soprannome alla passione per la matematica, e Gin. E qui conviene fermarsi. Non fosse altro per non privare il lettore del piacere di apprendere lo svolgersi degli avvenimenti sfogliando le pagine del libro.

 

Stelio Rescio, dal sito: www.circolorebagliati.it

per approfondimenti sulla figura di Stelio Rescio su internet abbiamo trovato i due seguenti siti politici http://www.rifondazione.it/savona e http://www.circolorebagliati.it,  un interessante articolo de La Stampa mentre non abbiamo trovato niente curato dal Comune di Savona!!

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BRUNO MARENGO

UNO SCRITTORE POLITICO
Bruno Marengo, spotornese classe 1943: un politico prestato alla scrittura o uno scrittore alla politica?
La nostra risposta è molto semplice: meglio un Marengo totalmente scrittore. Perchè l'idea che i suoi nuovi impegni politici, è stato appena eletto sindaco di Spotorno, possano limitarne la produzione letteraria, appare in sé negativa per l'intera cultura ligure.
Marengo arriva relativamente tardi alla letteratura, dopo un lungo apprendistato da “lettore”, appassionato di molti generi, ma soprattutto in grado di assimilare la lezione dei grandi poeti lirici della nostra terra: in particolare Sbarbaro e Barile.
Le sue opere, tutte tratte da una trasfigurazione esistenziale di tipo verista, presentano il sapore della Liguria di Riviera: fanno venire in mente il nostro arco di terra, sotto il pallido sole d'inverno, quando i paesi, avvolti nell'azzurro del loro paesaggio, appaiono immobili, ma vigili, nell'attesa degli eventi.
Sono gli eventi della piccola gente, la quotidianità, i gatti che attraversano la strada, gli amori dell'iniziazione sentimentale: non c'è, però, bozzetto in Marengo ma ricerca curata della personalità degli attori che mette in scena e degli sfondi sui quali agiscono la recita della loro vita.
Dall'esordio con “A Spotornoo” dedicato alle mitiche estati degli anni' 60, la scrittura di Marengo è via, via maturata, passando, soltanto per ricordare i passaggi principali di una produzione copiosa, all'immaginario orizzonte su cui sorge la “Cattedrale di Apenac”, ai personaggi di “vita” che frequentano “Madame Reverie”, fino alla trama sottile che tiene avvinto il lettore che caratterizza “Il mare che viene e che va”, l'ultima opera uscita, in ordine di tempo, da uno scrittore che si è ormai affermato come uno dei più importanti in Liguria.

                    


un giovane Marengo              Il mare di Spotorno            iL MARE CHE VIENE E CHE VA, da www.rifondazione.it/savona

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Ettore Scola

Nasce nel 1931 in terra campana, a Trevico (Avellino), fa l’esperienza universitaria (giurisprudenza) e contemporaneamente si impegna nel campo del giornalismo.

Si destreggia con capacità nel campo della sceneggiatura (Il sorpasso di Dino Risi). È conosciuto come uno dei più prolifici ed attenti registi del cinema italiano, di quello però più vicino alla commedia all’italiana con graffianti caricature dei personaggi.

Utilizza il mondo e la realtà che lo circonda per far riflettere sulla vicenda umana, sia in termini di evo/involuzione individuale e collettiva sia in termini di costume. Dopo due film sull'alienazione con protagonista Mastroianni, Dramma della gelosia [(1970) storia della decadenza di un muratore, che ha ucciso involontariamente l'ex-amante e deve scontare un periodo di carcere, ma ne esce matto], e Permette? Rocco Papaleo [(1971) un semplice e onesto emigrato siciliano che a Chicago viene coinvolto in storie di vizio e delinquenza, alla fine delle quali si dà al terrorismo], Scola approfondisce l'argomento girando un film-inchiesta semidocumentario sulla condizione degli emigrati meridionali a Torino, Trevico-Torino Viaggio nel Fiat - Nam (1972), un po' Olmi industriale un po' Godard sessantottesco.

Offre allo spettatore scorci incredibili (pensiamo a Brutti sporchi e cattivi del 1976) degli anfratti della grande città o della provincia (C’eravamo tanto amati del 1974), nell’arco di tre decenni di vita vissuta o sognata.

La terrazza (1980) è un ritratto della borghesia intellettuale vent'anni dopo la dolce vita, dei suoi riti famelici di cibo e di sesso, vuoti e insulsi, trasportati da Scola sulla terrazza romana che ospita da vent'anni le cene party di intellettuali di sinistra, politici, giornalisti, scrittori, produttori, sceneggiatori a cui chiedono soltanto testi leggeri che facciano ridere, attori. Sono tutti cinquantenni falliti, abbandonati moralmente e qualche volta anche fisicamente dalle mogli, più o meno depressi da ossessioni e frustrazioni (un funzionario della televisione si suicida lasciandosi morire di fame), più o meno afflitti e consolati dal cerimoniale mondano.

Sempre impegnato politicamente, vicino alla figura di Ingrao, ha voluto anche rappresentare le vicende della trasformazione del PCI, con film come Mario, Maria e Mario del ’93, film poco riuscito (“pettinato” diranno i critici) scritto con la figlia Silvia, ingraiana pure lei.

In un film come La famiglia del 1987, storia di una famiglia della media borghesia attraverso le tappe della vita di un uomo. Distaccato e malinconico cronachista, Scola tocca i vertici esistenziali della sua carriera, e la visione marxista dell'irrazionale borghese si lega ad una più assoluta visione dell'irrazionale umano.

Straordinario, lento e claustrofobico nell’impossibilità umana al cambiamento è Una giornata particolare, del 1977, dove sullo sfondo dell'epoca fascista (l’incontro a Roma di Mussolini ed Hitler) descrive la vana relazione fra una casalinga sfruttata e un omosessuale perseguitato, lei destinata a tornare fra le braccia brutali del marito e lui destinato ad essere deportato, dopo una fugace quanto improduttiva scena d’amore. Troviamo un intimismo crepuscolare che sfuma in un poetico omaggio agli umiliati.



C'eravamo tanto amati    Una giornata particolare    c'eravamo tanto amati

La locandina del film: l'arcidiavolo   Ettore Scola alla cinepresa   Ettore Scola

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SIBILLA ALERAMO

Sibilla Aleramo, pseudonimo di Rina Faccio, nata ad Alessandria nel 1876 e morta a Roma nel 1960, fu poetessa di teso e raffinato lirismo.

Dalla vita inquieta e passionale (spicca, nella sua biografia, la tempestosa relazione con il poeta Dino Campana) la Aleramo si dedicò, fin dagli esordi, al riscatto sociale dei ceti più umili: accanto a Giovanni Cena, partecipò all'opera di alfabetizzazione dei contadini dell'Agro Romano.

Esordì nel 1906 con un romanzo programmaticamente femminista, Una donna, dove già si intrecciano le componenti principali della sua personalità: la sensibilità sociale e la prorompente carica autobiografica ed individualistica.

Questo conflitto interiore segnò anche il resto della sua opera, sia in prosa (Il Passaggio del 1919, Amo dunque sono del 1927) sia le raccolte di versi (Selva d'amore del 1947 e Luci della mia sera del 1956).

Proprio da Luci della mia sera, pubblichiamo “E' il lavoro, oggi l'aurora”, apparsa per la prima volta  nel 1950 sulla rivista culturale del PCI “Rinascita”.

E' Il Lavoro

Oggi L'aurora

 

Entro il mio cuore

la tortura, oh tutta la tortura

del mondo patita

geme ch'io in parole la redima,

e io perdutamente balbetto,

il mio cuore ancora in sé sente

le infinite morti

da uomini inferte a uomini,

gli anni trascorrono

e sempre nel ricordo l'orrore

e sempre l'insostenibile vergogna

e sempre in me il gemito,

vano gemito anziché parole,

e il terrore che anche il più grande canto

vano pur esso sarebbe,

che mai l'ascolterebbe

se nuovamente domani sul mondo

la tortura infierisse

infanzia e vecchiaia insiem cancellando

e tutte le speranze?

Speranza aurora!

Chi guarda ancora l'aurora?

Mio cuore, tu lo sai!

E non è per essa che ancor batti?

Tanti e tanti e tanti,

vicino a te e lontano

ogni dì s'alzano e non armi impugnano,

o forse armi sono,

martelli, vanghe,libri

e vanno con questi lor vivi arnesi,

la terra è tutta un cantiere,

ogni dì è lavoro,

quanto lavoro su la terra intera,

da secoli da millenni

curvo era sino a ieri

ma ora di sé è fiero

s'anche duramente ancor soffre e lotta,

ben saldo nel voler mai più

guerre né torture,

nel volere il mondo

trasformato in fraterno giardino,

oh mio cuore, più non devi gemere,

abbi fede, tu vedi,

è il lavoro oggi l'aurora!

Foto tratta dal sito: http://www3.varesenews.it/varese/articolo.php?id=12118foto di Sibilla tratta dal sito: http://ilpoeta.blog.excite.it/permalink/27349  

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EMILY DICKINSON

Emily Dickinson (1830 – 1886) nacque ad Amberst (Massachusetts)  da una famiglia borghese. Dopo gli studi superiori trascorse tutta la vita nella casa del padre, in un volontario isolamento, dedicandosi alla lettura e a un'interrotta sperimentazione poetica.

Il suo unico canale comunicativo con il mondo esterno fu un'intesa corrispondenza, attraverso la quale intrecciò profonde amicizie ed appassionati amori.

Quando morì, solo sette delle sue composizioni erano state pubblicate.

Le sue liriche, dense ed ardite, quanto la sua vita appare priva di rilevanti avvenimenti esterni, sono considerate oggi tra le più grandi della poesia moderna.

La prima completa edizione critica è uscita soltanto nel 1955

Pubblichiamo, di seguito, questa poesia del 1862, dedicata al tema della morte, ricorrente nell'opera di Emily Dickinson.

 

Sentivo volare una mosca – quando morii

Sentivo ronzare una mosca – quando morii-

l'immobilità della stanza

era come l'immobilità dell'aria

tale folate dell'uragano -

gli occhi attorno – si erano prosciugati

e i respiri si raccoglievano fermi

per l'ultimo assalto – quando il re -

si sarebbe rivelato – nella stanza -

lasciai in eredità i miei ricordi – diedi via

ogni parte di me che fosse

assegnabile – e poi avvenne:

si interpose una mosca -

come azzurro – incerto incespicante ronzio -

tra la luce – e me -

e poi le finestre mancarono – e poi

non potei vedere di vedere.

Emily Dickinson                la tomba di Emily e dei suoi familiari          una giovanissima Emily 

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Antoine de Saint-Exupéry

Nasce il 29 luglio del ‘900 a Lione, da una famiglia aristocratica, cattolica e tradizionalista, e vive un'infanzia gravata dalla morte precoce del padre e dalla vita in un severo collegio gesuita.

Fa il suo primo volo a 12 anni accompagnando i piloti del campo d’aeronautica che frequenta quando si allontana dal collegio. Il volo diventa la sua passione, un’occasione di libertà e forse anche di grandi riflessioni. Solcherà nella sua vita i cieli d’Europa (da Alghero a Parigi) Africa (da Il Cairo a Casablanca), Asia (Istanbul ed il Mekong), Americhe (dalle Terre del Fuoco a New York), sia come pilota militare che civile, collezionando incidenti gravi (il suo velivolo si schianterà all’aeroporto di città del Guatemala, rischia l’amputazione di un braccio e farà una lunga convalescenza a New York)) ma anche esperienze molto significative, come quando arriva a guidare le spedizioni di salvataggio degli equipaggi dei velivoli francesi colpiti e costretti ad atterrare nel deserto, compiendo quattro salvataggi (tra questi quello dei piloti Serre e Reine tenuti prigionieri per 117 giorni) che gli varranno nel 1930 la nomina a Cavaliere della Legione d’Onore. O come quando sorvola per giorni le Ande alla ricerca dell’amico pilota disperso a causa di una tempesta ritrovandolo e portandolo in salvo, la cui vicenda verrà raccontata in Terre des Hommes, amara riflessione sulla civiltà occidentale contemporanea che risente del contesto politico europeo: alla civiltà industriale, ai suoi sistemi politici ed ideologici, sono contrapposti i valori "eterni" del sacrificio, dell'amicizia, dell'onore. A Buenos Aires conoscerà la sua futura moglie, Consuelo Suncin vedova dello scrittore argentino Gomez Carillo. Nel ’31 rientra a Parigi con il manoscritto Vol de Nuit, ispirato alla perdita di un amico in volo che verrà pubblicato con una prefazione di André Gide e che vincerà il Prix Femina.
E
sordisce nel ’26 con una novella L'aviateur, edito da Gallimard. Nel ’29, sempre con l’editore Gallimard conclude un contratto per la scrittura di sette romanzi, mentre alla fine dell’anno viene pubblicato Courrier Sud  (scritto durante la sua permanenza in Marocco), sorta di inno al superamento della realtà quotidiana attraverso la continua ricerca di spinte emozionali Alla tragica esperienza della disfatta francese dedica il romanzo Pilote de guerre, nel ’42, in cui emergono i motivi di una religiosità cattolica. Segue, felicissima pausa d'abbandono fantastico, la favola Le petit prince del 1943, illustrata dai suoi stessi poetici disegni, che si affermò subito come un classico della letteratura. Subito dopo, quasi per contrasto, usce la drammatica Lettre à un ostage, nel ‘44, messaggio di un esule all'amico ebreo rimasto nella Francia occupata. Dal 1936 lavora a una raccolta di meditazioni e pensieri, pubblicata postuma e incompiuta con il titolo Citadelle, 1948, a cui seguono Carnets nel 1961.

Nel 1943 riesce a riprendere l'attività di pilota militare. Il 31 luglio del 1944 il suo aereo fa perdere le tracce e si inabissa al largo della Costa Azzurra, per gravi inconvenienti tecnici mentre esegue un volo di ricognizione dalla Corsica alla Francia . Ma, com’è logico in questi casi, il mito confonde le acque e si dice che fu vittima del suo desiderio di rivedere i suoi luoghi natii e che venne abbattuto da un aereo tedesco.

 

Il piccolo principe

Cap 21

In quel momento apparve la volpe.
"Buon giorno", disse la volpe.
"Buon giorno", rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.
"Sono qui", disse la voce, "sotto al melo..."
"Chi sei?" domando' il piccolo principe, "sei molto carino..."
"Sono una volpe", disse la volpe.
"Vieni a giocare con me", le propose il piccolo principe, sono cosi' triste..."
"Non posso giocare con te", disse la volpe, "non sono addomestica".
"Ah! scusa", fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
"Che cosa vuol dire <addomesticare>?"
….

"E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire <creare dei legami>..."
"Creare dei legami?"
"Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io saro' per te unica al mondo".

"La mia vita e' monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio percio'. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sara' illuminata. Conoscero' un rumore di passi che sara' diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi fara' uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiu' in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me e' inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo e' triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sara' meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che e' dorato, mi fara' pensare a te. E amero' il rumore del vento nel grano..."
La volpe tacque e guardo' a lungo il piccolo principe:
"Per favore... addomesticami", disse.
"Volentieri", disse il piccolo principe, "ma non ho molto tempo, pero'. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose".
"Non ci conoscono che le cose che si addomesticano", disse la volpe. "Gli uomini non hanno piu' tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose gia' fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno piu' amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!"
"Che cosa bisogna fare?" domando' il piccolo principe.
"Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe. "In principio tu ti sederai un po' lontano da me, cosi', nell'erba. Io ti guardero' con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' piu' vicino..."
Il piccolo principe ritorno' l'indomani.
"Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora", disse la volpe.
"Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincero' ad essere felice. Col passare dell'ora aumentera' la mia felicita'. Quando saranno le quattro, incomincero' ad agitarmi e ad inquietarmi; scopriro' il prezzo della felicita'! Ma se tu vieni non si sa quando, io non sapro' mai a che ora prepararmi il cuore... Ci vogliono i riti".
"Che cos'e' un rito?" disse il piccolo principe.
"Anche questa e' una cosa da tempo dimenticata", disse la volpe. "E' quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora dalle altre ore.

Cosi' il piccolo principe addomestico' la volpe.
E quando l'ora della partenza fu vicina:
"Ah!" disse la volpe, "... piangero'".
"La colpa e' tua", disse il piccolo principe, "io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi..."
"E' vero", disse la volpe.
"Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"E' certo", disse la volpe.
"Ma allora che ci guadagni?"

"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano".
...

 

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DINO CAMPANA

Dino Campana, nacque a Marradi (Firenze) nel 1885. Visse una giovinezza travagliata, che lo portò ad interrompere gli studi di chimica all'Università di Bologna e ad un ricovero al manicomio di Imola (1906).

Dopo una serie di vagabondaggi per il mondo (Svizzera, Belgio, Russia, Argentina) svolgendo i mestieri più disparati ed un altro ricovero in clinica psichiatrica (1909: Firenze), tentò di riprendere senza fortuna gli studi universitari.

Nell'autunno del 1913 portò a Firenze per consegnarli ad Ardengo Soffici e a Papini il quadernetto dei suoi “Canti Orfici”, ma nella primavera successiva fu costretto a riscriverli perché Soffici aveva perduto il manoscritto.

Nello stesso anno (1914) Campana fece pubblicare la sua opera prima, a proprie spese, da un tipografo di Marradi.

La tumultuosa relazione con la poetessa Sibilla Aleramo (1916 – 1917)  rappresentò il preludio al definitivo ricovero nel manicomio di Castel Pulci, dove il poeta morì nel 1932.

Molti dei suoi scritti, composti nel periodo del ricovero, uscirono postumi: Inediti (1942), Taccuino (1949), Canti Orfici e altri scritti (1952), Lettere (1958), Taccuinetto fiorentino (1960).

Campana fu l'ultimo esponente di una vivisità enfatica, di tradizione carducciana, che assunse, nei suoi versi, le connotazioni dell'allucinazione, della fantasia onirica, della trasfigurazione delle immagini.

Pubblichiamo un frammento di “Genova”, dai “Canti Orfici” (Campana abitò a Genova nel 1912, in piazza Sarzano e Camillo Sbarbaro ricordava di averlo incontrato, un giorno, proprio in quel luogo).

Genova

Poi che la nube si fermò nei cieli

Lontano sulla tacita infinita

Marina chiusa nei lontani veli,

E ritornava l'anima partita

Che tutto a lei d'intorno era già arcana-

mente illustrato dal giardino il verde

Sogno nell'apparenza sovrumana

De le corrusche sue statue superbe:

E udii canto udii voce di poeti

Ne le fonti e le sfingi sui frontoni

Benigne un primo oblio parvero ai proni

Umani ancora largire: dai segreti

Dedali uscii: sorgeva un torreggiare

Bianco nell'aria: innumeri dal mare

Parvero i bianchi sogni del mattini

Lontano dileguando incatenare

Come un ignoto turbine di suono.

Tra le vele di spuma udivo il suono.

Pieno era il sole di Maggio

 

       ----------------------

 

Sotto la torre orientale, ne le terrazze verdi nel la

         lavagna cinerea

Dilaga la piazza al mare che addensa le navi.......

  La classe 1900/1901                           Un ritratto di Dino Campana La sua pagella scolastica al Liceo Torricelli

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Deceduta per leucemia il 

28/12/2004 la scrittrice Susan Sontag

Divenne famosa negli anni Sessanta             Una foto della Sontag nel 2000 pubblicata sul NYT

per la sua passione femminista e le sue 

lotte contro la guerra in Vietnam  

NEW YORK - La scrittrice americana Susan Sontag è deceduta a New York. Ne ha dato notizia il Memorial Sloan-Kettering Cancer

Center dove era ricoverata per leucemia. La Sontag, nata a New York 71 anni fa, divenne famosa negli anni Sessanta per la sua passione femminista e le sue lotte contro la guerra in Vietnam. Nel suo lavoro di scrittrice si amava definire una «moralista ossessiva» e una «zelota della serietà». Fra le sue opere più note uno studio del 1964 sull'estetica dell'omosessualità dal titolo «Notes on Camp». Forti le sue prese di posizioni in difesa della libertà di espressione dopo la fatwa di Khomeini contro lo scrittore indiano Salman Rushdie. Nel 1993 andò a Sarajevo sconvolta dalla guerra e produsse lo spettacolo teatrale «Aspettando Godot». 

(Corriere della sera on line del 28/12/2004)       

Un articolo del New York Times     

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EUGENIO MONTALE

Eugenio Montale, nato a Genova nel 1896, morì a Milano nel 1981.

Richiamato al fronte nel 1917, dopo la guerra si trasferì a Firenze, dove nel 1928 fu nominato direttore del Gabinetto scientifico – letterario Viesseux.

E' fra i firmatari del manifesto antifascista (1925) promosso da Benedetto Croce, e frequenta il celebre caffè delle “Giubbe Rosse”, ritrovo dell'avanguardia culturale italiana dell'epoca.

Collabora a numerose riviste fiorentine, e pubblica, nello stesso anno la sua raccolta forse più nota, “Ossi di Seppia”.

Nel 1939 esce “Occasioni”, nel 1943 “Finisterre”.

Aderisce al Partito d'Azione, e nel 1948 entra al Corriere della Sera, svolgendo anche attività di critico musicale.

Fra le altre raccolte, la bufera (1956), Satura (1971), e Quaderno dei quattro anni (1977).

Nel 1975 gli viene conferito il Premio Nobel.

Legata ad una poetica del “negativo”,  l'opera in versi di Montale si sviluppa in un linguaggio chiuso e però di intensa indagine psicologica, per immagini lampeggianti e di stoica modernità.

Fra le sue prose, la “Farfalla di Dinard” (1956) e Auto da fè (1966).

Sull'opera di Montale (come degli altri grandi poeti del 900 italiano: da Campana a Sbarbaro ad Ungaretti) è recentemente uscito, presso le edizioni di San Marco dei Giustiniani, la ristampa del celebre saggio “Otto Studi” di Carlo Bo, al quale rimandiamo coloro volessero impegnarsi in un serio approfondimento critico.

 

In questa occasione pubblichiamo:

“Lo sai: debbo riperderti e non posso” da Occasioni del 1939

Lo sai: debbo riperderti e non posso.

Come un tiro aggiustato mi sommuove

ogni opera, ogni grido e anche lo spiro

salino che straripa

dai moli e fa l'oscura primavera

di Sottoripa.

 

Paese di ferrame e alberature

a selva nella polvere del vespro.

Un ronzio lungo viene dall'aperto,

strazia com'unghia sui vetri. Cerco il segno

smarrito, il pegno solo ch'ebbi in grazia

 da te.

E l'inferno è certo.

                                                                                                                               

Le foto sono tratte da un sito web molto completo che consigliamo di esplorare: http://art.supereva.it/eugeniomontale/index.html

 

  Un giovane Montale            L'amata Drusilla            Eugenio e l'upupa, foto di Mulas

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ANGIOLO BARILE

Angiolo Barile, raffinatissimo poeta e prosatore, nato ad Albissola Marina nel 1888 ed ivi deceduto nel 1967, deve essere ricordato come l'interprete di una “melanconia” tipica della nostra terra, di una   visione della vita che rispecchia l'essenza delle grigie giornate della Riviera d'inverno.

Collaboratore di “Solaria” e fondatore con A:Grande di “Circoli” scrisse versi di intensa e dolorosa religiosità, in uno stile fortemente simbolico.

Ricordiamo la raccolta di Primavera (1934) ed ancora Quasi sereno (1957) e Poesie (1965).

In prosa ha lasciato: Al paese dei vasai, uscito postumo nel1970.

Uomo politico, dotato di grande rigore morale, fu Presidente della Provincia di Savona negli anni'50: gli è stata dedicata la sala delle adunanze del Consiglio, nel Palazzo Nervi.

Particolarmente intenso fu il suo sodalizio con Eugenio Montale: recentemente il carteggio intercorso tra i due grandi poeti tra il 1920 ed il 1957 è stato raccolto in volume, a cura di Costa ed Astengo, e pubblicato (2002) per i tipi di Rosellina Archinto.

Pubblichiamo di seguito “Neve” (da Poesie 1965)

NEVE

Da noi la neve è festa

rara. Quando sorprende

il paese che dorme

ci si risvegli attoniti, in un chiaro

ch'è d'altro cielo: una calma vacanza.

Tra le barche che fan siepe

lungo la strada

orme vanno alla spiaggia, il mare fuma

lontano – a tratti dagli orti uno sparo.

 

Esco un mattino in quel candore e vedo

- a un  passo su un'isola di luce -

una fanciulla, fiore

della contrada,

che legge, ferma, una lettera (giunta

da che paese colorato?).

Ignara

della gente per la via,

e di me che la guardo, e della neve

che la incornicia,

legge  e gli occhi le ridono. Li leva

a un punto, muove

verso quel punto le labbra, ecco parla,

con uno parla che le solo vede

ode lei sola come nei miracoli.

 

Tanta neve è caduta

da allora! Tanta neve

fradicia e pesta ho sul cuore. Non so,

veramente non so

da che angolo incolume mi ride

quella bambina.

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MILENA MILANI

Milena Milani, nata a Savona nel 1922, va indicata, ancora oggi, come la scrittrice italiana che meglio ha saputo trasferire in una specie di “confessione in pubblico” le irrequietezze della sua condizione femminile, a partire dalla “Storia di Anna Drei” (1948) con la quale vinse il Premio Mondadori.

Seguirono “Emilio sulla diga” (1954) e la sua opera più celebre “La ragazza di nome Giulio” (1964), un romanzo incappato all'epoca nelle maglie della censura per la scabrosità dell'argomento trattato.

Da ricordare, oltre al libro “La Rossa di via Tadino” (1979) la sua intensa attività nel raccordare letteratura ed arti visive, quale protagonista della grande stagione albisolese degli anni'50 con Mazzotti, Jorn, Fontana, Lam: era il periodo della sua seconda presenza dalle nostre parti, dopo quella che ne aveva segnato la fanciullezza, in precedenza al trasferimento a Venezia all'inizio degli anni'40.

Recentemente Milena Milani ha donato alla Pinacoteca di Savona l'importante raccolta d'arte del suo compagno, Carlo Cardazzo, uno dei principali galleristi italiani recentemente scomparso.

Il 30 giugno 2004 Milena Milani  riceve il premio 'Goffredo Parise' per la narrativa per 'Venezia del cuore'.

In questa occasione pubblichiamo l'incipit di un racconto di Milena Milani, scritto in una occasione particolare: nel 1955 uscì il settimanale sportivo “Il Campione”, che tentò di unire cultura e sport in una dimensione del tutto originale per l'epoca (il settimanale era ispirato dalla redazione delle pagine sportive dell'Unità, a quell'epoca di altissimo livello letterario).

Sul n.4 della rivista, pubblicato il 10 Ottobre 1955, comparve così l'unico racconto “sportivo” di Milena Milani, di cui riportiamo le prime righe (si pensi che, in quello stesso numero, la cronaca della partita Fiorentina – Inter, terminata 0-0, fu firmata da Vasco Pratolini).

 

“ Stavo alla finestra tutto il tempo, e mia madre continuava a chiamarmi. “Devi studiare” diceva, “Devi fare buona figura”.

Sul tavolo i libri nuovi, comperati da poco, quelle copertine lucide di cartone, la penna, le matite, e anche un diario scolastico, che ogni giorno portava scritto quello che si doveva fare.........

.......”Non c'è niente” diceva mia madre, “questo campo offre poco, è meglio che tu studi, è sciocco perdere tempo alla finestra per guardare i gatti”.

Io lo sapevo benissimo, ma appena possibile continuavo a starci......

......Un pomeriggio mia madre uscì e nel campo vennero i ragazzi a giocare a pallone.

Vidi Michele prima degli altri, abitava in una calle poco lontana e frequentava la mia stessa classe, ma nella sezione B, io ero nella A.....

(da Michele ha fatto un goal, Milena Milani 1955)

ritmo del pane, Milani, 1972                        Picasso: ritratto di Milena                    Milena MILANI Amore per Zavattini 1980

Un indirizzo web utile: http://www.caldarelli.it/fotografia/milani.htm

 

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IL CONTESTO STORICO NEL QUALE FIORISCE IL FUTURISMO DI F. T. MARINETTI

Le conquiste scientifico-tecnologiche della seconda metà dell'Ottocento introducono in Europa grandi trasformazioni.
- La diffusione del motore a scoppio e dell'elettricità, il potenziamento dei trasporti, l'utilizzazione del telegrafo e del telefono, il grande sviluppo della produzione industriale e dell'economia svecchiano la società che diventa moderna.

I grandi conflitti armati sono conclusi; gli interessi degli Stati sono rivolti ad altre affermazioni.

Ma tra la fine del secolo ed i primi del Novecento nuovi orientamenti scientifici e filosofici portano a notevoli cambiamenti:

L'Italia, impegnata a risolvere i suoi problemi interni derivanti dall'unità nazionale da poco raggiunta, appare, rispetto all'Europa, arretrata economicamente e culturalmente. Qui il decollo industriale avviene all'inizio del Novecento.

In questo contesto compare F.T. Marinetti, che aveva respirato l'aria cosmopolita di Alessandria d'Egitto ed aveva vissuto a Parigi i fermenti di una cultura e di una società moderne.
Dotato di vivacissima intelligenza, di temperamento vulcanico e di notevoli risorse economiche, si propone di sconvolgere tutti i modelli definiti "passatisti" e di "modernizzare" arte, cultura, vita, secondo un progetto globale, che vuole provocatorio e dissacratore, per imporlo così all'attenzione, e che chiamerà Futurismo.
Il 20 febbraio 1909 Marinetti pubblica a Parigi sul Figaro il Manifesto di fondazione del Futurismo.
I futuristi fanno grande opera di divulgazione del loro pensiero diffondendo continuamente manifesti e adottando il criterio dell'insistente presenza attraverso tutti i canali possibili.

Il nome del Futurismo corre così in tutto il mondo; mai scuola, ma movimento da far conoscere con una capillare informazione, esso si identifica come fenomeno di avanguardia. I manifesti futuristi sono tradotti in Germania, Russia, Giappone e in molti altri paesi.

Via via che si diffonde nelle varie nazioni il Futurismo assume anche caratteri originali. Il movimento riveste particolare importanza in Russia. Natalia Gontcharova nel 1911 conosce i manifesti del Futurismo che definisce l'arte dell'avvenire. Nascono l'egofuturismo (1911) con Severianine e il cubofuturismo. (Nel 1913 i cubofuturisti organizzano degli eventi ispirati alle "Serate futuriste").
La sua diffusione interessa poi varie province dello stato sovietico, la Polonia, la Jugoslavia. Negli anni 1912-13 i pittori futuristi espongono a Parigi, Londra, Bruxelles, l'Aja, Amsterdam, Amburgo, Monaco, Berlino, Vienna, Rotterdam e Chicago.
La Francia e l'Inghilterra ospitano spettacoli futuristi italiani e danno vita ad esperienze futuriste. Si ricordano fra le iniziative la mostra di Boccioni a Parigi e la pubblicazione del manifesto della lussuria di V. de Saint Point, destinato a suscitare forti reazioni. La Closerie de Lilla diventa un centro di propaganda futurista.
Il movimento influenza anche attività artistiche ispano-americane, portoghesi, giapponesi.

Un aspetto, però, distingue nettamente il Futurismo italiano da quello di altri paesi. In Italia esso convive col Fascismo, anzi, salvo rare eccezioni, lo supporta, mentre fuori d'Italia fa prevalere la sua anima libertaria e rivoluzionaria (ad es. con Majakovskij in Russia).

Fonte documentale IE.R.RE

                                          

«S E Benito Mussolini

Roma

Cento artigiani artisti celebri Cooperativa Vetraria et Ceramisti Futuristi Albissola riuniti pranzo futuristi oltre facendosi interpreti intera cittadinanza plaudenti mi pregano esprimerti loro entusiasmo et assoluta devozione affettuosamente

Marinetti

Altare (Savona) 9 agosto 1932»

Fonte documentale la repubblica letteraria

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Guido Gustavo Gozzano

Guido Gustavo Gozzano (che si fece poi chiamare soltanto Guido) nasce a Torino il 19 dicembre del 1883. Si iscrive alla facoltà di legge, ma non giunse mai a laurearsi e preferì interessarsi di letteratura seguendo all'università di Torino i corsi di Arturo Graf insieme ad un gruppo di giovani con cui successivamente costituì il gruppo dei crepuscolari torinesi.

Lo scrittore, di salute malferma, non ebbe mai un lavoro fisso, ma partecipò alla vita culturale e mondana della Torino di inizio secolo. Nel 1907 rivela la sua necessità di rifugiarsi nella poesia rifuggendo le aspirazioni mondane pubblicando La via del rifugio. Qui lontano da mire intellettualistiche, rivela la sua originalità come nei due componimenti Le due strade e L'amica di nonna Speranza.

Nello stesso anno ha inizio la sua relazione con la scrittrice Amalia Guglielmetti, ma andranno peggiorando le sue condizioni di salute che lo porteranno alla tubercolosi. Nel 1911 appare il suo libro più importante I colloqui i cui componimenti furono disposti in tre sezioni: Il giovanile errore, Alle soglie e Il reduce.

Per tutto il corso della sua vita Gozzano collaborò a giornali e riviste con recensioni letterarie, fiabe per bambini, (I due talismani 1914, La principessa si sposa 1917) e novelle (L'altare del passato 1918, L'ultima traccia 1919).

Muore a Torino il 9 agosto 1916.

tutte le poesie e le raccolte di G. Gozzano si possono trovare all'indirizzo web: http://www.liberliber.it/biblioteca/g/gozzano/tutte_le_poesie/html/

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Le golose

Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.

Signore e signorine -
le dita senza guanto -
scelgon la pasta. Quanto
ritornano bambine!

Perché nïun le veda,
volgon le spalle, in fretta,
sollevan la veletta,
divorano la preda.

C'è quella che s'informa
pensosa della scelta;
quella che toglie svelta,
né cura tinta e forma.

L'una, pur mentre inghiotte,
già pensa al dopo, al poi;
e domina i vassoi
con le pupille ghiotte.

un'altra - il dolce crebbe -
muove le disperate
bianchissime al giulebbe
dita confetturate!

Un'altra, con bell'arte,
sugge la punta estrema:
invano! ché la crema
esce dall'altra parte!

L'una, senz'abbadare
a giovine che adocchi,
divora in pace. Gli occhi
altra solleva, e pare

sugga, in supremo annunzio,
non crema e cioccolatte,
ma superliquefatte
parole del D'Annunzio.

Fra questi aromi acuti,
strani, commisti troppo
di cedro, di sciroppo,
di creme, di velluti,

di essenze parigine,
di mammole, di chiome:
oh! le signore come
ritornano bambine!

Perché non m'è concesso -
o legge inopportuna! -
il farmivi da presso,
baciarvi ad una ad una,

o belle bocche intatte
di giovani signore,
baciarvi nel sapore
di crema e cioccolatte?

Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.

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L'onesto rifiuto

Un mio gioco di sillabe t'illuse.
Tu verrai nella mia casa deserta:
lo stuolo accrescerai delle deluse.
So che sei bella e folle nell'offerta
di te. Te stessa, bella preda certa,
già quasi m'offri nelle palme schiuse.

Ma prima di conoscerti, con gesto
franco t'arresto sulle soglie, amica,
e ti rifiuto come una mendica.
Non sono lui, non sono lui! Sì, questo
voglio gridarti nel rifiuto onesto,
perché più tardi tu non maledica.

Non sono lui! Non quello che t'appaio,
quello che sogni spirito fraterno!
Sotto il verso che sai, tenero e gaio,
arido è il cuore, stridulo di scherno
come siliqua stridula d'inverno,
vôta di semi, pendula al rovaio...

Per te serbare immune da pensieri
bassi, la coscienza ti congeda
onestamente, in versi più sinceri...
Ma (tu sei bella) fa ch'io non ti veda:
il desiderio della bella preda
mentirebbe l'amore che tu speri.

Non posso amare, Illusa! Non ho amato
mai! Questa è la sciagura che nascondo.
Triste cercai l'amore per il mondo,
triste pellegrinai pel mio passato,
vizioso fanciullo viziato,
sull'orme del piacere vagabondo...

Ah! Non volgere i tuoi piccoli piedi
verso l'anima buia di chi tace!
Non mi tentare, pallida seguace!...
Pel tuo sogno, pel sogno che ti diedi,
non son colui, non son colui che credi!

Curiosa di me, lasciami in pace!

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Le non godute

Desiderate più delle devote
che lasceremmo già senza rimpianti,
amiche alcune delle nostre amanti,
altre note per nome ed altre ignote
passano, ai nostri giorni, con il viso
seminascosto dal cappello enorme,
svegliando il desiderio che dorme
col baleno degli occhi e del sorriso.

E l'affanno sottile non ci lascia
tregua; ma più si intorbida e si affina
idealmente dentro la guaina
morbida della veste che le fascia...
Desiderate e non godute - ancora
nessuna prova ci deluse - alcune
serbano come una purezza immune
dalla folla che passa e che le sfiora.

Altre, consunte, taciturne, assorte
guardano e non sorridono: ma sembra
che la profferta delle belle membra
renda l'Amore simile alla Morte;
ardenti tutte d'una febbre e cieche
di vanità; biondissime, d'un biondo
oro, le cinge il pettine, secondo
l'antica foggia delle donne greche.

Per altre, il nodo greve dell'oscura
treccia è d'insostenibile tormento;
sembra che il collo, esile troppo, a stento,
sorregga il peso dell'acconciatura;
l'opera dei veleni in altre adempie
un prodigio purpureo: le chiome
splendono di riflessi senza nome
dilatandosi ai lati delle tempie...

Belle promesse inutili d'un bene
lusingatore della nostra brama,
quando una sola donna che non s'ama
c'incatena con tutte le catene;
quando ogni giorno l'anima delusa
sente che sfugge il meglio della vita,
come sfugge la sabbia tra le dita
stretta nel cavo della mano chiusa...

Le incontrammo dovunque: nelle sere
di teatro, alla luce che c'illude;
la bella curva delle spalle ignude
ci avvinse del suo magico potere;
e quando l'ombra si abbatté su loro
addensandosi cupa entro le file
dei palchi, il freddo lampo d'un monile
fu l'indice del duplice tesoro.

E le avemmo compagne, ma per brevi
ore, in vïaggi taciti, in ritorni,
le ritrovammo dopo pochi giorni
nei rifugi dell'Alpi, tra le nevi;
le ritrovammo sulla spiaggia, al mare,
dove la brama ci ferì più acuta:
ah! Per quella signora sconosciuta
ore insonni, nella notte, lungo il mare!...

Chi sono e dove vanno? Dove vanno
le crëature nomadi? Per quanti
anni, nel tempo, furono gli amanti
presi e delusi dall'eterno inganno?
Ah! Noi saremmo lieti d'un destino
impreveduto che ce le ponesse
a fianco, tristi e pellegrine anch'esse
nel nostro malinconico cammino.

Più d'un inganno lasciò largo posto
a più d'una ferita ancora viva...
Taluna - intatta - ci attirò furtiva
seco, ma per un utile nascosto;
altre, già quasi vinte, quasi dome,
nella nostra fiducia troppo inerte,
fantasticate quali prede certe,
furono salve, non sappiamo come...

Ed altre... Ma perché tanti ricordi
salgono dall'inutile passato?
Salgono col profumo del passato
da un cofanetto pieno di ricordi?
Ed ecco i segni, ecco le cose mute,
superstiti d'amori nuovi e vecchi,
lettere stinte, nastri, fiori secchi,
delle godute e delle non godute...

Desideri e stanchezze, indizi certi
d'un avvenire dedito all'ambascia
torbida che si schianta e che ci sfascia
rendendoci più tristi e più deserti...
Eppure, un giorno, questa febbre interna
parve svanire: quando ci si accorse,
tardi, di quella che sarebbe forse
per noi la sola vera amante eterna...

Tanto l'amammo per quel solo istante
ch'ella si volse pallida su noi
nell'offerta di un attimo, ma poi,
sparve, ella pure; sparve come tante
altre donne che passano, col viso
seminascosto dal cappello enorme
inasprendo la brama che non dorme
col baleno degli occhi e del sorriso...

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Camillo Sbarbaro: "Nella vita come in trincea alzi la testa e fischiano le pallottole."

per una biografia completa vai al sito: http://www.parcoculturaletigullio.it/sbarbaro.htm oppure sulla nostra pagina

Dapprima fu, nell'immaginazione, un facciata rossa in un vicolo evitato. Ai radi uomini che accostavano il muro a viso in su, delle svergognate di sotto le persiane tenevano proposte oscene. [...] La prima volta fu con una che si sventagliava sulla soglia. Mi conduceva il cattivo compagno. Mi restò l'impressione che avesse gli occhi di vetro. Allora esisteva il Peccato. Si camminava distrattamente; poi si scantonava di colpo. Accoglieva all'entrare un archivolto e l'acre odore. [...] Apriva nelle ore di ressa uno sportello donde si ritirava la tessera come nei cinema usa; e una donna alla porta, con un toscano in bocca, contendeva l'ingresso alla stanzetta a pianterreno, dove in una cruda luce di acetilene le ragazze aspettavano. [...] Prendevo sempre la prima, strangolato dal desiderio e dalla vergogna. [...] I miei occhi vedevano carni brucianti dove non erano che povere nudità e scambiavano dei cencetti colorati per gonne fastose. [...] Se mi fossi sbagliato di sesso, io sarei stata una di loro; con questa sete d'un po' di gioia quotidiana mi sarei perduta; per un nastro, per uno specchietto; per meno. [...] Vico Crema tiene nella mia vita il posto che, per altri, il ricordo del primo amore.

Camillo Sbarbaro (Santa Margherita Ligure 12 gennaio 1888 - Savona, Ospedale San Paolo 31 ottobre del 1967)

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Aforismi

Solo ciò che non si paga costa

Lo scontento di ciò che hai scritto è il concime di ciò che scriverai.

Nella donna lo commuove il seno: l'Abbondanza, ai suoi occhi di povero.

Nella vita come in tram quando ti siedi è il capolinea.

Più facile scrivere che cancellare; più che in ciò che riesce a dire, il merito dello scrittore è in ciò che riesce a tacere.

Una lettera d'amore che non fu aperta, la zitella.

Perché l'allacciano al polso, credono, il tempo, d'averlo a guinzaglio.

A proposito di "Cartoline in franchigia": ormai che è ricordo, riconoscenza alla guerra che per due anni mi distolse da me.

Anche oggi un lichene nuovo: il mondo non è finito di fare. [Sbarbaro era botanico di fama internazionale N.d.R.]

Alla spia della persiana, mio padre saltava su a spalancare finestre. L'aveva fatta lui, a vederlo, la bella giornata.

Non chiamarlo ratto, non ti farà più ribrezzo; chiamalo topolino, ti farà tenerezza.

Vanerella, la pianta del cece, sempre così azzimata. I figli le finiscono in minestre per poveri; ma lei chi l'ha mai vista senza i riccioli fatti

Inoffensiva, l'adolescente, a vederla: il ferro da stiro che, freddo alla vista, è rovente.

Felicità, ti ho riconosciuta al fruscio con cui t'allontanavi.

Non fare arte, lasciala farsi.

Nessun grido atroce all'orecchio come il silenzio dell'insetto sotto il dito che lo schiaccia.

Una cosa è quando è detta; è la parola che dà consistenza (e durata) al mondo.

Licenzio le bozze della mia ultima compilazione botanica: trenta anni di ricerche, centoventisette specie, nuove per la scienza. Ho dato anch'io una mano all'inventario del mondo.

Nella aiuole di Rapallo la scritta: RISPETTATE LE ROSE. Un imperativo finalmente accettabile.

Bolle di sapone, Sottovoce, Trucioli, Rimanenze, Scampoli, Fuochi Fatui... e se seguitassi: Spiccioli, Briciole, Quisquillie... mi denigro o più umile è l'atteggiamento, maggiore la superbia ?

Non dar dell'egregio: "uscito dal gregge" suona offesa agli altri, definiti così pecorame.

Leggersi, capacitarsi d'essere esistito.

Se eccesso di godimento è peccato, perdei l'anima per il boccale di birra in cui spensi una sete memorabile.

Ogni barca un nome di donna: i pescatori si affidano al mare su dichiarazioni d'amore.

Amico è con chi puoi stare in silenzio.

La viaggiatrice che s'accaparrava la mia attenzione è diventata innocua quando ho visto quel che leggeva.

Non è il dolore (come vogliono), è la gioia che fa buoni; anche un accenno di gioia. Non punge più quando è in fiore l'ortica.

Poesia, altro vizio solitario. 

Camillo Sbarbaro (Santa Margherita Ligure 12 gennaio 1888 - Savona, Ospedale San Paolo 31 ottobre del 1967)

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