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Parole che non leggerai

Un  racconto di Cristina Ricci*

in 5 puntate

Cap. 2/5

Ti cercavo nella folla, come mille altre volte.

I tuoi occhi su di me.

Ti scovavo finalmente tra la gente.

I tuoi occhi su di me.

Io ti osservavo, cercando di leggere i tuoi pensieri.

I tuoi occhi su di me.

Io ti guardavo, rispondendo in silenzio alla tua muta domanda.

I tuoi occhi su di me.

I miei occhi su di te.

Noi inconsapevoli, lei già seduta al tuo fianco,  pronta a muoversi, aspettava solo il momento giusto per iniziare a giocare con te e condurti via.

Via, lontano da me.

Ho scolpita nella mente la tua ultima immagine. Ancora non sapevo che fosse l’ultima.

Non immaginavo.

Speravo di rivederti, di rincontrarti.

Chissà se quei pensieri appartenevano anche a te.

Chissà se la speranza era verde anche per te.

Ho scolpita nella mente la tua ultima immagine. L’ho fissa sul negativo della memoria in modo indelebile.

Sfoglio le pagine del mio cuore e la trovo lì.

Mi riappari come quel giorno.

Lentamente la sala si svuota. La gente ci passa vicino, ci sfiora. Vengono attratti dall’uscita.

Attratti come le calamite attirano la ferraglia.

Noi,  di materiale refrattario, restiamo lì.

Restiamo lì, in piedi, mentre la sala si svuota.

I tuoi occhi su di me.

I miei occhi su di te.

Siamo lì, presenti ma assenti.

Siamo lì ma altrove.

Siamo lì ma potremmo essere ovunque.

Il tempo si ferma. Eistein riderebbe di noi. La sua relatività ci porta in un universo diverso, parallelo. Un mondo dove i secondi non sono più scanditi dall’orologio, in un mondo dove il tempo si ferma se io sono con te.

Un mondo dove i colori allontanandosi da noi sfumano fino a svanire.

Un mondo dove l’orizzonte non esiste.

Un mondo dove l’orizzonte sei tu.

Un mondo in cui il centro sei tu.

Un mondo che inizia a sciogliersi non appena la tua mano si alza, non appena la tua mano ondeggia, prima a destra e poi a sinistra, non appena compare quel ciao. Un ciao come quello che si mandano i bambini quando si scorgono da lontano e già sanno che non potranno giocare assieme. Si accontentano di agitare una manina, certi che l’altro capirà.

Sanno che capirà,

sanno che anche senza parole capirà,

sanno che tutto è rinchiuso in quel ciao:

“Ciao, mi fa piacere vederti”

“Ciao, mi sei mancata”

“Ciao, ti bacerei… fa conto che l’abbia fatto… non una ma cento volte”.

La mia mano risponde spontanea, come se io non fosse mia, come se fosse uno specchio e si limitasse a rimandare la tua immagine.

Ora sei sazio, lì immobile pareva non aspettassi altro.

Ti volti ed esci anche tu, vai incontro al tuo destino.

Il mondo parallelo ora scompare e io resto su questo pianeta vuoto ora che tu sei andato via.

Resto qua sola.

Unica, sola ed inutile come quelle scarpe che vedi appoggiate nei punti più impensabili delle vie.

Quelle scarpette che sono scivolate da piedini troppo irruenti, scarpette perse e ritrovate da altri.

Scarpette che troveranno il loro senso solo se potranno ricongiungersi e ritornare ad essere paio. Ecco, io sono così.

Sono la preziosa e fragile scarpetta di Cenerentola.

La scarpetta che la matrigna lascia cadere per cattiveria.

Cado, cado e mi frantumo al suolo.

Non mi ricongiungerò più a te.

Il racconto proseguirà nelle prossime 3 settimane

 

 *Cristina Ricci, quarantun anni, abita a Spotorno,  ha  pubblicato il suo primo romanzo (La montagna d’acqua – ed. Il Filo, Roma), un altro recentemente finito e tanta voglia di scrivere.

A questo “scarno” curriculum si può aggiungere la collaborazione con il blog dell’Udi Savonese per il quale Cristina Ricci ha scritto alcuni pezzi

 LE AMAZZONI Una nuova generazioni di donne