Ti cercavo nella folla, come
mille altre volte.
I tuoi occhi su di me.
Ti scovavo finalmente tra la
gente.
I tuoi occhi su di me.
Io ti osservavo, cercando di
leggere i tuoi pensieri.
I tuoi occhi su di me.
Io ti guardavo, rispondendo
in silenzio alla tua muta domanda.
I tuoi occhi su di me.
I miei occhi su di te.
Noi
inconsapevoli, lei già seduta al tuo fianco,
pronta a muoversi,
aspettava solo il momento giusto per iniziare a
giocare con te e condurti via.
Via, lontano da me.
Ho scolpita nella mente la
tua ultima immagine. Ancora non sapevo che fosse
l’ultima.
Non immaginavo.
Speravo di rivederti, di
rincontrarti.
Chissà se quei pensieri
appartenevano anche a te.
Chissà se la speranza era
verde anche per te.
Ho scolpita nella mente la
tua ultima immagine. L’ho fissa sul negativo
della memoria in modo indelebile.
Sfoglio le pagine del mio
cuore e la trovo lì.
Mi riappari come quel giorno.
Lentamente la sala si svuota.
La gente ci passa vicino, ci sfiora. Vengono
attratti dall’uscita.
Attratti come le calamite
attirano la ferraglia.
Noi,
di materiale
refrattario, restiamo lì.
Restiamo lì, in piedi, mentre
la sala si svuota.
I tuoi occhi su di me.
I miei occhi su di te.
Siamo lì, presenti ma
assenti.
Siamo lì ma altrove.
Siamo lì ma potremmo essere
ovunque.
Il tempo si ferma. Eistein
riderebbe di noi. La sua relatività ci porta in
un universo diverso, parallelo. Un mondo dove i
secondi non sono più scanditi dall’orologio, in
un mondo dove il tempo si ferma se io sono con
te.
Un mondo dove i colori
allontanandosi da noi sfumano fino a svanire.
Un mondo dove l’orizzonte non
esiste.
Un mondo dove l’orizzonte sei
tu.
Un mondo in cui il centro sei
tu.
Un mondo che inizia a
sciogliersi non appena la tua mano si alza, non
appena la tua mano ondeggia, prima a destra e
poi a sinistra, non appena compare quel ciao. Un
ciao come quello che si mandano i bambini quando
si scorgono da lontano e già sanno che non
potranno giocare assieme. Si accontentano di
agitare una manina, certi che l’altro capirà.
Sanno che capirà,
sanno che anche senza parole
capirà,
sanno che tutto è rinchiuso
in quel ciao:
“Ciao, mi fa piacere vederti”
“Ciao, mi sei mancata”
“Ciao, ti bacerei… fa conto
che l’abbia fatto… non una ma cento volte”.
La mia mano risponde
spontanea, come se io non fosse mia, come se
fosse uno specchio e si limitasse a rimandare la
tua immagine.
Ora sei sazio, lì immobile
pareva non aspettassi altro.
Ti volti ed esci anche tu,
vai incontro al tuo destino.
Il mondo parallelo ora
scompare e io resto su questo pianeta vuoto ora
che tu sei andato via.
Resto qua sola.
Unica, sola ed inutile come
quelle scarpe che vedi appoggiate nei punti più
impensabili delle vie.
Quelle scarpette che sono
scivolate da piedini troppo irruenti, scarpette
perse e ritrovate da altri.
Scarpette che troveranno il
loro senso solo se potranno ricongiungersi e
ritornare ad essere paio. Ecco, io sono così.
Sono la preziosa e fragile
scarpetta di Cenerentola.
La scarpetta che la matrigna
lascia cadere per cattiveria.
Cado, cado e mi frantumo al
suolo.
Non mi ricongiungerò più a
te.
Il
racconto proseguirà nelle prossime 3 settimane
*Cristina
Ricci,
quarantun anni, abita a Spotorno, ha
pubblicato il suo primo romanzo (La
montagna d’acqua – ed. Il Filo, Roma),
un altro recentemente finito e tanta voglia di
scrivere.
A questo
“scarno”
curriculum si
può aggiungere
la
collaborazione
con il blog
dell’Udi
Savonese per il
quale Cristina
Ricci ha scritto
alcuni pezzi
LE AMAZZONI
Una nuova
generazioni di
donne
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