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Non elemosina, ma Stato

 

di Milena Debenedetti


Questa volta voglio riallacciarmi a quanto scrive la brava Gloria Bardi, a proposito di manifesti elettorali, per una riflessione personale.

Lei si concentra, giustamente, sui volti, la grafica, i vuoti slogan con cui si vuole vendere il candidato come  una merendina, pura operazione di marketing, invece di accennare ai programmi.

Io dico invece che quando si intravedono, questi programmi, spesso è ancora peggio. Fanno passare qualsiasi desiderio di votarli.

Un tempo, almeno da quando è sceso in campo il nostro amatissimo, mi era facile decidere, molletta sul naso o no.

Dicevo, scettica ma rassegnata: stento a credere che questo centro sinistra faccia i miei interessi, ma sono assolutamente sicura che non li farà la destra. Nei programmi degli uni, almeno in teoria, c’erano molte cose che condividevo. In quelli degli altri, invece, neppure una, tanto da essere terrorizzata che li mettessero in pratica, come purtroppo hanno ampiamente fatto. Insomma, al di là dei molti problemi di conflitto di interessi e leggi ad personam e degenerazione dello Stato, per quel che attiene al lavoro, al sociale, all’ambiente soprattutto, questa maggioranza mi terrorizzava e mi terrorizza tuttora.

Più tardi le cose si sono complicate. Nel disperato appiattimento del centro sinistra sulle posizioni dell’altra parte, ritenute popolari, vincenti e moderne, nell’ostinata testardaggine delle sinistre a inseguire questioni di principio, spesso non prioritarie né opportune, nonché a dividersi su tutto, era difficile trovare motivazioni.

Neanche il tempo di ribollire per le proposte di bonus bebè, una roba da culle vuote di mussoliniana memoria, una elemosina umiliante insufficiente per un anno di pannolini, e te le vedo riproposte dalla Bindi nel programma del centro sinistra.  La faccenda velleitaria dei Pacs sbandierata dalla sinistra nel governo Prodi: va bene, io per prima sono favorevolissima ai diritti di tutti, ma tirare fuori un argomento tanto spinoso, una spaccatura fra laici e cattolici,  quando l’equilibrio politico è precario, che utilità pratica ha? Sa solo di infilare un bastone nell’alveare. E il tuo stesso elettorato, che ha molti altri problemi e ne vede rimandare la risoluzione a causa di polverose beghe di principio, non capisce.

Idem per gli ambientalisti. Qualche elezione fa mi ero meravigliata per l’attenzione assoluta ai diritti degli animali domestici e da compagnia, come prioritaria su tutto. Ne avevo avuto anche qualche polemica con una gentile animalista.

Purtroppo, a posteriori, sono stati i fatti a darmi ragione: l’idea di catturare voti di qualche categoria facendosi portavoce delle loro particolari istanze, non è detto che ottenga lo scopo e come minimo irrita gli altri, quelli che sono già elettori e non capiscono.

Un po’ come i teodem nei Ds ora Pd (E speriamo che abbiano fatto definitivamente le valige!) Un po’ come l’ostinata alleanza con l’Udc perseguita a tutti i costi, sempre e anche contro ogni evidenza autolesionista, dai dalemiani.

Ora mi chiedo e chiedo a chi mi criticava, a posteriori e alla luce dei fatti: è stato meglio puntare su un programma così particolare e venire bastonati alle urne, o sarebbe stato meglio raccogliere un po’ più consensi su temi generali e, forti di questi, fare anche gli interessi degli animalisti, come è giusto? Non è essere machiavellici, è solo buon senso.

Tant’è che, come estrema beffa, quando la sinistra e gli ambientalisti si sono finalmente presentati uniti, e con un bellissimo programma (l’ho letto), era ormai troppo tardi, e per ironia della sorte e per boicottaggio e per le scemenze veltroniane del voto utile sono stati puniti oltre ogni loro colpa.

Dopo questa lunga e noiosa premessa, torniamo a noi, e all’oggi. Alcune facce compunte, giovanilistiche e vagamente secchione annunciano, con tanto di fumetto, i propositi del Pd, occhieggiando su siti come quello di Repubblica. Cito a memoria, quindi non esattamente, ma come concetti.

No al nucleare, sì alle rinnovabili.  Benissimo: tutti dicono no al nucleare, persino la maggioranza degli amministratori locali di centro destra. Ma nella pratica, che fate? Non si è sentita molto la vostra voce, quando i  cittadini del basso Piemonte si autotassavano per un ricorso contro i depositi di scorie radioattive, e Beppe Grillo, il tanto criticato, li finanziava, senza cercarne particolare popolarità. E sotto la voce rinnovabili si comprendono gli inceneritori, il cdr, il massiccio ricorso al carbone ritornato in auge, oppure no? Bisogna dirlo.

Un nerd con occhiali e pizzetto fine, intellettuale a priori e quindi probabilmente ritenuto atto alla bisogna, ci annuncia contributi alle aziende. Perché, cosa abbiamo fatto finora, se non elargirli? Da Confindustria in giù è sempre stato un pianger miseria e chiedere soldi incentivi e cassa e sgravi fiscali, ottenuti puntualmente sotto centro destra e centro sinistra. Con quali risultati? Delocalizzazioni e  stabilimenti dismessi.

Non sarebbe meglio specificare COME, PER COSA e A CHI darli? Li vogliamo dare alla Fiat che chiude Termini Imprese, o sarebbe stato meglio darli a quel poveraccio che si è impiccato perché non riusciva più a pagare gli operai? (Una cosa che, giuro, mi ha straziato il cuore). Li vogliamo almeno vincolare strettamente all’occupazione, all’innovazione, al rilancio, al recupero ambientale? Comprovati, con programmi precisi e tempistica, non sulla carta sotto forma di propositi e belle parole da dimenticare subito dopo.

Ma il massimo della bile, tracimata per quanto rimugino da anni, è stato quando parcheggiando la macchina e guardando in su, verso un enorme manifesto, mi sono vista il faccione sorridente di Biasotti che propone aiuti per i nonni baby sitter.

(Volevo riportare la frase esattamente, ma quando sono tornata lì era già stato coperto dalla pubblicità di un prosciutto. Qualcosa vorrà pur dire.)

E’ lì non c’ho visto più, talmente questa idea è contraria a tutto ciò in cui credo, a tutto ciò che auspico per una società e uno Stato.

Togliere, togliere benessere, assistenza, garanzie, sostegno, impalcatura sociale insomma (e non chiamiamolo “welfare” mascherandoci dietro parolacce straniere! ) ai cittadini, per restituire qualche briciola sotto forma di umiliante elemosina. E a discrezione.  

Trasformare i sacrosanti diritti, la nostra parte nel rapporto paritario di dare e avere fra cittadini e insieme di cittadini, cioè Stato, in una sorta di carità  pelosa, pretestuosa, inefficace, contingente ed elargita graziosamente a sudditi inferiori.

Come il bonus bebè, appunto. Come la social card. Come lo stillicidio di beffardi contributi-tappabuco a fronte di tante situazioni di forte disagio sociale ed economico.  

E quel che più mi fa star male, è che tanti cittadini accettino queste briciole, che si accontentino persino di buon grado, anzi le richiedano, che si mettano da soli nello status di postulante, spalle basse e cappello in mano. Che ci sia rassegnazione e apatia, e in pochi condividano la mia rabbia.

Non è così che si dovrebbe fare. Uno Stato serio, lungimirante, efficiente non dovrebbe tagliare l’essenziale, far cassa privando i cittadini di una qualsiasi rete sociale, assistere a come si arrangiano alla meno peggio, e poi, se del caso, tamponare qua e là, trascinando situazioni insostenibili, avallando un disagio perenne e comunque incolmabile, non volendo vedere o fingendo di non vedere le conseguenze, che sono anche, alla lunga, ATTENZIONE, negative per l’economia e il progresso del Paese. Che ci riportano indietro, ci rendono meno competitivi ed efficienti.

Uno Stato che si arrende ne paga le conseguenze. 

   Uno Stato serio e moderno (e non parliamo qui, per favore, di centralità o federalismo, ma di Stato, nel suo insieme!) non può pensare che i ricchi debbano essere privilegiati, (scudo fiscale, sgravi, agevolazioni, fondi alle scuole private, persino le nuove iperclassi dei treni veloci) e tutti gli altri, la marmaglia, arrangiarsi, con panem et circenses e qualche sacco di monete gettato a pioggia ogni tanto. E non tanto, o non solo, per motivi etici o sociali, ma anche perché così è destinato al suicidio economico. E prima o poi, non lo volessero gli dei, a gravi turbolenze, quando la misura è colma e la disperazione prevale sulla ragione, l’educazione e il rispetto. Abbiamo già esempi in altri paesi.

Né è stato di consolazione scoprire che quanto avevo letto non era una bella pensata del candidato, ma un preciso proposito di governo, di Sacconi e Carfagna (quale pulpito!).  Al solito, leggo che l’occupazione femminile in Italia è ai minimi livelli, e non mi meraviglio, stante le premesse. Che le donne dopo la maternità lasciano il lavoro. Certo, avete provato voi a gestire i figli nella situazione in cui siamo, con per di più un ambiente di lavoro esasperante, competitivo, che penalizza comunque chi ha handicap familiari (anche gli uomini che, eventualmente e volontariamente, volessero dare una mano in casa)? Che negli altri paesi ci sono sì tre o quattro anni in cui la donna sta a casa, ma poi gradualmente rientra, quando il bambino cresce e ha meno esigenze. Da noi no. Perché il bambino continua a dover essere seguito e il mondo del lavoro non ti rivuole.

Da noi, quando i nonni “baby sitter”, sfiancati e anziani, subiscono il classico crollo post-ottantanni, ti accorgi che devi pensare pure a loro, e che i costi per non subire tutto questo, non dico per rientrare al lavoro, che sarebbe utopia, ma persino per avere una parvenza di vita tua, sono proibitivi e insostenibili.

La retorica. La retorica e l’ipocrisia di questo paese. La retorica del nonno baby sitter  che sorride con il nipotino per mano in un campo fiorito. Ma sapete la differenza fra godersi il nipotino e doverlo allevare? Fra una passeggiata, un racconto, un libro di fiabe, andarlo a prendere a casa, al nido o all’asilo, oppure tenerlo tutto il giorno e magari qualche volta la notte, accudirlo, ingegnarsi a farlo giocare, cedere ai suoi sempiterni capricci e trasformarlo inevitabilmente in un principino viziato ed egoista, incapace di inserirsi senza traumi nella società?

E vogliamo parlare del principio di eguaglianza dei cittadini? Chi non ha i genitori, li ha lontani o malati è cittadino di serie B, indegno di fare figli?

Cosa risolverebbe, il bonus? Quale umiliazione rappresenta, a pensarci bene? Di solito un nonno ha la sua pensione, beato lui. Lo paghiamo perché si accolla per amore del figlio un compito che va ben oltre il suo ruolo? Monetizziamo l’affetto?

E quanto vale, che so, una sorella colf, un fratello idraulico, una nuora badante? Quanto, in soldoni, in una società che pretende di mercificare grottescamente tutto?

La retorica ipocrita di questo Paese. La famiglia, la famiglia e la sua importanza, sopra tutto. Quando nella realtà le famiglie si sfasciano, e dall’alto ci arrivano sublimi esempi di solidi principi familiari. Andare a escort o a trans e raccomandare mogli, figli e cognati, salvando le virtuose apparenze, ecco la loro famiglia.

Non vado oltre, per oggi mi sono sfogata anche troppo. Ma chi volesse contrastare questo andazzo suicida, invece di adeguarsi, avrebbe fior di argomenti. Forniti dagli economisti e dalla statistica, roba concreta e quantificabile. A fronte di bonus posticci, si ha sperpero di denaro pubblico, risparmio solo apparente che non porta a niente, peggioramento e incancrenimento di situazioni negative. A fronte di investimenti precisi e mirati nell’assistenza pubblica si hanno enormi vantaggi, di competitività e progresso, per i  cittadini di entrambi i sessi, finalmente tornati di serie A, liberi di dedicare il loro potenziale creativo, di lavoro e competenze allo sviluppo serio e autentico del Paese. Con conseguenti ritorni economici per il Paese stesso, che può investirli anche in nuove strutture pubbliche, portando posti di lavoro, dignità, efficienza.

Una roba da favola, per noi. Una aspirazione di status da cui ci allontaniamo alla velocità di un gambero supersonico.

  

Milena Debenedetti 

Il mio ultimo romanzo  I Maghi degli Elementi