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A Castagnabanca di Pietra Ligure, un record in Italia. La straordinaria storia di Dino, origini a Merlara

La solitudine per amico

Un solo abitante, la cascina

e mezzo milione di metri quadrati

 

Castagnabanca (Pietra Ligure) – Un solo abitante, Dino “Il baffo”. La vecchia cascina per anni è stata ricoperta di rovi. Ora una dimora-presepio modello. Custodisce  anche un casalingo  museo delle tradizioni e degli attrezzi contadini, montanari. E’ avvolta da un unico podere -polmone verde- di oltre mezzo milione di metri quadri. Record italiano per un cittadino, mai reso noto e racchiuso in un vasto castagneto pittoresco, ricco di verde, prati e sorgenti. Da qui si può raggiungere la chiesetta di San Martino che la storia locale considera antichissima.

E con un’ora di cammino, tra boschi, noccioleti selvatici, distese d’erica, con scorci panoramici da cartolina, si arriva al rifugio di Pian delle Bosse, ultimato nel 1978 dai soci loanesi del Cai dopo cinque anni di lavoro. E’ possibile pernottare, con pranzo e cena: 48 posti letto. In un’altra ora si raggiunge la cima del Monte Carmo che, con i suoi 1389 metri, è la più alta vetta delle montagne savonesi e su cui, il 5 dicembre 1965, fu posta la croce che la domina. A 10 minuti, in direzione sud, si trova pure la baita “Amici del Carmo”, con 12 posti letto.

Non è la favola paesana che si tramanda di padre in figlio. E’ la cronaca vera di una montagna, il ritratto di un uomo che da 32 anni ha scelto la solitudine come strumento efficace per sentirsi felice, realizzato.

Per amici e conoscenti è “Il Baffo”. Per l’anagrafe, Dino De Vecchi, nato nel Comune di Merlara (Padova), in frazione Minotte, 10 metri sul livello del mare, 79 abitanti.  Dino non è più un cittadino veneto dal 1957, ma ligure, anzi di Pietra Ligure, la ultrasecolare “Castrum Petra”.

A Merlara il papà faceva il sarto, sabato e domenica anche il barbiere. Doppio lavoro, tipico in quelle terre. La mamma era casalinga.

Dino, in Riviera, è diventato un bravo meccanico, un ottimo corrozziere. Fino a quando ha scoperto la sua vera passione,  forse devozione. Giornata lavorativa da artigiano e nei ritagli di tempo, con l’aiuto della moglie Ida che il buon Dio  ha “richiamato” 9 anni fa, a 58 anni, dopo avergli donato due splenditi figli, Simona, primogenita e Stefano.

Un passo indietro. A Minotte, i coniugi De Vecchi avevano messo all’onore del mondo, educato, con lo spirito di sacrificio e laboriosità propria del Veneto contadino, cinque figli. Cinque fratelli che dalla campagna della Bassa Padana si sono trasferiti al mare in cerca di “fortuna”, di migliore vita. Sono tutti in forma. Galdino, primogenito, 70 primavere, ogni anno rispetta un impegno non scritto; raggiunge il paesino che gli ha dato i natali. Qui ha trascorso l’infanzia, l’adolescenza. Ora abita a Giustenice, alle spalle di Pietra Ligure.

A Merlara hanno lasciato la storia di una civiltà di origini preromane. Erano 3093 abitanti al censimento primi anni ottanta. Sono 2945 oggi. Con 1047 famiglie, una invidiabile proporzione  tra donne  (1474)  e maschi (1471), una media di 2,8 componenti per nucleo famigliare. Un flusso migratorio senza impennate. Tra le caratteristiche di Merlara, la serie di complessi rurali sparsi nelle campagne, parte integrante del panorama. Tra fattorie, colombare, barchesse che si presentano con grande armonia e sono testimonianza-simbiosi di un’intensa vita rurale.

Tra i cinque fratelli De Vecchi (l’unica sorella abita a Finale, l’ultimogenito Renzo, a Loano),  il più attratto da madre natura, dal fascino spesso interiore, quasi spirituale, della vita agreste, quasi selvatica, è Dino. In anteprima, lo scorso anno, era stato “scoperto” ed aveva raccontato, aperto alcune pagine del “suo libro”, alla “Gazzetta di Loano” che il prossimo 22 luglio festeggerà 82 anni dalla fondazione. Nacque, infatti, per iniziativa e lungimiranza del consiglio direttivo  della locale Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo. Si pubblicò per la prima volta un foglio cittadino intitolato “Il Gazzettino di Loano”.

Ad esso seguirono altri sei numeri (numeri unici). I primi due stampati  dalla Tipografia Carrara, gli altri cinque dalla Tipografia Villa, entrambe con sede ad Albenga. L’ottava pubblicazione uscì il 28 ottobre di quel medesimo anno e la testata mutò in “La Gazzetta di Loano”. La normale tiratura, riporta il volume (2 mila copie) “Città di Loano” - con l’iniziale esortazione di Padre Raffaele Bracco, dell’Ordine Eremitico di Sant’Agostino, origini a Mendatica e sepolto nel vecchio camposanto loanese – era di 500-600 copie.

L’unica persona che possedeva (testimonianza di qualche anno fa), rilegati e amorevolmente ben conservati, tutti i numeri de “La Gazzetta di Loano  era il dottor Ivo Olocco, rappresentante di prodotti farmaceutici: il papà aveva una tipografia. Il dottor Olocco è scomparso tragicamente in un incidente stradale mentre si trovava in ferie alle Canarie e oggi non siamo in grado di sapere se la moglie sia in vita ed eventualmente chi sia in possesso del “prezioso” archivio. Probabilmente è andato in buone mani, ovvero al prof. Antonio Arecco, storico e studioso locale da decenni.

Ottima la scelta di intervistare Dino De Vecchi, soprattutto a testimonianza delle future generazioni. Per la storia, “come eravamo”.

Tra le altre cose, nel suo linguaggio semplice, di passione e calore umano, Dino racconta: <Pur lavorando a Pietra Ligure, dopo un esordio giovanile in campagna come garzone e apprendista carrozziere a Loano, con i miei quattro fratelli abbiamo aperto un’officina meccanica, a poche decine di metri dalla stazione ferroviaria, e tutti ci siamo impegnati per 40 anni. In questa cascina, con mia moglie ed i miei due figli piccoli, accomunati dal grande amore per la montagna, la pace, mi dividevo tra il lavoro di artigiano e quello di allevatore. 50 mucche, 70 tra pecore e capre. Veniva quassù il simpaticissimo veterinario Adriano Marconi…Portavo il latte a Loano ed i figli a scuola…>.

A Trucioli Savonesi, Dino descrive alcuni clienti fissi, chi acquistava latte fresco, ricco della genuinità dei pascoli. <Il mio migliore ed affezionato cliente era il mitico Gelmo, Guglielmo Beretta;  ricordo Panizza quando aveva il laboratorio a Verzi. Tra le persone che sin dall’inizio mi sono state vicino, amici sinceri e disinteressati, l’insostituibile Cencin De Francesco. Era sempre qui, direi. Il più grande speaker, si dice cosi?, della storia loanese. Quando non si fermava da me, raggiungeva la sua meta preferita, il Rifugio di Pian delle Bosse. Spesso solitario. Lo ricordo fino al 1997, marciava in Vespetta, pure “truccata”. Non disdegnava la bicicletta. Mitico Cencin! Una personalità eccezionale. Unica. Peccato che Loano l’abbia dimenticato così in fretta…Senza riconoscenza>.

La cascina di Castagnabanca dove vive Dino De Vecchi, detto "Il Baffo" in posa con uno dei suoi cavalli

Come trascorre le giornate il “montanaro” di Castagnabanca? Parliamo di una grande soddisfazione morale, quel “regalo” che a volte il Padreterno riserva ai “Buoni”. Il figlio Stefano è diventato il braccio destro di papà Dino.  Cresciuto con il dono delle “mani d’oro”. Un giovanotto alla buona, semplice, che dal padre e dalla madre ha imparato i valori della laboriosità, dell’estro, della dedizione alle cose semplici di una volta. Ad apprezzare il “patrimonio” morale della civiltà contadina.

La cascina non racchiude più stalle per mucche e ovini. A ricordo di una innata passione-dedizione sono rimasti alcuni cavalli ed asini. Oltre ad esemplari da pollaio.

Stefano, 39 anni e papà Dino, 65 anni il prossimo 14 marzo (sarà festa?), accolgono ogni volta con soddisfazione e gioia bambini, scolaresche. Sono felicissimi quando si rendono conto che i “visitatori” restano affascinati da oggetti per loro sconosciuti.

C’è da augurarsi che questa meta, senza fini di lucro, sia sempre più realtà da scoprire per le scuole e gli adulti. Un richiamo turistico, alternativo al mare, ai giorni di relax.

La “trasformazione” umana di Dino  include la scelta di aver smesso l’abito di cacciatore, deposto la doppietta, pur non facendo parte dell’estremismo ambientalista. Che come tutti gli estremismi non reca benefici concreti alla comunità, semmai inutili divisioni. Tensioni.


Una serata culinaria, tra amici del Cai, con Stefano De Vecchi, che ha fatto gli anori di casa, con Valentina e Lorenzo, neo gestori del rifugio di Pian Delle Bosse

<Non uccido più nessun animale – confessa Dino - , tra i miei ricordi difficile dimenticare quel giorno che un cacciatore sparò ad una beccaccia…era viva…; un altro giorno e questo solo due anni fa, la visita di una volpe, accompagnata da due cuccioli; ha fatto strage di tutte le galline del mio pollaio>.

Un consiglio ai giovani? O meglio una testimonianza? <Studiare sul serio, applicarsi a mantenere vive le tradizioni, quelle vere, da non perdere. Penso, ad esempio, a come era inizialmente la Sagra del Crostolo, in Borgo Castello. Ai fratelli Tassara, al “comandante”… E come si è trasformata ora sul lungomare … Non so se tutto accade per colpa del troppo benessere, come sostiene qualcuno, o dell’eccessivo malessere sociale come dicono altri. Della perdita della memoria e valori.  Ai miei tempi i giocattoli per i bimbi erano prodotti in casa, oggi più ne hanno e più ne vorrebbero. Io mi accontentavo di poco, non conosco un’altra felicità all’insegna del progresso. C’è chi arriva alla laurea, ma nulla conosce della realtà vera che ci circonda>.   

Dino, per motivi di praticità, scende a Loano a fare spesa. <Mi fermo il meno possibile, l’indispensabile. Non vedo l’ora di tornare a casa. Spero che nessuno si offenda, ma questa società mi appare cambiata in peggio.

 Hanno tutto, si direbbe. Con l’esaltazione assoluta del denaro, del successo. Eppure, dal mio eremitismo parziale, vedo tanta gente nevrotica, nevrastenica. Ecco perché ho spalancato le braccia ed il cuore quando ho saputo dei due giovani che hanno preso la gestione del Rifugio di Pian Delle Bosse. Con loro, mi sembra di tornare indietro nel tempo, agli esordi con mia moglie. Dobbiamo aiutarli non solo a parole. Valentina e Lorenzo, due giovani laureati toscani che hanno scelto una vita davvero diversa, in controtendenza>.     

Visitando la cascina di Castagnabanca  ci si rende conto che il “pensiero e la filosofia di Dino” sono coerenti col suo fare. Tutta la struttura, l’arredo, gli spazi, sono opera del cosiddetto “mestiere”, “inventiva”. Nulla è stato trascurato, semmai c’è solo bisogno di completare il riordino e la sistemazione di centinaia di cimeli contadini, raccolti in mezza Italia. Sulle bancarelle, ma anche tra i commercianti, ambulanti dei “cose antiche”.

Chissà che un giorno, la comunità di Merlara, non decida di “scoprire” da vicino la scelta di vita estrema del concittadino. In una comunione di ideali da valorizzare, per non dimenticare. Con il sindaco in carica, rag. Luigi Carpi, che di anni ne ha soltanto uno di meno di Dino. Con il vice sindaco, Antonella Boggian, 52 anni, che dalla descrizione di “Comuni Italiani.it”, risulta nella categoria dei mestieri di falegnami e mobilieri, come l’assessore Marco Borin, 38 anni, il collega di giunta avvocato Gino Lorenzetto, coetaneo; infine il geometra Franco Pajola, il saggio decano del governo cittadino.

Un Comune che può fregiarsi, nel suo sito internet, dell’”Operazione Trasparenza”, dei curriculum pubblici dei suoi tre responsabili di settore, degli incarichi e delle consulenze esterne. Sono pubbliche anche le presenze giornaliere del personale. Insomma, una pubblica amministrazione che a prescindere dal credo politico ed appartenenza partitica, vuole “offrire” un’immagine dell’Italia laboriosa, rigorosa, dove l’amministratore pubblico è al servizio del cittadino, prima di tutto. Badando all’interesse generale, anziché al “particolare”. Cercando di mettere in pratica, insomma, la Costituzione, ma anche il Vangelo al quale siamo uniti dalle nostre origini cristiane.

Luciano Corrado