versione stampabile

 

Dopo il clamoroso degrado del Torrione (1564), un altro tesoro dimenticato

Il simbolo del premio Veretium

abbandonato all’incuria e al degrado

Le cronache ci ricordano solo il sequestro del maggio 1983. Continuano gli annunci di rilancio turistico e valorizzazione, convegni. Il ruolo della politica, dei suoi rappresentanti


Borgio Verezzi – Il “mulino” è il simbolo glorioso del premio Veretium. Era il 1971 quando fu consegnato il primo “mulino d’oro” all’artista Eros Pagni del Teatro stabile di Genova, alla presenza di Enzo Tortora.

Era sabato 7 maggio 1983 quando i quotidiani con cronaca locale (vedi La Stampa, a firma di Alberto Dressino) titolavano la notizia che l’antico mulino fenicio di Verezzi era stato posto sotto sequestro su ordine del pretore di Finale Ligure, dottor Vittorio Frascherelli, a seguito di esposto e richiesta dell’allora sindaco Enrico Rembado. I sigilli vennero posti alla presenza del cancelliere Luigi Sementa. E successivamente dissequestrato (nessuna notizia).

Trucioli Savonesi, nelle settimane scorse, si è occupato della sorte (assai poco felice) di un simbolo storico ancora più importante, il Torrione di Borgio del 1564. Un monumento, sottoposto a vincolo, lasciato nel degrado, nell’abbandono, in rovina, nonostante negli anni ci fosse stato un impegno ed un progetto di recupero, un primo finanziamento regionale.

Abbiamo successivamente appreso altri particolari sulla sorte ingloriosa (vergognosa per molti aspetti), riservata al gioiello antico. Una notizia sicura è che il Ministero aveva, a suo tempo, caldeggiato la necessità del restauro e del recupero della Torre e dello stabile, chiedendo di salvaguardare “anche le 4 catene”; l’immobile, un’opera architettonica di grande valore.

C’è pure un progetto, nell’ambito del “Poi”, a firma dell’ingegner Revello attuale sindaco di Vezzi Portio. A quanto pare siamo negli anni fine novanta. I soldi, quelli destinati al Torrione, pare siano stati dirottati su altri interventi in quanto non erano sufficienti.

Non è un problema di ricerca di responsabilità, non è utile e non serve alla causa di sensibilizzazione e mobilitazione affinché dopo i troppi scempi edilizi ed ambientali, la nostra Riviera della Palme non perda almeno le sue testimonianze che dovrebbero rappresentare un valore aggiunto al turismo.

Qualche anno fa, un quotidiano tedesco a diffusione nazionale, in un  reportage, scrisse: <Borgio, la città sul mare di Liguria, dove le palme sono più alte delle case>. Servizio che venne ripreso e “lanciato” da tutte le maggiori agenzie di stampa della Germania. Questa è promozione!

Non diciamo nulla di nuovo, per ricordare che le guide turistiche (cartacee ed ora via internet) non reclamizzano i nuovi palazzi, palazzoni, ville, villette che sono sorti qua e là, lungo la nostra costa. Non a caso i nuovi insediamenti vengono spesso accuratamente denominati con nomi affascinanti che ricordano “verde”, “storia”, “fascino della natura”, del golfo. Lo consiglia il “mercato”.

Il turismo, meglio se qualificato e di nicchia, visto che non disponiamo di ricettività popolare e migliaia di posti letto in alberghi,  ha sempre privilegiato, come appare logico e sensato, gli scorci caratteristici dei centri storici, le antiche dimore, i carruggi, i simboli dell’antichità, le tradizioni contadine, quelle rimaste. Il fascino agreste dell’entroterra, peraltro poco privilegiato nelle scelte di finanziamenti dello Stato, della Regione, della Provincia.

A questo si aggiunga, sempre per quanto riguarda il Torrione (per il quale il sindaco Giancarlo Vadora ha fatto presente a La Stampa che il Comune non ha i soldi e di averlo offerto invano alle associazioni locali) l’indiscrezione secondo la quale l’area interessata sarebbe stata data in affitto dal Comune ad un artigiano edile di Loano, per il ricovero di attrezzi. Speriamo di sbagliarci.

Comunque approfondiremo pure questo nuovo “schiaffo” eventuale.

Se a Borgio il “Torrione” piange, a Verezzi il “Mulino” non ride. Senza dubbio esistono alcune diversità sostanziali. Il primo è nel cuore nella vecchia Borgio, a pochi passi dal mare, è di proprietà comunale, dopo che il sindaco Rembado era riuscito ad acquistarlo (500 milioni di lire); il secondo è proprietà privata, si trova nella pittoresca Verezzi (un tempo comune e dialetto indipendente) e si raggiunge solo a piedi, attraverso La Crosa.

La sua particolarità? Premettiamo di non essere degli esperti, né iscritti all’albo dei “tuttologi”. Diciamo che dai ritagli di giornale emerge che era stato il sindaco Rembado a chiedere ed ottenere, appoggiato dalla sua giunta e dalla maggioranza, che il mulino di Verezzi fosse sottoposto a vincolo storico-monumentale.

C’era del resto la testimonianza-documentazione scritta da uno studioso belga (Gaspard). Lo scrittore, ma pure altri studi, ricordano che non si trattava in realtà di edificio fenicio, semmai realizzato con una particolare tecnica tipica dei fenici. E sono soltanto tre i mulini presenti al mondo. Uno sulla costa Nord Africana, il secondo sulla costa spagnola, il terzo a Verezzi.

Tra queste mura, nell’antichità, veniva macinato il grano con suoi derivati. Con un meccanismo di funzionamento davvero particolare. Non esisteva una  “girandola” (pale) esterna, come per i mulini a vento olandesi. La pala rotante, con  puleggia, si trovava all’interno delle mura, grazie ad un sistema naturale di aerazione “forzata” che penetrava da una serie di “finestrelle”, in parte visibili nella foto che pubblichiamo, unitamente al ritaglio stampa del 1983 (vedi….).

Tra l’altro nella zona, secondo un libro interessantissimo di Renato Rembado (“Donna fugata- storia d’amore, avventura nella Liguria dei trovatori”) , proprio alle spalle del mulino, in zona Castellari, ci sono tracce  di un insediamento di epoca romana. Nella zona, a poche centinaia di metri, si trova la Croce dei Santi di don Bruno. Sul crinale della montagna e ad un tiro di fucile dalla chiesa parrocchiale.

Ebbene il mulino di Verezzi (risale all’anno mille) è di proprietà della famiglia dell’avvocato Finocchio. Un cognome, un nucleo famigliare che il libro di Gianni Nari, “Storia di Borgio Verezzi”, iscrive nella pagina riservata a: “I Benestanti di Verezzi (marito e moglie)”. Giorgio Finocchio e Camilla Vierci ( U Sciù Giorgiu, A Scià Camilla), genitori di una figura assai conosciuta in tutta la provincia, l’avvocato Giorgio Finocchio, tra i fondatori nei primi anni sessanta, del settimanale locale “Il Risveglio” che cessò le pubblicazioni e da una costola (nel 1964-‘65) nacque prima “La Settimana Ligure” (Gilberto Costanza, Aldo Dompè e Romano Strizioli); a seguito della chiusura fu la volta di “La Nuova Liguria” (Luciano Corrado, con la collaborazione di Nico Sgarlata).

Da macina per granaglie, il mulino era stato nel corso dei decenni (non è noto come) svuotato, ristrutturato all’interno, per far posto ad un’abitazione, seppure parziale e non eccessivamente confortevole. E, come racconta Alberto Dressino su La Stampa, in seguito ad ulteriori lavori arrivò il rigore del sindaco Rembado. Anzi, fu descritta come una sorte di sfida, tra Franco Vignolo, personaggio assai conosciuto, ex calciatore a Finale, Albenga, Derthona, Pietra Ligure (dove abita), l’amministrazione comunale e la Soprintendenza.

Con ingiunzioni, tiro alla fune giudiziario-legale, fino all’intervento del pretore Frascherelli, oggi presidente di sezione di Corte d’appello a Genova, dopo essere stato un apprezzatissimo e stimato presidente di tribunale (sezione penale e civile) a Savona.

Ora l’antico mulino che potrebbe essere sfruttato ai fini turistici, meta di visite, di itinerari (ciò che avviene in ogni parte del mondo, dove si valorizza nei fatti  tutto ciò che è storico e può trasformazioni in attrazione, interesse culturale), è lasciato in stato di abbandono, incuria. Non è utilizzato dal privato, non è “presentabile” nel circuito virtuoso dei patrimonio pubblico di Borgio Verezzi.

E’ stato e viene utilizzato, a simbolo di bravura (il premio Veretium assegnato ogni stagione teatrale all’attore o all’attrice che si sono distinti), ma resta vittima del disinteresse collettivo.

Si dirà che mancano i fondi. Spontaneo chiedersi: non deve essere necessariamente il Comune a “sborsare”. Possono essere coinvolti Provincia, Regione, le Fondazioni bancarie. In Liguria, la Fondazione Carige e Carisa, finanziano ogni anno, con centinaia di milioni di euro, molteplici e benemerite iniziative. Succede da decenni. Che c’è di più importante di tutelare un bene storico, renderlo fruibile ai fini turistici, economici. Creare indotto, a favore di Borgio Verezzi, dell’intera comunità savonese, Ligure.

E’ anche su questo fronte che dovrebbe misurarsi la sensibilità e l’impegno dei nostri politici, delle forze economiche ed imprenditoriali di maggior peso nel contesto sociale. Non ci sono soltanto le operazioni immobiliari, le varianti ad hoc, i grandi investimenti strategici a creare volano e posti di lavoro.

E’ iniziando col valorizzare le piccole, ma utili cose, che si costruisce un tessuto di interesse e valore turistico.

Le associazioni di categoria diventate “ostaggio” del potente di turno, capaci di interminabile passerelle pubbliche, incapaci di autocritica e soprattutto di porsi traguardi, obiettivi, strategie, verifica dei risultati. Ottenere interventi significativi e non assistenziali.

Dunque c’è da chiedersi se non sia il caso che la stessa comunità di Borgio Verezzi sia più attiva ed incisiva, in tutte le sue componenti, interessati al “fare”, non al predicare, annunciare.

Borgio che ha avuto la fortuna di essere descritta, tramandata ai nostri posteri da ottimi storici locali, ad iniziare dal dottor Pangrazzi, ex dirigente Pirelli, con villino-seconda casa, a Borgio e che ha scritto forse la prima vera storia del paese, ad Gianni Nari, al suo maestro Giacomo Accame, fino a Renato Rembado.   

La famiglia Finocchio, molto attaccata orgogliosa delle origini, potrebbe riservare un gesto di generosità. Farsi promotrice di un’azione affinché la proprietà diventi patrimonio pubblico, a precise condizioni di valorizzazione.

 Abbiamo lungo tutta la nostra provincia molte testimonianze. Purtroppo la classe politica non spicca per sensibilità e lungimiranza, neppure su questo fronte. La Casta, ce lo documentano decine di libri, di statistiche, di fatti e fotografie della realtà, bada soprattutto a coltivare il proprio orticello della sopravvivenza e della clientela.

O perlomeno non viene riservata l’importanza e l’apprezzamento ai nostri valori. In una comunione di disinteresse, distacco, saltuari annunci di vigore. Presto dimenticati.  

Forse non è un caso se il Torrione (simbolo di Borgio, ripetiamo) e il Mulino (simbolo di Verezzi, con la sua più meritevole e conosciuta manifestazione teatrale di valore nazionale) più che monumenti storici, siano diventati l’emblema dell’ignavia dell’uomo a cavallo di due secoli.