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Non aprite quel PUC

 

di Milena Debenedetti


Ci sarà da vigilare e osservare. Il nuovo PUC di Savona, dai primi accenni che leggo, pare un mostro spaventevole dalle mille teste saettanti veleno e cemento. Della serie, finora abbiamo scherzato, con deroghe e varianti, così, tanto per gradire, ora si fa sul serio.

Una nuova, immonda colata. Vengono i brividi  a pensare all’operazione Papessa, e a ciò che comporta. Quella collina sofferente e spelacchiata, percorsa tante volte, chissà come mai, davvero, chissà perché, dal fuoco, anche nel famigerato 2003. Brividi al pensiero di orrende dita di calcestruzzo che si spandono a strangolare lentamente il simulacro che resta dei nostri boschi, brividi al pensiero delle tante immagini di disastri e crolli per dissesto idrogeologico, non così distanti da noi nel tempo e nello spazio, che ci perseguitano.

Se si vorrà scongiurarli, prevenirli, occorreranno opere immense. E costi, naturalmente, costi proporzionali che suppongo finiranno per gravare in qualche modo, almeno in parte, sulla cittadinanza, tanto per cambiare. Così come quelli per i vari servizi necessari. Utili privati e perdite pubbliche. E’ la moda corrente.

Nota: ho lasciato questo pezzo com’era. Quando ho iniziato a scriverlo, la settimana scorsa, pensavo a Ischia, a Catania, a quella frazione spezzina, Follo. Neanche a farlo apposta, è di questi giorni la notizia del dissesto di Poggio del Sole, Albissola. Ora, io non sono visionaria e neanche iettatrice, spero. Sono le premesse generali, che rendono anche troppo facili profeti. E’ logica conseguenza, non preveggenza. Tra l’altro, pare che, come informa Uomini Liberi, i costruttori di queste casette a schiera siano gli stessi che dovrebbero erigere Binario Blu. Stanno emergendo problemi di acqua nel sottosuolo, in quelle zone. Non voglio continuare a fare la profetessa a vanvera, senza riuscire a scongiurare i mali. Ma è fin troppo facile immaginare cosa accadrà, andando avanti: come minimo, costi extra, scaricati sulla collettività. Se non infiltrazioni e problemi. Ma tornando a Papessa:

Una cosa che dà particolarmente fastidio è chi siano gli attori in questa vicenda, e il rifarsi all’idea virtuosa di case popolari per far passare l’operazione.

Case popolari che devono essere ovviamente ammassate su un pendio, a imbruttire la vista. Non ci è bastato il famigerato quartiere detto “collina dei conigli”. No, continuiamo così.

Vietato pensare ad altre soluzioni meno devastanti, più civili. Il concetto non è mai costruiamo case per chi ne ha bisogno AL POSTO di inutili falansteri per improbabili ricchi. No, prima tutta questa edilizia di discutibile prestigio e poi, rovinato il rovinabile, DOPO, si pensa a queste  necessità, possibilmente andando a scovare nuove e più creative forme di bruttezza e rovina.

La questione case popolari, al solito, è un utile pretesto per cominciare a metter paletti, paletti di solido cemento, su una espansione ben più lucrosa. Si incomincia a portare strade e servizi, a urbanizzare la zona, e chi viene dopo ne godrà i frutti, per nuove cementificazioni più proficue.

Posso dire sinceramente che, da privata cittadina che vorrebbe meno girar di banconote e più buon senso, meno devastazioni ambientali e più sensibilità al bene comune, tutto questo mi fa schifo?

Sento che girano perplessità su questa storia, a vari livelli. Me lo auguro. Auguro un po’ di resipiscenza, di dubbio, (nota 2: anche visti i più recenti esempi)che se non è mosso da scrupoli di coscienza, lo sia dalla paura di effetti di un eventuale passo troppo lungo, di un boccone troppo difficile da digerire, di giusti allarmi. Delle conseguenze, insomma.

Sia dal punto di vista dissesto idrogeologico, sia dal punto di vista chiarezza e necessità delle operazioni.

Quello che  esce in questi giorni, le indagini intorno a certi costruttori e ambienti politici, non sorprende mica tanto. Chiunque passasse per Albissola, verso Grana, e osservasse quelle case grigie, non bruttissime in assoluto, ma incombenti, e le vedesse sorgere una dopo l’altra, e si accorgesse che rimanevano semivuote, e pur tuttavia altre simili ne spuntavano intorno, e notasse quel cartello vendesi piantato lì, da anni, e destinato a rimanerci ancora a lungo…certo non potrebbe pensare, neppure nella più benevola delle ipotesi, che quel quartierone fosse nato per soddisfare comprovate esigenze abitative.
Collina della Papessa

E vale per molti altri posti, basta guardarsi intorno. Del resto, statistiche e documenti affermano che non sono previsti aumenti di popolazione e che semmai ci sono case troppo grandi e costose. Sono dati ufficiali, che si vogliono ignorare a tutti i costi.

La desolazione da zombi della nuova darsena dovrebbe pur essere un valido esempio. Ho ancora nelle orecchie gli echi trionfali di articoli di giornale che dicevano come le nuove case fossero “andate a ruba”, come il centro della città fosse destinato a spostarsi lì, come stessero aprendo meravigliosi esercizi commerciali…

Sì, aprendo e chiudendo subito dopo. Non basta la pubblicità occulta, per creare un’anima, una vivibilità, un senso, dove non c’è. Non basta sparacchiare annunci su siti e giornali padani per attirare investitori

 Case vuote che stanno diventando enormi cassaforti di cemento per risparmi improduttivi di pensionati benestanti, o peggio, per soldi mal guadagnati. Ecco lo schifo. Ecco quello contro cui bisognerebbe ribellarsi a tutti i costi.

Come hanno dimostrato i clamori sulla legge regionale relativa al piano-casa, se non si rimane in silenzio, se si pressano i propri rappresentanti e gli si fa capire che la cittadinanza non è distratta e indifferente, qualche risultato si ottiene.

Occorre continuare nell’impegno e nella vigilanza, per quanto possibile, per impedire che Savona diventi ancora più brutta e sempre meno vivibile. Per far sentire il fiato sul collo dei cittadini a chi comunque, di tanto in tanto, ha ancora bisogno del loro voto e non lo può dare per scontato.

Di Binario Blu ho già accennato, e tanto basta. Sfido chiunque a dimostrarmi che simili mega operazioni abbiano una qualche necessità, una qualche utilità. (A parte qualche megaprogetto di riqualificazione collegato che il più delle volte rimane sulla carta, e comunque non è che specchietto e risicato alibi per coprire il grosso del disastro.)

Ma almeno, il danno ambientale, in centro città, esclusa questa faccenda dei pozzi, che poi tanto veniale non è, rimane contenuto.

Vogliamo farci ancora del male, vogliamo parlare di Natarella, degli ex cantieri navali? Altri palazzi sul mare, sul bagnasciuga, su quello che più che mai dovrebbe essere territorio di tutti, e se pure in passato è stato concesso ad attività che comunque davano lavoro e producevano, non si vede perché questo dovrebbe automaticamente rendere lecita la speculazione privata e improduttiva.

C’è stato persino un patetico mercato levantino con la Regione,  a proposito delle altezze. Massimo 8… eh, no, così i costruttori non ci stanno dentro, facciamo 12…no, 12 non si può… allora facciamo 11… no, 11,5…

Alla fine non so neppure su quanto si siano messi d’accordo. Mi hanno presa per stanchezza.

Sapete come la penso io? Be’, se fossi dittatrice assoluta, non solo non autorizzerei altri palazzi a mare oltre l’Aurelia, ma abbatterei i peggiori, per quanto signorili: i due davanti alla Fiat, i due accanto alle scuole XXV aprile, nonché l’orrendo casermone modellopuntaperotti di Zinola. Sicuramente ci sarebbero abbastanza case sfitte o invendute, in zona, di pari valore, per indennizzare i proprietari.

Recupererei il capitale necessario facendo pagare multe stratosferiche a tutti quei costruttori che non abbiano rispettato le regole, in merito a sicurezza, servizi, opere pubbliche promesse.

Sostituirei i palazzi con giardini. Recupererei, così com’è, almeno uno dei grossi capannoni dei Solimano per farne, che so, un museo, (museo dell’industria savonese?), un auditorium, un centro per giovani, una sala concerto, una sala congressi…Persino una megadiscoteca, va’: guardate quanto sono disperata.

Il resto lo abbatterei, e giardini e pista ciclabile anche lì. E parcheggione di servizio. Magari alberato.

Non autorizzerei più nuove costruzioni inutili. Serve riqualificazione, frazionamento in moduli abitativi più piccoli da vendere o affittare a prezzi meno iperbolici, per giovani e per non benestanti.

Demolizione delle cose più brutte, e ricostruzione. Ma non a volumi aumentati! Il costruttore si fa carico delle spese di demolizione e si limita a guadagnarci un po’ meno, senza piangere miseria e senza ricatti. E rispettando una certa armonia architettonica. Non come per l’Astor, che tanto era brutto prima, rifacciamolo altrettanto brutto e senza neppure più il teatro.

 

Si tranquillizzino tutti, si tranquillizzino gli abitanti dei palazzi succitati. Io dittatrice assoluta non lo sono e non lo diventerò mai.

I bravi esperti di architettura e di edilizia che scrivono anche qui su Trucioli potranno magari sorridere, avrò detto certamente ingenuità da incompetente. Ma lasciatemi sognare, almeno…Lasciatemi rendere l’idea. Basterebbe avere un po’ di senso del bello, di amore per la città, di rispetto per i cittadini, non essere gravati da disperato e inculturale provincialismo, modernismo fuori tempo massimo, controcorrente rispetto al mondo più evoluto, che fa ritenere bello ciò che è nuovo e imponente,  per vergognarsi di aver autorizzato certe cose, ogni volta che ci si passa davanti. E lo stesso vale per i cittadini che ancora non si sono svegliati, che dopotutto questi politici locali, di ogni colore o quasi, li votano.

Certo, comunque ci vorrebbe poco, pochissimo, per far meglio di così. Far peggio è difficile, ma diamo tempo al tempo: questi ci riescono sempre.

   

Milena Debenedetti 

Il mio ultimo romanzo  I Maghi degli Elementi