TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni

 

A COSA SERVONO GLI STOP DIDATTICI? E PERCHE’ GLI INSEGNANTI LAVORANO COSI’ POCO?

ECCO A VOI ALCUNI MALI DELLA SCUOLA.

 

di Massimo Bianco

 

La scorsa settimana in provincia di Savona sono iniziati i cosiddetti stop didattici, ma quale utilità rivestono? A proposito, sapete di cosa stiamo parlando, vero? Ogni anno, a febbraio, senza che vi siano né feste comandate né intralci di qualsiasi genere, le scuole di ogni ordine e grado si fermano per una settimana. Niente lezioni e tutti a casa in panciolle o magari in giro a dar lavoro alle località di villeggiatura. E siccome ogni provveditorato può fissare lo stop didattico nella data ritenuta più opportuna e poi ogni singolo istituto è libero di effettuarlo o meno a seconda di cosa ne pensi in proposito il preside oppure di spostarlo a proprio piacimento, quest’anno nella sola provincia di Savona ha finito per essere spalmato (ecco il perché del plurale iniziale) nel corso di ben tre diverse settimane, di cui quella corrente rappresenterà l’apice.

Allora, qualcuno sa rispondere a questa domanda? A cosa serve lo stop didattico? Premettiamo a onor del vero che esso non piace neppure a molti maestri e insegnanti, i quali devono sopportarlo per ordine superiore. “In effetti effettuare un’altra sosta a così poche settimane di distanza dalla pausa natalizia dal punto di vista didattico è deleterio”, ci ha confermato nei giorni scorsi un professore serio.

Quale altro scopo può dunque avere tale interruzione, se non quello di permettere alle famiglie abbienti di svolgere la settimana bianca e di regalare agli insegnanti stessi una vacanza extra stipendiata dallo Stato? E allora in definitiva a cosa mai servirà se non a peggiorare ulteriormente la fama di tale categoria lavorativa, vista dai più come una corporazione di lavativi? Perché, in effetti, quale altra categoria al mondo ha diritto a tre mesi di vacanze estive pagate dallo Stato, cioè da tutti noi cittadini italiani? E chi altri, dopo essersi riposato tre mesi interi, potrebbe pretendere di star fermo altri 15 giorni a Natale, ovviamente sempre pagato dallo Stato, come accade ai lor signori professori? E poi godere di un’ulteriore settimana di ferie a Pasqua e di ponti vari e, come se già non bastasse tutto ciò, ora anche di una settimana in febbraio?

Gl’insegnanti non fanno che piangersi addosso, eppure lavorano solo otto mesi su dodici. Voi direte: sì, ma in quegli otto mesi si fanno un mazzo tanto, come si suol dire. Magari. In quegli otto mesi insegnano effettivamente per non più di 18 ore settimanali, alle quali ne va aggiunta una di ricevimento parenti, quando si degnano di svolgerlo. Oggi non hanno neppure più l’obbligo di presenziare a turno alle mense degli studenti, laddove esse sono presenti! E in quelle peraltro non numerose materie in cui sono previsti compiti scritti, quei tapini dei nostri prof. devono preparare gli esercizi (per farlo basta mezz’ora) o i temi (e serve un minuto) e poi correggerli. Ma considerato il tempo libero di cui dispongono, correggere uno o due compiti in classe per quadrimestre non sembra un impegno poi così proibitivo, almeno per chi non deve suddividere le proprie ore di lezione tra una mezza dozzina di classi diverse. E se poi gli viene richiesto di tenerti un paio d’ore a disposizione per eventuali sostituzioni di colleghi, eccolo trovato, il tempo per correggerli. Quella degli insegnanti è l’unica categoria al mondo a ricevere 13 mesi di stipendio intero pur lavorandone solo 8 e per giunta part time. Poi certo, ogni tanto hanno qualche riunione. Poi certo, due volte all’anno sono impegnati con gli scrutini. Poi certo, alcuni di loro a fine giugno hanno gli esami di maturità. E sai che fatica, otto mesi e mezzo di lavoro invece di otto tondi!

E non ci vengano per favore a raccontare che vengono pagati anche per il tempo impiegato a studiare e ad aggiornarsi. Nella stragrande maggioranza dei casi, i professori insegnano la medesima materia per tutta la vita e, dopo essersi preparati all’uopo a inizio carriera, a meno che non soffrano di arteriosclerosi procedono tranquillamente col pilota automatico, ripetendo più o meno le stesse cose, conosciute ormai a memoria, per i trentacinque anni successivi, salvo magari leggersi una volta a decennio o giù di lì un testo aggiornato, giusto per assimilare le poche eventuali novità aggiunte dai programmi ministeriali. Basta quindi con le lamentele circa l’entità del loro stipendio: rispetto al lavoro effettivamente svolto risulta più che equo, la loro non è l’unica attività stressante al mondo.

E visto e considerato che lavorano per un numero esiguo d’ore, si pretenderebbe almeno che quel poco lo facessero con amore e passione, ma per quanti di loro ciò accade davvero? Ok, per parecchi senz’altro sì, tuttavia chiunque probabilmente sarebbe in grado di riportare esperienze negative circa la serietà professionale di loro vecchi insegnanti o di quelli dei loro figli. Quest’ultimo è però un problema prettamente soggettivo e in quanto tale esula da quello discusso.

Tornando allora agli stop didattici, naturalmente gli studenti si guarderanno bene dal protestare per la loro esistenza. Non è forse bello disporre di tre mesi di vacanze estive, più quindici giorni a Natale, più una settimana a Pasqua, più una settimana a gratis a febbraio, più quattro, cinque o più giorni di gita scolastica – a tutt’oggi svolta sovente all’estero con buona pace del ministro Gelmini, che aveva invitato gli istituti scolastici a prediligere i viaggi d’istruzione in territorio italiano – più le interruzioni previste per tutti quegli istituti sedi di seggi elettorali, in un paese in cui si vota ormai una o due volte l’anno, ogni anno. Aggiungiamo ancora gli eventuali scioperi studenteschi, durante i quali, tra parentesi, i professori non lavorano ma il loro stipendiuccio lo percepiscono regolarmente, non essendo loro a scioperare. Per completare il quadro, non dimentichiamo infine le assemblee di istituto e di classe nelle scuole superiori, truci figlie del ’68. E siccome queste ultime spettano per diritto addirittura una volta al mese, gli studenti ovviamente le chiedono, anche se non hanno un bel nulla da discutere, tanto più che sovente i professori neppure vi presenziano, benché sia previsto dal regolamento.

Poi però, per lavarsi la coscienza in previsione delle varie pause prefissate, gli insegnanti caricano i ragazzi di compiti (e perché allora definirlo stop didattico?), ma quelli, si sa, o vengono svolti in fretta e furia e male all’ultimo momento o vengono addirittura copiati dai secchioni della classe, che uno disponibile alla bisogna lo si trova sempre. Giusto così, forse, perché l’attività didattica diretta resta insostituibile: facendo debita attenzione a lezioni ben svolte, a casa potrebbe bastare perfino una semplice lettura approfondita.

E invece, quando si scopre che, dati statistici alla mano, gli studenti italiani risultano essere degli asini, ultimi in Europa quanto a preparazione, ci si sorprende perfino, con magnifica ipocrisia. Ma mi faccia il piacere, come diceva il grande Totò. Il ministro Gelmini ha voluto la riforma? Va bene, non entriamo nel merito, il tempo ci dirà se è stata buona oppure no, adesso però si dedichi a far sì che nelle scuole si lavori con un minimo di serietà, cominciando magari con l’abolire lo stop didattico. Poi certo, alle volte mancano le strutture, ma lamentarne la carenza è solo una scusa, con la buona volontà si risolve sempre tutto.

Massimo Bianco.