TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni

 

IL LIBRO DEL MESE:

IL MISTERO DELL’INQUISITORE EYMERICH

IL LIBRO DA EVITARE: TORTUGA

 

Vi ho mai parlato di Valerio Evangelisti? No? Possibile? Fatemi controllare gli arretrati…dunque, vediamo… eh sì, è proprio vero, incredibilmente siamo giunti al 2010 senza che io gli abbia mai dedicato una riga. È tempo di porvi rimedio: ebbene, Valerio Evangelisti è, o è stato, il più grande autore “di genere” italiano e forse anche europeo. Se poi volete sapere quale sia questo genere, beh qui le cose si fanno un po’ più complicate. Gotico, horror, fantascienza, occultismo, esoterismo, romanzo storico, avventura? I suoi romanzi sono tutto questo e anche di più, dunque un vero e proprio crossover. Valerio Evangelisti, nato a Bologna nel 1952, laureato in Scienze politiche e studioso di storia, ambito a cui ha rivolto cinque volumi di saggistica editi tra il 1981 e 1991, si dedica alla narrativa a tempo pieno dal quel lontano 1993 in cui vinse il premio Urania con “Nicolas Eymerich, inquisitore”, opera prima pubblicata l’anno successivo e che, baciata da un immediato successo, permise a un’intera generazione di scrittori italiani del fantastico, fino a quel giorno negletti, di sdoganarsi.

Per chi non avesse ancora gustato questo autore e fosse curioso di assaggiarlo, il romanzo più adatto potrebbe essere “Il mistero dell’inquisitore Eymerich”, Mondadori 1996. Si tratta del quarto di una lunga serie di romanzi dedicati al personaggio del titolo (nove fino ad oggi, a cui andrebbero aggiunti un volume a fumetti e un racconto, oltre a vari drammi radiofonici tratti dai libri stessi) ma secondo per svolgimento in ordine cronologico e quindi ideale per fare conoscenza col protagonista tralasciando provvisoriamente l’opera di debutto, a sindacabilissimo parere del sottoscritto solo parzialmente riuscita per la presenza di strambe forzature inserite al solo scopo di renderlo accettabile al pubblico di Urania. “Il mistero dell’inquisitore Eymerich” è un lavoro già assai maturo ma al contempo alleviato dalle complessità di altre pur ottime puntate. Affinché il lettore si appassioni, sarà però necessario che egli sia aperto a una tale pastiche di generi, perché chi fosse abituato a leggere soltanto letteratura tradizionale rischierebbe di restare scioccato dalla fantasia e inventiva di Evangelisti.

Sarà qui il caso di precisare che, nonostante la sua personalità e la sua biografia siano state ricreate ad arte dall’autore per i propri scopi, Nicolas Eymerich, protagonista del ciclo, non è un personaggio inventato ma è realmente esistito, nato nella catalana Gerona nel 1320 e morto nel 1399. Padre domenicano tra i principali appartenenti alla cosiddetta Santa Inquisizione, scrisse anche alcuni testi sulla materia, oggi fondamentali per ricostruire con una certa precisione il funzionamento della Inquisizione medioevale. Come forse saprete, l’inquisitore era un giudice straordinario della chiesa con giurisdizione universale. Egli aveva l’incarico di scoprire e perseguire ogni forma di eresia e l’autorità di far torturare i sospetti e di consegnare al “braccio secolare”, cioè in pratica condannare a morte, chi fosse stato giudicato colpevole.

Ne “Il mistero dell’inquisitore Eymerich” vediamo il Magister inquisitorum Padre Nicolas, o Nicolau nella più esatta dizione Catalana, partire nel 1354, assieme alla flotta del Re di Aragona Pietro IV detto Il Cerimonioso, alla volta della Sardegna, territorio appartenente alla corona aragonese e dove è in atto una ribellione guidata da Mariano, giudice d’Arborea. Quest’ultimo parrebbe avere un misterioso e potente alleato, un essere sovrumano nascosto all’interno delle grotte di Nettuno presso Alghero, chiamato Sardus Pater. Giunto in Sardegna Eymerich dovrà giostrarsi tra gli spaventosi e demoniaci misteri occulti in atto sull’isola e i complessi giochi della politica aragonese e internazionale, in una trama appassionante e condotta senza momenti di pausa. Contemporaneamente allo svolgimento principale, Evangelisti introduce anche dei paragrafi ambientati in un misterioso piano spazio temporale estraneo alla realtà. Soprattutto però egli presenta, con tecnica peraltro riprodotta lungo l’intero ciclo di romanzi, alcuni eventi futuri, perché quanto sta accadendo nella Sardegna medioevale si riverbera fino ai giorni nostri e perfino oltre. Così ai capitoli principali, collocati nel 1354, se ne alternano altri ambientati a partire dal 1942 e che vedono protagonista lo studioso della psiche Wilhelm Reich, personaggio a sua volta storico, alle prese con scoperte tanto rivoluzionarie quanto boicottate. Inoltre, ulteriori capitoli appartengono a un’imprecisata ma fosca e frantumata epoca futura, in cui gli eventi descritti conducono irrevocabilmente i giovani personaggi principali verso un luogo spaventoso, denominato con il non meglio precisato termine di Lazzaretto, ma che altro non può essere che la Sardegna stessa, divenuta nel frattempo ricettacolo di ogni male.

La tecnica di scrittura di Evangelisti non sarà forse eccezionale, ma la presa sul lettore eccezionale lo è senz’altro e la ricostruzione storica di sfondo – in questo come in ogni altro suo testo – si presenta molto accurata e convincente. A parte la trama del romanzo, piuttosto affascinante e in grado di conquistare il lettore, è però il personaggio stesso di Eymerich a risultare particolarmente riuscito. L’inquisitore è un perfetto esempio di antieroe. Dotato di un’intelligenza acuta ma alquanto contorta, è personaggio cupo e asociale, cinico e spietato, pragmatico e instancabile nel perseguire i suoi fini di “giustizia divina”, per quanto spiacevoli possano essi apparire. Egli è a un tempo assai colto ma fanaticamente devoto alla propria missione, coraggioso e pronto a tutto ma colmo di fobie e odi, intolleranze e idiosincrasie.

È un vero peccato che con gli anni Evangelisti abbia visto calare la propria creatività, facendo scadere poco alla volta qualità e fascino dei suoi scritti e che si stia riducendo a vivere sugli allori, pubblicando romanzi mediocri con l’unico scopo di fare cassetta. Gli “Eymerich” migliori sono quelli che vanno dal secondo al sesto: “Le catene di Eymerich”, “Il corpo e il sangue di Eymerich”, “Picatrix, la scala per l’inferno” e “Cherudek”, oltre a quello qui trattato. Cercateli, ne vale la pena. Purtroppo in seguito, anche se nel complesso “Il Castello di Eymerich” ancora tiene, l’autore è andato esaurendo idee e voglia, in particolare col davvero terribile, di nome e di fatto, “Mater terribilis”, ottavo titolo del ciclo, fiacco e in verità unico rigorosamente da evitare a meno di non essere un fan sfegatato. Meglio piuttosto leggere “La furia di Eymerich”, versione a fumetti,  asciugata e più efficace, proprio di Mater terribilis; peccato solo che in essa si persista nel definire il principe inglese Edoardo come “Principe Nero” nome in uso in realtà solo un secolo dopo la sua morte.

Il problema di Evangelisti è che scrive troppo. A tutt’oggi i volumi narrativi a suo nome assommano ormai a una ventina e sono stati prodotti in appena diciassette anni. Con una tale frenesia sembra quasi inevitabile cadere in un’alternanza di alti e bassi e che l’ispirazione vada progressivamente esaurendosi, per giunta col beneplacito della critica, qui in Italia raramente in grado di mettere in discussione uno scrittore – o un musicista – ormai arrivato, qualsiasi cosa pubblichi.

Già detto della sua serie principale e tralasciandone, nel bene come nel male, altre per motivi di spazio, il culmine negativo lo ha probabilmente raggiunto con le opere di pura avventura dedicate ai “Fratelli della costa”, i famosi pirati del mar dei Caraibi. Dapprima, nell’ottobre 2008, è apparso il pessimo e a tratti addirittura ridicolo “Tortuga”, sempre edito da Mondadori. Lo scritto narra, in maniera purtroppo assai sciatta e frettolosa, le avventure di Rogerio De Campos, un malriuscito e spento ex Gesuita che sembra una versione di Eymerich più ottusa e meschina, dapprima preso prigioniero da una banda di pirati impegnati nella cosiddetta guerra di corsa contro gli spagnoli e in seguito membro egli stesso dell’equipaggio. Narrandone le vicissitudini tra rivali, salvo un paio di eccezioni, perfino più stupidi e inetti di lui, il romanzo insiste stancamente a presentare una filosofia di vita spicciola di una banalità sconcertante. Quanto poi alla presunta storia d’amore millantata nel frontespizio della copertina, probabilmente (almeno così mi auguro) è stata inserita con l’unico scopo di evidenziare la mediocrità del protagonista, fattostà però che i passi a essa dedicati risultano tra i più insulsi e irritanti del libro, compreso il presunto colpo di scena conclusivo. Dove tuttavia “Tortuga” raggiunge il suo peggio, è nell’apocalittico duello finale tra Rogerio e il capo dei pirati, talmente improbabile ed eccessivo da risultare involontariamente comico. Forse mi sarei potuto divertire a leggere il libro a quindici anni, ma francamente ne dubito: evitatelo come la peste, qualunque età voi abbiate.

Infine nelle scorse settimane è apparso “Veracruz”, che descrive gli antefatti del romanzo precedente, ergendo a protagonista il cattivo di quella narrazione, e cioè il cupo e crudele Cavaliere De Grammont, insieme al suo secondo di bordo Macary e tutta la sua banda, ma che dopo la precedente spiacevole esperienza di Tortuga, il sottoscritto sarebbe disposto a leggere solo se sottoposto alle più feroci torture della Santa Inquisizione. È un vero peccato però che l’occasione sia andata perduta, un mondo fascinoso e appassionante come quello dei corsari avrebbe meritato ben altra trattazione.

Come unica alternativa a un sereno pensionamento, resta solo da sperare che Evangelisti recuperi un minimo d’ispirazione, magari riducendo il ritmo produttivo. Egli non si deve d’altronde illudere: per quanti scritti possa pubblicare, la sua sorte sembra già segnata. Proprio come Arthur Conan Doyle, autore di uno sterminato numero di opere del genere più vario tra cui, guarda caso, romanzi di pirateria, ma noto quasi a tutti esclusivamente per il suo Sherlock Holmes, anche il nostro Valerio pare destinato a essere ricordato per il solo Eymerich. L’inquisitore, dunque. Per contratto il ciclo di Eymerich prevede un decimo romanzo. Nonostante le numerose puntate già uscite, il personaggio consentirebbe ancora validi spunti. Sarebbe ad esempio interessante presentare proprio lui, che odia la vecchiaia e l’altrui debolezza, costretto ad affrontare un nuovo temibile nemico pur essendo ormai divenuto vecchio, debole e spaventato dalla propria misera condizione.

Massimo Bianco