Vedo madri disperate correre.
I neonati sobbalzano tra le loro braccia mentre
loro affannosamente cercano altri figli che, nel
caos, hanno perso di vista.
Ognuno cerca di mettere in
salvo quel che ha di più caro.
I mercanti caricano i carri
delle loro merci preziose e tentano invano di
convincere gli animali a trainarli ma anche i
buoi sembrano non capire più nulla.
I buoi.
Questo mi ricorda di te.
Anch’io, come tutti, devo
mettere in salvo qualcosa di prezioso.
Da mesi mi reco alla fontana
solo per vederti.
So che non dovrei.
So che i miei mi
proibirebbero queste uscite se sapessero.
Il nostro pare ormai un
appuntamento fisso. Con gli occhi abbassati
tendo le orecchie.
Sento lo scalpitio degli
zoccoli e già sento le mie guance avvampare. Un
brivido caldo mi scuote ogni volta.
Riempio l’anfora e intanto ti
osservo con attenzione anche se con apparente
casualità.
Osservo i tuoi riccioli.
Sogno di poterli tessere con le mie dita. Li
immagino morbidi come il vello degli agnelli.
Scruto
i muscoli della tua schiena che si tendono sotto
la tunica mentre strattoni i buoi. Gli animali
annusano l’acqua e sembrano volersi fermare
sempre qui. Impuntano gli zoccoli nel
lastricato. Agiti la frusta, ti prodighi in
mille maniere ma sembri riuscire a convincerli
solo quando qualche altro carrista ti raggiunge
e inizia ad
apostrofarti con
insulti.
Oggi tutti corrono qua e là,
senza meta e senza senso come le formiche quando
avvicino la torcia alla loro tana.
Corro
anch’io, ingoiata dalla moltitudine. Vado contro
corrente. Incastro il mio fragile corpo tra la
folla e cerco di avanzare verso la fontana.
La
gente mi respinge e ogni passo avanti è una
conquista.
So che non ci sarà domani e,
anche se credessi il contrario, avrei bisogno
anch’io di mettere in salvo qualcosa di
prezioso.
Ma non ho né scudi né
gioielli.
In verità non posseggo
neppure uno scrigno.
L’unico tesoro che ho è la
mia vita.
Il mio futuro e te.
So che solo oggi mi è
concesso così mi affanno per scoprire quanto
possano essere dolci i tuoi baci. Magiche le tue
carezze.
All’improvviso qualcuno
afferra la mia mano. È una presa forte, salda.
Non conosco il tuo nome ma
riconosco la tua voce. Mi lascio guidare molto
più docilmente di quanto abbiamo mai fatto i
tuoi buoi. Lasciamo la strada maestra. La folla
si affievolisce tanto che noi avanziamo.
Nonostante sia mezzogiorno il buio è quasi
totale. Le vie sono cosparse di mobili e averi
che i fuggiaschi hanno abbandonato pur di
velocizzare la partenza e dobbiamo far
attenzione a non ferirci urtandoli.
L’aria è sempre più calda.
Varchiamo il primo uscio
lasciato aperto; incustodito.
Nella penombra, il trambusto
sembra essersi placato. Non chiedi neppure il
mio nome. La tue mani mi cingono il volto; mi
avvicinano a te.
Chiudo gli occhi intuendo che
presto mi bacerai.
Le tue mani mi accarezzano.
Si posano sui miei capelli,
scendono lungo la schiena, mi stringono a te.
Respiro il tuo odore e
sorrido scoprendo la morbidezza dei tuoi
riccioli.
Rinasco stretta a te.
Raggiungo magiche e ignote
mete dove non sarei mai potuto arrivare da sola.
Le nostre mani si
intrecciano. I baci si interrompono solo per il
breve istante di un sorriso.
Non conosco neppure il tuo
nome.
Tra poco tutto finirà.
Solo i nostri corpi
resteranno eterni.
Eterni come il nostro amore.
Liberamente ispirato dalla
leggenda metropolitana che, tra i corpi
ritrovati a Pompei, ci siano quelli abbracciati
di un uomo e una donna.
*Cristina
Ricci,
quarantun anni,
abita a Spotorno,
ha
pubblicato il
suo primo
romanzo (La
montagna d’acqua
– ed. Il Filo,
Roma),
un altro
recentemente
finito e tanta
voglia di
scrivere.
A questo
“scarno”
curriculum si
può aggiungere
la
collaborazione
con il blog
dell’Udi
Savonese per il
quale Cristina
Ricci ha scritto
alcuni pezzi
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