STORIA DEL PCI: FUNZIONE PEDAGOGICA
E INTELLETTUALE COLLETTIVO
di
Franco Astengo
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Sono state molte ed
articolate le argomentazioni espresse da
intellettuali e dirigenti di primissimo piano
che hanno appartenuto alla storia del
PCI, intervenuti nel corso del seminario
svoltosi qualche giorno fa a Roma intorno ai
temi proposti dal libro di
Lucio Magri “Il
Sarto di Ulm: per una possibile storia del PCI”
(Tronti, Rossanda, Reichlin, Macaluso, Tortorella, lo stesso
Magri).
Si è accennato anche al
ruolo del partito sul piano teorico, quale
struttura organizzativa e funzione di
integrazione di massa: ed è su questo punto che
vorrei soffermarmi, accennando ad una tematica
che ritengo molto importante non solo da
ricordare per una corretta ricostruzione del
passato, ma anche in funzione di una possibile
riflessione per il presente.
Il partito ad integrazione
di massa, nella accezione specifica realizzata
concretamente dal
PCI per un periodo non breve della
storia d'Italia
(si è discusso a lungo tra “socialdemocrazia” e
“espressione del sistema sovietico”: andrebbe
ricordato anche lo “strano animale” identificato
nella giraffa) ed originalmente inseritosi nella
realtà della sinistra europea dell'epoca, ha
svolto una funzione fondamentale dal punto di
vista pedagogico. |
Non si accenna qui al
ruolo degli intellettuali ma, piuttosto, a
quello della classe operaia: laddove, ad esempio
(un esempio che svolgiamo soltanto per
circoscrivere il nostro discorso) la classe
operaia appariva davvero “forte, stabile e concentrata” la
penetrazione del partito non si limitava ad
essere semplicemente ideologico – organizzativa;
la frequentazione della sue sedi, le scadenze di
incontro, di discussione, anche la ritualità
stessa del suo concreto agire politico aveva,
senza dubbio, fornito la realtà di un “partito pesante”
ma anche di una comunità “pensante”,
di un agire collettivo rispetto a temi
fondamentali della vita civile associata.
La tensione culturale
della base comunista (soddisfatta anche da una
produzione imponente dal punto di
vista editoriale: collane, riviste, ecc)
risultava essere una tensione complessiva: non
solo finalizzata strumentalmente all'agire
politico.
Si trattava di una
tensione di “crescita”
verso una dimensione etica, sicuramente molto “includente”
se non totalizzante (su questo ci sarebbe da
analizzare ancora adesso con attenzione), ma
capace di fornire ai singoli e al collettivo un
bagaglio tale che, alla fine, consentiva
all'universo comunista di esprimere sul serio
una dimensione da “intellettuale collettivo”.
Certo, esistevano limiti
importanti in questa azione: limiti
evidenziatisi poi nel momento dell'esplosione
della modernità e del superamento – oggettivo –
di una “dimensione di classe” che faceva fatica
ad accettare e comprendere nuovi valori, di
quelli del tipo definito “post-
materialista”.
Era quella però la vera
forza del partito, unita a quella di una grande
qualità intellettuale complessiva del gruppo
dirigente: una forza, quella dell'intellettuale
collettivo, che ha permesso di costruire anche
una rete di “intellettualità diffusa” che si
esprimeva a livello di quadri intermedi,
essenzialmente nelle
Federazioni che rappresentavano un cuore pulsante.
L'alto livello culturale e
politico dei quadri intermedi rappresentava il
terzo punto su cui poggiava la struttura
complessiva del
PCI (gruppo dirigente, quadri intermedi appunto, e base in
grado di esprimere “intellettualità diffusa”)
secondo lo schema poi raccolto da
Maurice Duverger negli anni'50.
Dunque, tra limiti,
errori, interrogativi (si è discusso a lungo su
quando questa storia sia finita davvero: ci
permettiamo un accenno interpretativo, sotto
questo aspetto. Forse quando l'intreccio tra
queste tre realtà è finito ed il
“quadro intermedio”
ha pensato che fosse il momento di liberarsi del
“fardello”
lavorando all'obiettivo del “liberi tutti”,
dello “sblocco del sistema politico, nel momento
in cui appariva possibile vivere “di politica” e non più
“per la politica”).
Oggi, imperversante la
personalizzazione, mentre si parla di “Berlusconi rosso” e si esalta il
dialogo diretto tra il capo e le masse quale
sintomo di corretta interpretazione della
modernità (senza alcuna accenno agli anni '20 e
'30 del XX secolo) potrà apparire del tutto
inutile rievocare i temi che abbiamo cercato di
riprendere in questo intervento.
La pensiamo esattamente al
contrario: rievocare i tratti salienti
dell'originalità specifica rappresentata dal
PCI
proprio nel suo essere “partito di massa” (
comprensivo al suo interno, ovviamente, di una
applicazione molto rigida della “teoria dell'elite”, da
Weber a Michels, da
Mosca a Pareto) significa compiere
assieme una operazione controcorrente sul piano
storiografico, ma anche portare avanti una
iniziativa politica. La sinistra
italiana appare del tutto squassata da una crisi
verticale, senza precedenti, che potrebbe
portarla alla definitiva estinzione: ai suoi
gruppi dirigenti, a quel che ne rimane, a chi
ancora è presente sul territorio vale forse la
pena di chiedere ancora di riflettere su questi
argomenti e, prima di azzuffarsi sulle liste
elettorali e sui posti di potere, andare (come è
stato detto nel corso del seminario citato) ai
fondamenti di quella che è stata una forte
cultura di sinistra.
Savona,
23 Gennaio 2010
Franco Astengo
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