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Allo specchio

I racconti di Cristina Ricci*


Domani nella battaglia pensa a me di Javier Marías?

Ho annotato la frase sul notes che Marina, ai tempi della scuola, mi aveva regalato vedendo in me una promettente scrittrice. Nella prima pagina una dedica “In piccolo i tuoi grandi pensieri…”

Oggi di quel moleschine rimane una sbrindellata copertina che racchiude fogli ingialliti e, per lo più spiegazzati.

Nella mia giovinezza ritenevo che la caducità della vita fosse data solo dalla morte.

Ora che aspetto la nera signora,

ora che l’attendo,

ora che è l’unica che mi può liberare e, per certi versi, riscattare da queste giornate che passano inesorabili segnando e sottolineando i miei giorni falliti,

ora mi rendo conto che la precarietà accompagna i miei/ i tuoi/ i nostri giorni, li tiene per mano dolcemente e che, lo stato della nostra esistenza si racchiude in una parola: transitorietà.

Si, per quanto creato ad immagine e somiglianza di Dio l’uomo è transitorio e, oserei dire, accessorio.

 Transitorio in un’esistenza che pare infinita nella giovinezza e troppo breve nelle vecchiaia. Accessorio in una vita che,  paragonata alla durata dell’universo, è irrilevante e superflua.

In questa grigia domenica mattina mi sono concessa una pausa che il fischio della caffettiera di solito nega, ammonendo che non verrà tollerato un ulteriore ritardo sul lavoro.

In questa grigia mattina indugio davanti allo specchio chiedendomi a chi appartiene quell’immagine riflessa.

Chi è che mi fissa con i capelli arruffati che mostrano vergognandosi il loro candore?

Chi è quella donna che mi scruta con occhi spenti?

Occhi resi ancora più opachi dal trucco che non ho tolto prima di coricarmi e che si è sfatto durante la notte.

Occhi che emergono dalla tramaglio di solchi più o meno profondi che sono i resti della mia vita passata.

In questa domenica mattina è riemersa la frase che tanto mi aveva colpito in passato.

«Nessuno pensa mai che potrebbe ritrovarsi con una morta tra le braccia e non rivedere mai più il viso di cui ricorda il nome.»

Soffermandomi con più di attenzione del solito sulla brutta copia di ciò che ero mi sono resa conto di aver tenuto tra le braccia il cadavere della mia giovinezza. 

Javier aveva lanciato il suo monito ma io, nonostante ne avessi colto l’importanza non avevo capito; non fino a oggi.

Ora mi chiedo quando, qual è stato il momento preciso, l’attimo esatto in cui tutto è avvenuto sotto i miei occhi ma a mia insaputa.

Deve essere accaduto in un ieri qualunque, in un giorno trascorso come ogni altro senza che mi rendessi conto della sua unicità.

Era un giorno speciale, un giorno da ricordare, un giorno che ha segnato la svolta dell’esistenza se, tra le mie braccia era accoccolato il cadavere di ciò che ero; ma io, quel giorno, non lo ricordo.

Un giorno in cui ho imparato, un giorno in cui, al di là di tutto, sono rinata.

E questa nuova io, questo nuovo essere ha ricominciato.

Percorso un nuovo tragitto,

perseguito una nuova meta.

E per questo ora,

ora che aspetto la nera signora,

ora che l’attendo,

ora che è l’unica che mi può liberare e, per certi versi, riscattare da queste giornate che passano inesorabili segnando e sottolineando i miei giorni falliti,

ora mi rendo conto che non esistono giorni falliti, ma solo giorni di nuove esperienze, giorni di crescita, giorni di cambiamenti.

Giorni di vita.

Vita che, se  paragonata alla durata dell’universo, è irrilevante e superflua.

Vita unica occasione concessa, unica opportunità di cui dovremmo essere artefici.

  

 *Cristina Ricci, quarantun anni, abita a Spotorno,  ha  pubblicato il suo primo romanzo (La montagna d’acqua – ed. Il Filo, Roma), un altro recentemente finito e tanta voglia di scrivere.

A questo “scarno” curriculum si può aggiungere la collaborazione con il blog dell’Udi Savonese per il quale Cristina Ricci ha scritto alcuni pezzi