Una rubrica sulla bioetica a cura della Dr.ssa Bardi BIOETICA NEL NOME DELLA MADRE |
E' possibile scrivere all'Autrice di questa rubrica ed intervenire inviando una email a : collaborazioni@truciolisavonesi.it, oggetto: Bioetica La ricorrenza, in settimana, della festa della mamma suggerisce l’argomento. Uno dei più caldi sul tavolo del dibattito bio-politico, che ci conduce nel territorio della bioetica di inizio-vita e non solo, dal momento che si riflette sul modo di pensare la genitorialità, il rapporto tra la donna, il proprio corpo e la società, il rapporto tra etica e politica. Tutto questo rende l’argomento uno dei più complessi, che è particolarmente grave affrontare in modo semplicistico o in base a riferimenti assoluti che, quando si trasformano in leggi, diventano autoritari. E dirò subito che è esattamente quanto accaduto in Italia con la mai abbastanza vituperata legge 40, che recepisce, in barba al principio di laicità dello Stato, le indicazioni di quella che qualsiasi comparazione ci rivela come la chiesa più fondamentalista in quest’ordine di questioni.
E’ per questo motivo, oltreché per il fatto che a giugno si svolgerà un referendum abrogativo di 4 articoli di legge, che tornerò più volte sulla questione, articolo per articolo.
Oggi, data la ricorrenza, inizierò nel nome della madre. Una madre che, come suggerivo nel titolo, ha visto moltiplicarsi i suoi volti. Secondo ordine naturale madre è colei che produce l’ovulo che poi verrà fecondato, concepisce, fa sviluppare dentro il proprio utero, partorisce, allatta e alleva un figlio. Da secoli l’allattamento è uscito dall’elenco, o vi è rimasto in forma opzionale, delegato ad altra donna che viene così a istituire un rapporto fisico di tipo materno col bambino. La cosa non ha suscitato significativi clamori. Poi, con la tecnologia, alle balie è subentrato il latte artificiale e questo dato, apparentemente irrilevante, ha inserito un fatto manipolatorio in una prassi naturale. Anche qui nessuna crociata. La pratica dell’adozione, anch’essa antica, rende possibile identificare la figura materna solo nell’allevare ed educare i figli, nella dimensione della cura, a prescindere dalle fasi biologiche del rapporto. Questo introduce uno sdoppiamento della figura materna: madre biologica e madre giuridica. Fin qui abbiamo visto la funzione materna non più unitaria ma “distribuita” su tre figure diverse. Di recente però le cose sono andate oltre: oggi la madre può: - produrre l’ovulo ma non concepire, quando il concepimento avviene all’esterno (in vitro) del suo corpo, e solo successivamente impiantato. - non produrre l’ovulo né concepire, ed è il caso sempre della fecondazione in vitro ma con ovulo di donatrice. In tal caso, la sua maternità subentra con la gestazione. - Può non affrontare la gestazione, quando il suo utero non glielo consente e deve ricorrere ad altra donna che sia disposta a sostituirsi a lei in questa funzione. In tal caso anche il parto compete alla gestante, che secondo una pessima espressione, viene detta “in affitto”. Vale la pena di notare come le parole usate in questo ambito, da “figli della provetta” a “utero in affitto”, contengano giudizi fortemente negativi ed offensivi della dignità materna, comunque essa si presenti. Una donna potrebbe offrirsi di sostituirne un’altra in un fatto così sensibile come la maternità, per motivi nobilissimi o anche per motivi venali. Nemmeno in quest’ultimo caso, che va letto in una biografia che è diversa da caso a caso (anche le balie venivano pagate), è giustificabile definirla anatomicamente come “ utero in affitto”. Nessuna donna è un utero. Nessuna donna è in affitto. Anche sulla donna (ripeto che in questo scritto mi limito, forzando le cose, alla figura materna) che riceve il figlio possono gravare forti sospetti, talora più gravi in quanto è più ignobile ritenere di poter comprare il prossimo, ma non è detto che le cose stiano così e quando, agendo tramite legge in maniera astrattamente proibitiva, le si spinge nella clandestinità, si rinuncia a svolgere una funzione di garanzia, di “armonizzazione dei legittimi desideri”, di vera responsabilità. Del resto, nessuno ignora che tali sospetti possono essere sollevati anche per l’adozione ma nessuno ha pensato di proibirla. Governare un fatto complesso non significa proibirlo. Tra queste madri deve potersi pensare un’alleanza, un legame di solidarietà e non un rapporto puramente mercificante, che nega valore e si riflette quindi negativamente sull’origine del figlio. Il desiderio di maternità non può essere per propria stessa natura “egoistico”, essendo un desiderio di rapporto: quando lo è, a mancare è comunque la madre, anche quando è tale nella maniera più naturale possibile.
E’ ovvio che questo sconvolgimento distributivo del ruolo materno comporta la necessità di definire i ruoli delle varie figure, per garantire l’autenticità dei rapporti e per il benessere del figlio, il quale è portatore di diritti che vanno garantiti. Tra questi esiste il diritto a conoscere il proprio patrimonio genetico, anche al fine di poter conoscere eventuali predisposizioni verso determinate patologie, in quella funzione preventiva della medicina che deve essere garantita a tutti indistintamente. La segretezza sul donatore in caso di eterologa, se salvaguarda il diritto alla privacy del denatore stesso, lede un diritto del figlio. La giurisprudenza su queste vicende è in affanno. La tecnologia corre più rapida del diritto e prospetta soluzioni che, vale la pena di ripeterlo, vanno normate e non semplicemente proibite, salvo non ricadere nell’infausta ipocrisia che ha riguardato l’aborto prima che venisse regolamentato dalla legge.
Vale la pena di ripassare in rassegna la cordata delle madri: colei che produce l’ovulo, colei che lo fa crescere nel proprio utero e lo partorisce, colei che lo allatta, colei che lo fa diventare grande. E’ evidente l’assenza di un anello, ovvero il concepimento: qui a subentrare non è una figura materna ma un intervento medico e questo aspetto ha sollevato non poche questioni sulla “medicalizzazione” della maternità. E’ qui che è ricaduto un altro brutto e svalutante aggettivo collegato a “fecondazione”: “artificiale”. Oggi si preferisce “assistita” proprio perché in realtà il medico interviene a mettere in contatto tra essi elementi naturalissimi, col conseguente innescarsi di processi altrettanto naturali. Il medico non è più che un facilitatore. E si preferisce “procreazione”, che riconosce dinamiche non così strettamente “animali” come “fecondazione”. Ma vi è di più: la tecnologia, che ha reso possibile distribuire il ruolo materno su varie figure, alimentando la pluralità, consente anche di fare il contrario, almeno quanto al risultato biologico, e costituire il figlio come una copia della madre: parlo della clonazione riproduttiva e di come essa, esasperando i termini del confronto, stimoli al massimo la fantasia etica e giuridica in argomento, al di là di troppo facili apocalissi e fantasocietà. E, si badi, la clonazione può farci pensare addirittura all’autosufficienza della madre, dal momento che essa, almeno nelle fase gestatoria resta necessaria, mentre non lo sarebbe più il maschio. Ma la genitorialità è un tema che richiede che altre porte vengano spalancate, in questo testo rimaste ancora chiuse: richiama il rapporto di coppia, il ruolo paterno, un più approfondito rapporto col figlio, il rapporto con la società in generale. Porte che cercherò di aprire nelle prossime riflessioni ma che, solo citate, ci restituiscono in pieno la complessità di questo tema al centro di tante, troppe incandescenze.
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