1° MAGGIO

Negli ultimi anni dell'800 si svilupparono, sul terreno delle lotte sociali, si svilupparono culture e tradizioni, che divennero proprie del movimento dei lavoratori.

Valori, simboli, parole, comportamenti, acquistarono carattere emblematico di un messaggio politico che trascendeva il contingente e si poneva su un piano generale di lotta per l'emancipazione e l'eguaglianza.

Fra questi fatti simbolici va ascritta l'adozione della data annuale del Primo Maggio, fissata come festa del lavoro dal congresso costitutivo della Seconda Internazionale, tenutosi a Parigi nel luglio 1889.

Il Primo Maggio divenne, così, da allora in poi, per le masse lavoratrici un'occasione di manifestazione e di lotta per far sentire la propria voce, mentre per le forze politiche moderate significò, invece, il giorno della grande paura a causa del suo significato di protesta.

Questa situazione di paura per una presunta “rivolta delle plebi” si attenuò, in Italia, con la politica giolittiana.

Ma perché il Primo Maggio fosse inserito nelle ricorrenze festive riconosciute dallo Stato, si dovette attendere il decreto legge luogotenenziale n.185 del 22 Aprile 1946.

Il tremendo travaglio della seconda guerra mondiale rappresentò la fonte di un generale rinnovamento costituzionale che, alle tradizionali garanzie di libertà, andò progressivamente accomunando (sia pure in maniera diversamente intesa, tra Paese e Paese) le garanzie sociali che avevano cominciato ad apparire, per la prima volta, nella Costituzione di Weimar.

E' così che in tutte le Costituzioni del

dopoguerra si ravvisarono questi elementi nuovi, costanti, caratteristici: il cittadino era considerato anche nella sua qualità di membro di comunità politiche, economiche e sociali o in quanto svolgeva un'attività socialmente rilevante; ed in tali sue specifiche qualità, nuovi diritti gli venivano riconosciuti e nuove garanzie gli furono attribuite.

Soprattutto quel che contò di più fu l'affermarsi del concetto che riconobbe come non potesse esistere una vera democrazia, se non assicurando a tutte le componenti della società ( e ciò valeva, in particolare, per le classi lavoratrici tradizionalmente escluse) l'effettiva partecipazione alla formazione del generale indirizzo politico sostanziale.

Poiché l'avvento di una vera democrazia formale non poteva aversi, se non fossero stati rimossi gli ostacoli che impedivano a larghe aliquote di cittadini, ed in particolare di lavoratori, il pieno godimento dei diritti e delle libertà a tutti in astratto garantite, fu caratteristica delle nuove Carte Costituzionali anche la previsione dell'impegno dello Stato e del legislatore per le riforme sociali,per la redistribuzione dei mezzi di produzione o delle fonti di reddito, per più eque imposizioni fiscali.

In questo contesto va considerata la solenne affermazione dell'articolo 4 della nostra Costituzione sul diritto al lavoro, con un obbligo di grande portata allo Stato legislatore.

Il tema del diritto al lavoro come dovere dei pubblici poteri entrò nell'ordinamento costituzionale e diventò una delle pagine più travagliate nella storia dell'Italia contemporanea: vogliamo ricordarlo oggi, in ricorrenza del 1 Maggio, per respingere l'assalto forsennato che si sta compiendo verso la nostra Carta fondamentale.