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PEDOFILIA, PEDAGOGIA ED ETICA SESSUALE

di Fulvio Sguerso


 

 I casi di pedofilia, o per dir meglio, di abuso sessuale ai danni di minori, continuano con allarmante frequenza a turbare le coscienze dei normali cittadini lettori di quotidiani o spettatori dei telegiornali o navigatori di internet, e ancor più dei fedeli e increduli parrocchiani di sacerdoti accusati, a torto o a ragione, di essersi macchiati proprio di quel peccato che scandalizza i piccoli credenti e che fa piangere gli angeli nei cieli che “vedono continuamente la faccia del Padre mio” (Mt 18, 10). E’ vero, il mondo è pieno di scandali, ma scandalizzare gli innocenti è un’offesa intollerabile agli occhi stessi di Dio; e infatti la condanna evangelica per chi li commette è particolarmente severa: “Meglio per lui sarebbe che gli fosse appesa al collo una macina da mulino e fosse gettato in fondo al mare”. Eppure, malgrado tale sentenza di condanna divina scritta a lettere di fuoco, questi scandali non solo non diminuiscono ma sembrano aumentare di giorno in giorno, e proprio tra i ministri della Parola. E’ certo un fenomeno che dà da pensare.

Non credo che la causa di questi abusi sia da imputare all’astinenza imposta dal celibato: non mancano certo ai pastori di anime occasioni plurime e, per così dire, più tradizionali per cedere alle tentazioni sataniche della carne. La domanda è: che cosa può spingere un adulto a provare un’ attrazione erotica più o meno forte, più o meno resistibile per fanciulli o fanciulle impuberi? Quale origine può avere questa “parafilia” (o disturbo sessuale) a quanto sembra più diffusa di quel che appare a prima vista, considerato il sempre fiorente smercio di prodotti pedopornografici e l’orrenda pratica del turismo sessuale da parte di insospettabili professionisti in vena di “trasgressioni” in paesi lontani? Inutile dire che sarebbe folle presunzione la pretesa di fornire una risposta certa e incontrovertibile a simile domanda: le patologie comportamentali dipendono strettamente dalla storia individuale del soggetto, dal suo corredo genetico, dal suo temperamento, dalle esperienze vissute negli ambienti in cui si è formato (o deformato) il carattere, dagli incontri significativi della sua vita, dalla sua cultura, ecc. Una prima osservazione è che, di solito, l’adulto che sceglie come oggetto sessuale un minore, tanto adulto non è, nel senso che non è, o non si ritiene, in grado di iniziare e mantenere un rapporto amoroso responsabile e autentico con un’altra persona adulta: E perché non ne è in grado? Probabilmente perché il suo processo di maturazione si è interrotto per qualche motivo prima di raggiungere l’autonomia di una personalità pienamente sviluppata e guidata da saldi principi valoriali. Inoltre il rapporto adulto-bambino è naturalmente asimmetrico: è un rapporto in cui la forza, il potere e l’autorità sono da una parte sola, in cui c’è uno che comanda e uno che è obbligato o convinto ad obbedire, uno che può premiare o punire e un altro che può solo accettare o subire, ecc. Si comprende senza difficoltà come in un simile rapporto possa sentirsi a proprio agio un adulto immaturo e insicuro, dipendente a sua volta da autorità introiettate acriticamente che gli impediscono il libero esercizio del pensiero e un coraggioso confronto con i sentimenti di una vita pienamente vissuta. L’adulto che si innamora di un bambino, può darsi che si innamori narcisisticamente del bambino che era e che vorrebbe ancora essere, fissando così la sua libido a uno stadio infantile nell’illusione di rivivere in qualche modo la sua propria infanzia. Sia come sia, il pedofilo è un adulto mancato. Altra questione è: potrà mai guarire? Cioè, uscire dal suo narcisismo regressivo per completare la sua crescita umana e raggiungere infine quella maturità sentimentale e morale che gli manca? Ora, per tornare allo spinoso fenomeno dei preti pedofili, non sarà che ci sia qualcosa da rivedere nella pedagogia attuale dei seminari? Qui il discorso verte sulla pedagogia giusta ed, eventualmente, sulla giusta terapia da adottare, nella consapevolezza che è più facile educare o curare un bambino-adulto piuttosto che un adulto-bambino, anche perché il sistema sociale in cui viviamo è più orientato verso la regressione e l’eteronomia che non all’emancipazione e all’autonomia comportamentale: è più facile incontrare adulti-bambini piuttosto che adulti-adulti che hanno interiorizzato principi valoriali universali e che sono quindi in grado di tener nel debito conto gli altrui bisogni, compreso quello fondamentale di esercitare la propria libertà di giudizio e di pensiero.

FULVIO SGUERSO