PER DIFENDERE LA COSTITUZIONE
UNA GRANDE OFFENSIVA CULTURALE
di
Franco Astengo
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Proponiamo una grande
offensiva culturale, portata avanti da tutti i
soggetti politici e sociali disponibili, per
difendere la
Costituzione
Repubblicana.
Il tema delle riforme sarà
al centro del dibattito politico nei prossimi
mesi : si parlerà di riforme costituzionali ed
istituzionali (attenzione alla sottile
distinzione, sulla quale ritorneremo).
Non vanno sottovalutati,
prima di tutto, gli attacchi che sono stati
rivolti alla prima parte della nostra
Carta fondamentale comparsi proprio
in questi giorni: non si tratta di “una voce dal
sen fuggita” e neppure di una provocazione
gratuita, ma della conseguenza logica di un
disegno di cambiamento che ci permettiamo di
giudicare pericoloso e di sconfiggere “in toto”.
Un disegno, è bene
ricordarlo, che più o meno 3 anni fa fu proposto
invariato nei suoi termini fondamentali rispetto
ad oggi (presidenzialismo, divisione delle
carriere nella magistratura, ecc.) e respinto
dal corpo elettorale, con 16 milioni di voti
contrari: 16 milioni che ricordiamolo sono ben
di più dei voti che raccolgono le forze
dell'opposizione al governo di centrodestra. |
Verrebbe da titolare:
Costituzione versus
Carl Schimtt;
si va verso una concentrazione inusitata di
poteri nell'esecutivo ed occorre, subito, un
imperioso richiamo alle responsabilità
costituzionali di tutte le istituzioni, nessuna
esclusa. La concentrazione dei poteri intorno
all'esecutivo sembra diventata la caratteristica
istituzionale di questa legislatura , provocando
di fatto uno stravolgimento della forma
parlamentare dello Stato. Sulla base di questo principio, possiamo
cercare di affrontare le tre questioni che,
verosimilmente ci troveremo di fronte nel
futuro:
1)
l'abuso del riferimento
alla cosiddetta “Costituzione materiale”
2)
la
nascita di sistemi paralleli rispetto a quelli
disegnati dalla Costituzione;
3)
la conclamata necessità di
concentrarsi solo su “alcune” essenziali e ben
mirate (come sono definite dai proponenti)
proposte di riforma.
Allora, andando per
ordine, appare perlomeno ambiguo parlare di
“Costituzione materiale”. Anche perché, in
materia, bisogna saper distinguere tra prassi
integrative utilizzate rispetto alla
Costituzione formale; opportunità di
razionalizzazione del funzionamento di alcune
istituzioni sulla base dell'esperienza e la
pretesa di legittimare una sorta di “controCostituzione”
emergente, si dice, dal consenso popolare. Questi slittamenti progressivi, che abbiamo
appena descritto, finiscono con lo spingere
verso l'appiattimento della Costituzione verso
le esigenze del sistema politico, legittimando
una sorta di “uso congiunturale” della
Costituzione stessa. Su questo punto deve entrare in gioco, sul
terreno della difesa del dettato costituzionale,
un ulteriore elemento.
Prendo a pretesto una
frase di
Leopoldo Elia, citato anche da
Stefano Rodotà in un suo recente
intervento.
Elia, mettendo
in guardia contro “l'illusione ottica di
scambiare per mutamento costituzionale ogni
modificazione del sistema politico”, aggiungeva
“ed elettorale”. Ecco, su questo punto sta l'aggancio al
concreto del dipanarsi di questa intricata
matassa: il sistema elettorale. Aver accettato l'iscrizione sulla scheda
elettorale del nome del presunto “capo della
coalizione” (implicitamente candidandolo alla
Presidenza del Consiglio), ed adagiandosi così
ad una certa idea della “Costituzione materiale”
in palese violazione della vigente “Costituzione
formale” si è rivelato un pericolosissimo
cedimento verso il far passare una riforma in
senso presidenzialista. La Repubblica parlamentare, così come
disegnata nel testo del '48, sarebbe così
superata di fatto e, di conseguenza, dovrebbe
essere superata anche in diritto. Abbiamo così trovato una prima riforma per la
quale batterci: quella del sistema elettorale
(che non sta in Costituzione, ma che abbiamo
visto quanto peso abbia rispetto al formarsi di
una idea corrente di Costituzione materiale)
eliminando il punto dell'accenno al
presidenzialismo (poi esiste, gravissimo, sul
terreno del sistema elettorale ,il punto
relativo alla necessità di restituire ai
cittadini la possibilità di scegliere gli
eventuali eletti, e del ripristino di un minimo
di equità, rispetto al gioco degli sbarramenti,
nel disegnare una reale rappresentatività
politica delle Camere). Il secondo elemento da prendere in seria
considerazione riguarda la compressione nel
ruolo del Parlamento. Conosciamo bene gli strumenti attraverso i
quali si realizza questa compressione: uso
flessibile dei decreti legge; fiducia su
maxiemendamenti: un lascito che deriva fin dagli
anni'80. Quegli anni'80 ricordati oggi non come
il momento di massima esplosione della
“questione morale” nel Paese, bensì per una
sorta di modernizzazione autoritaria e
discriminatoria che allora si cercò di imporre
attraverso l'uso di patti di ferro tra i
detentori del potere. Appare evidente, sotto questo aspetto, la
distorsione che si verifica negli equilibri
istituzionali e nella possibilità di ordinato
funzionamento dello Stato. Ecco qui un altro punto di possibile riforma:
quello relativo ai regolamenti parlamentari, nel
senso di negare questo sistema parallelo di
produzione normativa tutto centrato sul governo,
che ha finito con il gravare negativamente sul
livello qualitativo dell'attività legislativa
(questo è un punto da sottolineare fortemente,
anche rispetto alla presunta attività di
semplificazione che sta portando avanti
l'apposito Ministero. Non si tratta soltanto di
cancellare, insomma). Sul terreno dell'attività legislativa e non
soltanto su quello della rappresentanza
territoriale entra in gioco il tema del
“bicameralismo ridondante” ( o perfetto, o
paritario, che dir si voglia).
Questo è un altro punto
sul quale è urgente operare una riforma, anche
per pervenire finalmente alla piena applicazione
della modifica costituzionale del titolo
V, avvenuta nel 2001 e confermata
dal referendum popolare. Esiste,infine, un problema di carattere
culturale sul quale riteniamo dovrebbe essere
impostata questa grande offensiva che stiamo
proponendo. Non si può considerare la Costituzione
Repubblicana, come è stato detto, “un residuo
sovietico”. Entra in gioco, a questo punto, la conoscenza
effettiva della storia d'Italia degli ultimi 60
anni: si tratta di un problema urgente ed
indifferibile, non soltanto a livello scolastico
o universitario ma rispetto alla grande massa
dei cittadini, ormai allontanata dalla realtà
dei fatti così come questi accaddero nel corso
degli anni: il ruolo delle istituzioni, quello
dei partiti, delle grandi organizzazioni
sociali, della Chiesa, il peso degli equilibri
internazionali, tutto appare distorto nella
narrazione corrente svolta dai mezzi di
comunicazione di massa che vanno per la maggiore
e sono in mano ai detentori (sempre più
oligarchicamente raccolti) del potere.
Questo, della
ricostruzione della
Storia d'Italia e dell'assegnare a
ciascheduno soggetto l'esatto ruolo ricoperto è
la questione più urgente, partendo dal negare
come in questo Paese sia avvenuto un cambiamento
di regime ( anche sotto l'aspetto lessicale,
andrebbe abbandonata la definizione di
I e II Repubblica oggi tanto in
voga).
Quindi servono riforme:
istituzionali (legge elettorale, regolamenti
Parlamentari)
e costituzionali (superamento del
bicameralismo). Riforme che ci liberino dal vincolo di una
“Costituzione Materiale” di impronta
presidenzialista, già proiettata ad ipotecare un
oscuro futuro. Naturalmente però il punto decisivo rimane
quello della capacità nostra, di difensori dello
spirito profondo della Costituzione, di tornare
a fare cultura sui veri valori e sui veri ideali
che la nostra carta fondamentale rappresenta.
Savona,
5 gennaio 2010
Franco Astengo
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