La storia: Il Secolo XIX edizione imperiese
40 anni di fatti e protagonisti tra luci e ombre
Dopo l'uscita di scena dell'editore Cesare Brivio Sforza che puntò al rilancio
delle province.
Vedi ...articolo di Uomini Liberi
e nel 1989 'liberi dall'influenza del potere politico ed industriale'
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Imperia- La Riviera dei fiori ha portato fortuna alla Scajola-dinasty, ad alcuni fedelissimi, ma quasi una Caporetto per lo storico e glorioso quotidiano ligure: Il Secolo XIX. Quel direttore, Carlo Rognoni, che nell'ottobre 1989 cercò di espugnare, con l'editore ed amministratore delegato Cesare Brivio Sforza, la "fortezza La Stampa", sul fronte delle copie vendute, augurò "Buon Secolo a tutti". |
E la società editrice affermava con fierezza ed
orgoglio: <possiamo
vantarci di essere liberi dall'influenza
del potere politico e industriale>.
Una previsione davvero azzardata, vista ai nostri giorni.
Anche alla luce di uno degli ultimi "piani
editoriali"
(
vedi....). (
vedi ...nomi di tutti i redattori alla
morte dell'insostituibile editore Sandro Perrone).
La storia dell'edizione imperiese ha inizio con
l'ottimo direttore
Piero Ottone che affida, nel
gennaio 1970, il rilancio de Secolo XIX
nell'estremo ponente (iniziando da Sanremo), al
prof.
Franco Rognone, classe 1939.
Strappato all'insegnamento di educazione fisica
nella sua città natale (Savona), dopo una breve
permanenza al neo ufficio di corrispondenza di
Albenga, di piazza Petrarca.
Rognone
lascia la sede, con competenza da Andora a
Finale Ligure, a
Luciano Corrado. All'epoca
dirigeva da pubblicista il settimanale La Nuova
Liguria, già "La Settimana Ligure" (area di
distribuzione da Varazze ad Imperia).
Franco Rognone,
nella città dei Fiori, dopo un brillante inizio
e schioppettio, dando fondo al suo coraggio e
alle sue capacità, finisce per lasciarci le
penne e la "penna". Allora si
scriveva con macchina da scrivere, soprattutto;
si spediva il "Fuori Sacco", via treno e gli
ultimi pezzi pomeridiani e serali si battevano
alla telescrivente, o al massimo agli
stenografi-giornalisti, poi sostituiti con i
dimafoni.
Il giornalista Rognone
cade nella "trappola" dei "signori del casinò" ,
fabbrica dell'azzardo che negli anni ha
continuato a produrre soldi facili e
scandali (almeno quelli venuti a galla). Tanto
da coniare il termine "corruzione ambientale",
diffusa e penetrante, all'interno e all'esterno
della casa da gioco.
Con il rigore e la rettitudine di
Ottone e del braccio destro
amministrativo
Amedeo Massari (aveva scoperto e
valorizzato
Rognone) non si scherzava.
Niente temporeggiamenti, incertezze. Dal mattino
a sera Franco
Rognone viene "dimissionato".
Nella difficile piazza ponentina, oltre alla
diffusa epidemia da malaffare, come metodo e
sistema, peraltro protrattosi nel tempo
raccontano le cronache tra inchieste,
arresti, processi, condanne, assoluzioni (da
verità giudiziaria che impone le prove della
sussistenza del reato, cosa diversa dalla verità
reale), si doveva soprattutto conquistare
la superiorità numerica nella diffusione
giornaliera rispetto alla concorrenza de
La Stampa. Mentre nella sola
città del Festival, esisteva pure il concorrente
"Corriere della Sera".
Il compito della "resurrezione", dopo la caduta
di
Rognone (poi diventerà inviato
speciale in altri quotidiani, tra cui
Il Giornale), viene affidato a
Roberto Salvatori (classe 1940),
nato e cresciuto a La Spezia, una fede tutta a
sinistra, un'ottima professionalità messa a dura
prova in una terra, da sempre tra le più
destroidi e conservatrici d'Italia.
Quindi è la volta di un altro spezzino, assai
più attempato,
Fulvio Angiolini (classe 1923,
oggi non più in vita) che proveniva dalla
redazione di Chiavari.
Negli anni '79-80 altra importante prova di
forza del Secolo XIX che affida le sorti
dell'edizione imperiese ad un promettente
giornalista,
Franco Manzitti (classe 1947),
genovese, appartenente ad una famiglia di
spicco: il papà è presidente dell'Unione
Industriali, ma anche dell'Autofiori (allora
pubblica).
Franco Manzitti
figura rappresentativa, scelta quanto mai
significativa dell'impegno profuso, anche sul
fronte del prestigio, della scommessa alla
conquista degli obiettivi.
Poi accade che
Manzitti viene chiamato
nell'ancora più arduo e difficile ruolo di
capocronaca a Genova (estate 1980) e gli
subentra, su indicazione dell'allora "capo delle
province",
Luciano Angelini (uscirà da
giornale, dopo 33 anni, a fine marzo 2002), un
altro giornalista di spessore:
Franco Currò, genovese (1954),
esperienza positiva all'agenzia
Ansa. Persona meticolosa,
Currò poteva vantare anche il
matrimonio con una
Serra (armatori).
Il suo futuro è stato decisamente brillante.
Lasciato Il Secolo XIX, ha intrapreso diverse
esperienze in settimanali come
Panorama e
Il Mondo, fino a diventare tra i
consulenti più accrediti alla corte di
Marina Berlusconi, la
primogenita del premier. Oggi prima in
classifica di donna più potente d'Italia.
Infine per la storia imperiese del Secolo XIX
fioriscono i "piani editoriali" che vanno e
vengono. Con separazione oppure unificazione
delle due redazioni, quanto a vertici ed
organizzazione del lavoro.
Non si può dimenticare la significativa presenza
di
Franco Bianchi (classe 1944,
natali a Diano Castello), forse il periodo
di maggiore successo di vendite in edicola. Con
vette da 9 mila copie, una media di 8 mila,
rispetto alle 5 mila iniziali. Ma,
nonostante tutto non si riesce a scalzare (se
non in un poche occasioni, una fu la
pubblicazione degli elenchi dei massoni
imperiesi, l'altra il primo maxi scandalo del
casinò) il predomonio del quotidiano della
Fiat e della famiglia
Agnelli.
Quindi è il turno di un romano,
Fabio Albertelli (poi destinato
a Savona, quindi a Genova), mentre a Sanremo
sorgono problemi seri con
Franco Tornatore (classe 1936,
nativo di Riva Ligure). Anche in quel caso "il
vento infetto" del casinò impone alla direzione
un "viaggio chiarificatore" a
Luciano Angelini che dopo
diversi incontri col sindaco
Vento e l'assessore
Carella, da il placet al
trasferimento di
Tornatore a Genova.
Tornatore,
lasciato il giornale, sarà tra candidati a
sindaco, fino a lasciarci prematuramente, col
ricordo di un bravo giornalista che ha
conosciuto e pagato pure lui lo scotto del
Casinò, degli affari & politica.
Ci avviamo all'epilogo finale, con l'entrata in
scena, inizio anni 2000, a Imperia, di
Antonio Turitto (1959 natali a
Sanremo), con
Roberto Berio (classe 1953),
origini a Sanremo dove è stato capo della
redazione.
Ad Imperia, promozione di
Luigi Leone (classe 1955), ora
tra i capi redattori dello staff centrale, oltre
che opinionista quotato anche per il bagaglio di
conoscenza del territorio e dei suoi maggiori
protagonisti (soprattutto imperiesi).
Negli anni e col senno del poi, non sono
estranee alcune scelte rivelatesi sbagliate in
posti chiave e strategie, ma anche una certa
soccombenza a quel potere politico che non
accetta "controlli" efficaci, semmai quieto
vivere in salsa agrodolce.
Non andare mai a fondo, rinunciare alle
inchieste vere di giornalismo di strada, non
disturbare troppo il potere ed i potenti di
turno. Il sistema di potere
politico-economico-finanziario-imprenditoriale imperiese
docet. Ruolo della massoneria compreso.
Probabilmente è quanto hanno provato, nella loro
esperienza di "piloti" dell'edizione ponentina,
Roberto Berio, da capo redattore
dell'edizione, a capo solo di Imperia e
Maurizio Pellissone che con la
qualifica di vice capo redattore, dopo oltre tre
anni da pendolare, è tornato nella sua Savona
dove, lasciato l'insegnamento, aveva mosso i
primi passi del giornalismo di provincia al
Decimonono.
Berio
pare sia "caduto" sotto i colpi della scure
della ristrutturazione e del risanamento dei
bilanci aziendali. E non solo. Gli era stata
pure affidata (2003) una pagina di "agricoltura"
regionale, autofinanziata con la pubblicità
della "Carli". Insomma i meriti, allora, non
mancavano. Ma a volte la vita riserva sorprese,
pur senza responsabilità dirette, dunque per
altri.
Sta di fatto che l'edizione imperiese del Secolo
XIX si è ritrovata depotenziata. Da doppia
redazione, a doppio ufficio di corrispondenza.
Con tutto ciò che rappresenta in termini di
posti di lavoro (giornalisti e poligrafici,
fattorini), ma soprattutto di forza di
penetrazione nel territorio ed ulteriore
possibile "sudditanza" ai potentati che
dominano. Oppure si vendicano.
Nonostante gli sforzi di chi oggi è
chiamato a sovrintendere l'intero ponente, da
Varazze a Ventimiglia,
Roberto Onofrio, che aveva
intrapreso la gavetta in quel di Cogoleto, come
corrispondente.
La sua resta un'impresa titanica, dovrebbe
riportare alle stelle un giornale che
complessivamente era riuscito a raggiungere la
vetta massima delle 200 mila copie. Nel ricordo
di lotte sindacali spesso afflitte da
sindacalismo esasperato, estremo. Con un conto
salato finale e non accade soltanto al Secolo
XIX.
Concludeva in una lettera antiassenza in
edicola, causa scioperi, il 22 ottobre 1979,
Vincenzo Guerrazzi: <Tutta la
nostra dignità consiste nel pensiero. E' in esso
( e non negli slogans) che debbiamo cercare la
ragione per elevarci, oppure del successo e
dello sconfitte>.
R.T.
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