LA FACILMENTE PREVEDIBILE
RIABILITAZIONE DEL CRAXISMO
di
Franco Astengo
In premessa ci scusiamo
per l'uso dell'allocuzione giornalistica “craxismo”:
si tratta di un termine semplificatorio che,
come in altre occasioni viene, impropriamente,
usato per indicare con facilità un determinato
termine riferito ad una situazione politica
che,invece, cercando di svolgere rigorosamente
un lavoro di analisi dovrebbe essere articolato
diversamente nella sua proposizione( altri
esempi correnti: l'abusatissimo
II Repubblica; oppure l'indicazione
di “eletto dal popolo” per l'attuale Presidente
del Consiglio) .
Purtuttavia, per le già
richiamate ragioni di semplicità nel discorso,
ci avvarremo di questo termine. |
In ogni caso, andando per
ordine: nel mondo politico italiano pare essere
di gran modo andare, senza riflettere, alla
riabilitazione degli anni'80 come periodo di
fulgore della nostra democrazia e di grandi
cambiamenti ed, in particolare, al recupero
della figura del segretario del
PSI e Presidente del Consiglio
(1983-1987) che meglio di altri,anche nella fase
conclusiva della sua carriera politica in piena
“Tangentopoli” (altra definizione
di maniera), incarnò quella fase storica.
Le ragioni di questa corsa
al recupero di una sorta di beatificazione, alla
quale paiono non partecipare (salvo alcuni come
sempre più realisti del Re) i dirigenti del
PD che assistono attoniti cercando di
parlare d'altro (in realtà il vicesegretario di
quel partito appare davvero lo specialista del
“parlare d'altro), possono essere spiegate molto
facilmente.
Il tipo di realtà che
emerge dal quadro politico di oggi, infatti,
corrisponde a ciò che il segretario del
PSI allora aveva in mente, al tipo di
analisi che si era svolta allora, alle scelte
decisive che si compirono.
Il
PSI, infatti, mosse, alla metà degli
anni'70 dopo una lunga serie di insuccessi
elettorali (a partire dal fallimento
dell'unificazione socialdemocratica del 1966,
subito tramontata con le elezioni del 1968),
sulla base della considerazione di fondo
“primum vivere deinde philosophari”
e di due punti di analisi che risultarono
fondativi della successiva azione di quel
partito per almeno un decennio: l'esaltazione
dell'”autonomia del politico” e l'idea della
necessità di una riduzione nel rapporto tra la
politica e la società nel senso di un “taglio”
della domanda sociale, ormai giudicata eccessiva
in seno ad una società che stava assumendo
caratteri di estrema complessità.
Questi due elementi,
appena ricordati, si intrecciarono con altri che
stavano emergendo nella realtà della
trasformazione tecnologica, culturale, sociale,
politica di quegli anni, a livello
internazionale: primo tra tutti l'utilizzo delle
comunicazioni di massa quale veicolo pressoché
esaustivo della comunicazione politica (questo
punto portava, obbligatoriamente, ad una
crescita di importanza di quel progetto di
“personalizzazione della politica” che, pure,
stava ormai prendendo piede da qualche tempo);
in secondo luogo (ma non certo in ordine di
importanza rispetto al precedente), l'emergere
di una fortissima spinta liberista in campo
economico – sociale, portato avanti in
contemporanea dalla presidenza
USA e dalla maggioranza conservatrice
in
Gran Bretagna, in una fase di ripresa
forte della contrapposizione dei blocchi e di
difficoltà dell'URSS
a stare al passo dell'innovazione tecnologica,
in particolare in campo militare,per via di un
sistema ormai atrofizzato
ed impossibilitato (come molti
intellettuali di sinistra in Europa avevano
compreso da tempo) a rinnovarsi.
Su queste basi si
verificarono alcuni fenomeni molto importanti:
il
PSI assunse un ruolo centrale nella
vita politica del Paese, pervadendola del suo
messaggio di trasformazione dei partiti politici
in centri di potere autonomi dalla volontà dei
cittadini (si costruì, attorno, al
PSI a quell'epoca quel “partito di
cartello”, teorizzato da
Kaltz e Mair che ancora adesso, come
vedremo domina la scena), il
PSI a quel punto, con il 10% dei
voti, deteneva il 40% dei posti di potere a
tutti i livelli ( centrali e
periferici). Fu quella, e non il
consociativismo, la causa centrale
dell'espandersi del fenomeno della corruzione
politica (che pure, in Italia, aveva già una sia
storia ben consolidata): corruzione politica
arrivata, poi, a livelli di assoluta
insopportabilità
sociale tali da provocare l'intervento di
“supplenza” della Magistratura (intervento che,
rimane, ancor adesso la sola variante possibile
di sistema e la sola possibile alternativa:
tanto è vero che, anche l'attuale opposizione
politica, sparita la sinistra, è affidata ad un
magistrato “simbolo” di quella stagione).
In secondo luogo
l'esasperazione del concetto di “autonomia del
politico” portò alla necessità di utilizzare i
mezzi di comunicazione di massa quale strumento
esaustivo della comunicazione politica: nasce da
qui (esattamente come nel progetto contenuto nel
documento sulla “Rinascita
Nazionale”
della P2 di
Licio Gelli, apparso nel 1975)
la spartizione “scientifica” dei posti
nella televisione pubblica ed il lancio, a
livello nazionale, della cosiddetta “televisione
privata”, apertamente sponsorizzata dal
segretario del
PSI di allora; un meccanismo che,
come abbiamo visto, ha coinvolto definitivamente
tutti, è stato causa dell'accettazione da parte
degli eredi della sinistra storica della
personalizzazione della politica portata agli
eccessi di un narcisismo deleterio condotto alle
estreme conseguenze di una diffusa incredibilità
sociale, fino alla sparizione dal Parlamento,
ma, principalmente, ha portato il suo principale
epigono (capace di intuire il momento esatto
dell'entrata in scena, nell'ora di un apparente
“cupio
dissolvi”) ad essere, da oltre 15
anni, il vero “dominus”
della politica italiana.
L'autonomia del politico
concepita in questo modo ha portato i partiti al
minimo della loro credibilità sociale( nessuno
si preoccupa del fatto che in Italia non esista
più un partito a dimensione nazionale, ma
partiti strutturati a “feudo”
con percentuali variabilissime di
voto tra zone e zona del Paese ed una espansione
dei soggetti etnoregionalisti assolutamente
abnorme e pericolosa) ma anche al massimo del
loro potere di nomina: i partiti indicano, tra i
loro fedelissimi
cultori di questa materia di occupazione
del potere (che non si preoccupano minimamente
della partecipazione politica: fenomeno che
avviene addirittura anche in quelli che
pretendono di rappresentare i “nuovi soggetti
della sinistra” e che poi si muovono anch'essi
sull'onda di una personalizzazione esasperata),
la composizione del Parlamento, contrattano tra
loro
Presidenti di Regione, di Provincia, Sindaci
(ormai figure “monocratiche”,
venute fuori da una pericolosissima spirale di
modifiche dei sistemi elettorali ai diversi
livelli), poi fatti votare da un corpo
elettorale numericamente sempre più esiguo,
tanto è vero che per molti l'astensione appare
la scelta politica più conseguente, e come tale
è ormai considerata dagli analisti.
Dal Parlamento e dalle
altre istituzioni sono esclusi quanti non
intendono piegarsi a questo stato di cose
(questo è il senso degli sbarramenti diversi,
esistenti nelle leggi elettorali italiane: con
percentuali variabili tra chi sta, ed è gradito
in una coalizione e chi invece non è gradito. E'
emerso ,così, uno scenario di frammentazione
partitica mai visto e del tutto deleterio,
fronteggiato, successivamente, da un drastico
taglio nella rappresentatività reale delle
istituzioni. Perché, invece, non si fa come in
Germania: 5% di sbarramento per tutti,
senza coalizioni preventivamente pasticciate?).
Questi, riassunti
schematicamente gli esiti “politici” della
stagione che abbiamo definito del “craxismo”,
ed evitiamo di soffermarci su quelli economici e
sociali che sono sotto gli occhi di tutti.
Adesso sulla base di
questo stato di cose ci si trova davanti
all'attacco della Costituzione Repubblicana,con
l'idea del presidenzialismo e dell'esaltazione
degli “unti
del signore” come linee guida del
presunto “cambiamento” : mentre autorevoli
personaggi invocano alla concordia e alle
riforme “bipartisan” ( facendo finta,
ovviamente, di
non aver imparato nulla da lezioni molto
severe ricevute nemmeno tanto tempo fa). E' possibile
opporci a questo stato di cose, dire “no” alla
riabilitazione della stagione più tragica della
politica italiana?
All'epoca dei fatti si
verificò un tentativo di opposizione:
dall'interno del
PCI (anzi dal suo vertice che, forse,
era più isolato di quanto non si pensasse allora
,viste la forma che ha poi preso la dissoluzione
di quel partito, nell'incapacità di definire una
rotta intellegibile, fino al disfacimento che
stiamo vivendo e alla totale incertezza in cui
si trova il
PD, eredi di tutti o forse di
nessuno, incapace di scegliere e di orientarsi)
e di settori di quella che era stata la “nuova
sinistra” e dell'intellettualità più avanzata fu
portato avanti un serio tentativo di contrasto
nel nome di quella che fu definita (ed anche
irrisa) “questione morale”. Una “questione
morale” come risposta politica, non come
moralismo o richiesta di intervento esterno
(come nel caso della magistratura).
Ecco: da quella stagione,
dell'intreccio tra “questione
politica e questione morale”,
dall'idea di alternativa che attorno si era
concretamente costruita in allora, aggiornandone
ispirazione complessiva e contenuti, potrebbe
essere possibile, ancora adesso, ripartire.
Savona,
2 Gennaio 2010
Franco
Astengo
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