versione stampabile QUESTIONE DI TONI?
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M. G. Pellifroni |
Il continuo richiamo ad abbassare i
toni porterebbe a pensare che all’origine del clima che grava
sull’Italia sin dagli inizi della nuova legislatura ci sia solo
una questione di etichetta, di bon ton, di politically
correct. Quando invece siamo tutti ben consci che non è
così. Infatti, a parte la foga con cui esprime le sue convinzioni, cosa c’è di non vero nelle denunce di Di Pietro? E cosa c’è di falso nelle documentate filippiche di Travaglio? Forse non piacerà alla maggioranza la veemenza del primo e il sarcasmo del secondo, ma la sostanza dei loro discorsi è dannatamente corrispondente alla realtà. * |
È forse falso che
Berlusconi, e con lui tutto il suo corteggio di
yesman,
anteponga la risoluzione dei suoi problemi
giudiziari ai problemi di sopravvivenza di
milioni di italiani espulsi dal circuito
produttivo e costretti ad ogni genere di
protesta, sinora civile, per ottenere quella
visibilità che la maggioranza nega loro? * È forse falso che i proposti
stravolgimenti dell’attuale legislazione e
persino della carta costituzionale siano dettati
dalla preoccupazione di sollevare Berlusconi dai
processi accumulati negli anni dalla sua
disinvolta gestione aziendale, portando Di
Pietro e Travaglio a sostenere che egli sia
entrato in politica per evitare di subire
pesanti condanne o di finire esule e contumace,
come il suo mentore Craxi? È forse falso che le
affermazioni di governo e Confindustria che la
crisi è alle spalle siano di nessun conforto, e
anzi semmai motivo di rabbia, per la crescente
fetta di lavoratori (di cui 1.600.000 senza
nessuna previdenza) abbandonati al loro destino
e di piccole e medie imprese perseguitate da un
fisco incredulo delle loro gravi e reali
difficoltà? * È forse falso che il vero
ammortizzatore sociale, che ha sinora impedito
sanguinosi tumulti di piazza, siano stati i
risparmi delle famiglie e che, finiti quelli, la
pace sociale, che tanto piace a chi sta bene,
potrebbe saltare? Insomma, l’origine della
tentazione alla violenza viene ricercata non già
nella oggettiva situazione di degrado economico
e morale in cui l’inerzia e la superficialità di
questo governo ha trascinato l’Italia, bensì nel
fatto che le parole non sono pronunciate con la
dovuta pacatezza dall’opposizione e dalle
contestazioni di piazza. Quasi che fosse pacata
la lettura in aula di Cicchitto di una vera e
propria lista di proscrizione; o la minaccia di
Maroni di oscurare, alla cinese, i siti Internet
sgraditi; o le contrapposizioni verbali di Lupi,
Larussa & Co. nei talk show televisivi; o il
ghigno ridacchiante e stentoreo di Castelli. Per
tacere delle ripetute, minacciose esternazioni
di Berlusconi, persino dall’estero, con toni
decisamente intimidatori. |
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I tumulti, le sedizioni, le
rivolte e infine le rivoluzioni non nascono per
il tono con cui viene denunciata la crudele
disparità tra chi ha tutto e di più e chi ha
sempre meno fino a non aver più nulla da
perdere, ma dalla stessa situazione di
disparità.
Come diceva Galimberti
nell’intervista ad Annozero, maggiore il carisma
di un capo, maggiore la sua esposizione ad amore
ed odio viscerali, sfocianti in acritica
adorazione dei beneficiati e, al contrario, in
rancore e desiderio di vendetta degli esclusi.
Quando questi due opposti sentimenti coinvolgono
in pressoché pari proporzioni un intero Paese, i
rischi di guerre civili sono oltremodo concreti,
come la storia, anche recente, insegna. |
Quindi, invece di andare alla
ricerca, sempre in campo avverso, dei
responsabili del clima di violenza sulla base
dei toni usati, si riconosca che non si può
pretendere di governare un Paese anteponendo i
problemi del capo a quelli dei governati, né che
quanti stanno male espongano con garbo il
proprio dramma esistenziale, cui rimangono
comunque sordi i signori al vertice, desiderosi
solo di ossequi e di rispetto dei loro gratuiti
privilegi. Per inciso, ho letto che lorsignori
onorevoli si sono recentemente aumentati i già
esorbitanti stipendi. Ecco, vedete, non hanno
avuto bisogno di gridare nelle piazze; hanno
potuto farlo in tono sommesso, quasi un
bisbiglio, nell’ovattato comfort delle aule
parlamentari; insomma senza dover ricorrere al
fastidioso clamore degli operai sui tetti delle
fabbriche o nei cortei stradali. Loro sì che
rispettano le regole di comportamento
democratico e di civile convivenza: devono
convincere, senza opposizioni, solo se stessi,
per dorare ancor più la propria piacevole
esistenza. Quanto al popolo, porti pazienza e
s’arrangi come può, magari con le brioches, se
finisce il pane: per fine 2010 è prevista una
ripresina… Eppur s’invoca pace sociale e
toni bassi, onde arrecare il minimo disturbo ai
quartieri alti.
P.S.
Queste righe NON sono un
appello ad alcuna violenza, ma semmai un allarme
per la sua possibile esplosione se si continuano
a rimandare sine
die i
provvedimenti atti ad alleviare il disagio delle
frange più deboli, in accentuazione sia in
numero che in intensità. * Consiglio vivamente la lettura di questi interventi alla Camera:
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Finanziaria: le
tristi realta'
Marco Giacinto Pellifroni
20 dicembre 2009
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