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QUESTIONE DI TONI?

 

  Marco Giacinto Pellifroni

 


M. G. Pellifroni

Il continuo richiamo ad abbassare i toni porterebbe a pensare che all’origine del clima che grava sull’Italia sin dagli inizi della nuova legislatura ci sia solo una questione di etichetta, di bon ton, di politically correct. Quando invece siamo tutti ben consci che non è così.

Infatti, a parte la foga con cui esprime le sue convinzioni, cosa c’è di non vero nelle denunce di Di Pietro? E cosa c’è di falso nelle documentate filippiche di Travaglio? Forse non piacerà alla maggioranza la veemenza del primo e il sarcasmo del secondo, ma la sostanza dei loro discorsi è dannatamente corrispondente alla realtà. *

È forse falso che Berlusconi, e con lui tutto il suo corteggio di yesman, anteponga la risoluzione dei suoi problemi giudiziari ai problemi di sopravvivenza di milioni di italiani espulsi dal circuito produttivo e costretti ad ogni genere di protesta, sinora civile, per ottenere quella visibilità che la maggioranza nega loro? *

È forse falso che i proposti stravolgimenti dell’attuale legislazione e persino della carta costituzionale siano dettati dalla preoccupazione di sollevare Berlusconi dai processi accumulati negli anni dalla sua disinvolta gestione aziendale, portando Di Pietro e Travaglio a sostenere che egli sia entrato in politica per evitare di subire pesanti condanne o di finire esule e contumace, come il suo mentore Craxi?

È forse falso che le affermazioni di governo e Confindustria che la crisi è alle spalle siano di nessun conforto, e anzi semmai motivo di rabbia, per la crescente fetta di lavoratori (di cui 1.600.000 senza nessuna previdenza) abbandonati al loro destino e di piccole e medie imprese perseguitate da un fisco incredulo delle loro gravi e reali difficoltà? *

È forse falso che il vero ammortizzatore sociale, che ha sinora impedito sanguinosi tumulti di piazza, siano stati i risparmi delle famiglie e che, finiti quelli, la pace sociale, che tanto piace a chi sta bene, potrebbe saltare?

Insomma, l’origine della tentazione alla violenza viene ricercata non già nella oggettiva situazione di degrado economico e morale in cui l’inerzia e la superficialità di questo governo ha trascinato l’Italia, bensì nel fatto che le parole non sono pronunciate con la dovuta pacatezza dall’opposizione e dalle contestazioni di piazza. Quasi che fosse pacata la lettura in aula di Cicchitto di una vera e propria lista di proscrizione; o la minaccia di Maroni di oscurare, alla cinese, i siti Internet sgraditi; o le contrapposizioni verbali di Lupi, Larussa & Co. nei talk show televisivi; o il ghigno ridacchiante e stentoreo di Castelli. Per tacere delle ripetute, minacciose esternazioni di Berlusconi, persino dall’estero, con toni decisamente intimidatori.

I tumulti, le sedizioni, le rivolte e infine le rivoluzioni non nascono per il tono con cui viene denunciata la crudele disparità tra chi ha tutto e di più e chi ha sempre meno fino a non aver più nulla da perdere, ma dalla stessa situazione di disparità.

Come diceva Galimberti nell’intervista ad Annozero, maggiore il carisma di un capo, maggiore la sua esposizione ad amore ed odio viscerali, sfocianti in acritica adorazione dei beneficiati e, al contrario, in rancore e desiderio di vendetta degli esclusi. Quando questi due opposti sentimenti coinvolgono in pressoché pari proporzioni un intero Paese, i rischi di guerre civili sono oltremodo concreti, come la storia, anche recente, insegna.

Quindi, invece di andare alla ricerca, sempre in campo avverso, dei responsabili del clima di violenza sulla base dei toni usati, si riconosca che non si può pretendere di governare un Paese anteponendo i problemi del capo a quelli dei governati, né che quanti stanno male espongano con garbo il proprio dramma esistenziale, cui rimangono comunque sordi i signori al vertice, desiderosi solo di ossequi e di rispetto dei loro gratuiti privilegi. Per inciso, ho letto che lorsignori onorevoli si sono recentemente aumentati i già esorbitanti stipendi. Ecco, vedete, non hanno avuto bisogno di gridare nelle piazze; hanno potuto farlo in tono sommesso, quasi un bisbiglio, nell’ovattato comfort delle aule parlamentari; insomma senza dover ricorrere al fastidioso clamore degli operai sui tetti delle fabbriche o nei cortei stradali. Loro sì che rispettano le regole di comportamento democratico e di civile convivenza: devono convincere, senza opposizioni, solo se stessi, per dorare ancor più la propria piacevole esistenza. Quanto al popolo, porti pazienza e s’arrangi come può, magari con le brioches, se finisce il pane: per fine 2010 è prevista una ripresina…

Eppur s’invoca pace sociale e toni bassi, onde arrecare il minimo disturbo ai quartieri alti.

 

 

P.S. Queste righe NON sono un appello ad alcuna violenza, ma semmai un allarme per la sua possibile esplosione se si continuano a rimandare sine die i provvedimenti atti ad alleviare il disagio delle frange più deboli, in accentuazione sia in numero che in intensità.

 

* Consiglio vivamente la lettura di questi interventi alla Camera:

 

-  Finanziaria: le tristi realta' ... di Antonio Borghesi (IDV)

 

- Stato riciclatore, Stato ricettatore  di Antonio Di Pietro

 

 

Marco Giacinto Pellifroni                                      20 dicembre 2009