versione stampabile PIOVE, GOVERNO LADRO
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M. G. Pellifroni |
In realtà, piove sempre meno, ma il
governo è sempre più ladro. Lo Stato è ormai apertamente il
grande mungitore degli italiani, da cui difendersi con l’unico
mezzo a disposizione: l’evasione fiscale (o fisica,
espatriando). Questa constatazione, basata sugli ultimi dati
dell’Agenzia delle Entrate sui prelievi coatti eseguiti
nell’anno in scadenza, è il vero patto disatteso di questo
governo, che subentrava a quello delle tasse, con la promessa di
abbassarle e di rendere la vita più facile a chi suda per
guadagnarsi da vivere. |
Il fisco non ha mai saputo
dell’esistenza del segno meno: si fa avanti
quando si guadagna e si ritira quando si perde.
Anzi no, non si ritira, non ammette che qualcuno
lavori e perda dei soldi, quei pochi che in anni
migliori aveva messo da parte. Non ci crede.
Eppure è questa la situazione di tanti italiani,
che vivono grazie al concorso della famiglia,
dei risparmi, degli avi, del ricorso al monte
dei pegni o, peggio, agli usurai.
Il parallelo con mister B
vale solo in quanto è condivisa la sua rabbia
contro le istituzioni, che da un lato svuotano
le tasche degli italiani con tasse e sanzioni, e
dall’altro incalzano chi è riuscito a sfuggire
alle loro grinfie da imprenditore, ma ora
indossa i panni di primo ministro e insieme
quelli di ex-evasore ed eversore
in pectore
in un’Italia allo stremo.
Un mix pericoloso, che potrebbe portare a
tentare un colpo di Stato
sui generis,
magari col plauso di tutti i tartassati,
speranzosi per l’ennesima volta di un
cambiamento in meglio. Speranza purtroppo vana;
e vediamo perché. Lo Stato nasce secondo il
principio generale delle compagnie di
assicurazione. Si chiede un premio (le tasse)
per garantire sicurezza alla collettività: di
risarcimento danni, le assicurazioni; di servizi
primari, lo Stato. La tentazione, in entrambi i
casi, è quella di lucrare sul monte premi,
assottigliando sempre più la fetta destinata ai
sottoscrittori (contribuenti) a vantaggio della
macchina organizzativa. Il paragone è ancora più
evidente se si considera la lievitazione
dell’aggio nel campo del gioco: si è passati
dall’onesta roulette, che chiede per il banco
solo 1/37 delle puntate, a lotto e lotterie, che
ne ingoiano una fetta ben maggiore, via via fino
a Totocalcio, Grattaevinci, Superenalotto,
Winforlife, che riservano a sé, ossia
all’erario, una frazione esorbitante degli
incassi. Per inciso, il gioco è diventato ormai
il dorato miraggio di gran parte degli italiani,
con l’ultima variante del trading in Borsa, cui
si sta dedicando un numero insospettato di
giovani delusi dalle aspettative di lavoro, con
sostanzioso lucro per Stato e banche. Lo Stato, dunque, s’è
trasformato in un colossale biscazziere, che
aggiunge alle tasse -non più (né mai) bastevoli
per i suoi appetiti- i proventi dell’illusione
collettiva della ricchezza improvvisa elargita
dalla dea, bendata per il popolo, ma ben oculata
per lo Stato. La via d’uscita da questa impasse è stato, a destra come a sinistra, l’abbaglio delle privatizzazioni: togliere compiti allo Stato, costoso e inefficiente, per affidarli ai privati, (arrivando ai paradossi di Alitalia, spaccata in una bad company, accollata allo Stato, e una compagnia “virtuosa”, regalata ai privati). |
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È dai primi anni ’90 che
si va avanti con la mitica panacea delle
privatizzazioni. Risultato: da una parte,
tariffe private più alte, offerte opache, quando
non vere e proprie mini-truffe ai danni degli
utenti, sgambetti tra i concorrenti a spese
della qualità dei servizi; dall’altra uno Stato
che, anziché alleggerire le tasse, grazie allo
sfoltimento delle sue funzioni, continua ad
appesantirle e a bollare come evasori quanti non
ce la fanno a pagarle.
Alla base del bubbone
giace imperterrito e ben schermato il sedicente
debito pubblico. Quando i politici si riempiono
la bocca con parole quali “risanamento”
et similia,
fanno come l’ingegnere edile che risana una casa
pericolante rinforzandone i piani dal primo
all’ultimo, ma trascurando le fondamenta. Lo
Stato riconosce di avere verso |
Ergo: servizi sempre peggiori
e cittadini sempre più spremuti, sia dal
pubblico (Stato + Regioni + Province + Comuni +
ecc.), sia dal privato. Tutto ciò mentre i
privilegi dei pubblici “eletti”, dal Parlamento
in giù, brillano senza scalfitture alla luce del
sole, ingenerando rancore, invidia, rabbia,
sentimenti di vendetta nel popolo degli esclusi,
ossia proprio dei loro elettori. Mister B, in forma
subliminale, riesce a cavalcare questi
sentimenti nella sua lotta personale contro
quelle stesse istituzioni di cui si trova a capo
e che considera intollerabili, in buona
compagnia di milioni di italiani. Parla di
ipocrisie. E ha ragione: al linguaggio
dell’ufficialità non crede più nessuno, compresi
coloro che se ne servono per esorcizzare la
cruda realtà. A cominciare dall’anziano Capo
dello Stato, che sperava in un tranquillo
settennio di cerimonie e pacati inviti al
dialogo, e si ritrova tra i piedi un Capo del
Governo che non ci sta e minaccia una vera e
propria eversione, dall’interno. Con il primo
stanno i residui benpensanti; col secondo,
irrazionalmente, quanti non ne possono più di
una crescente produzione di leggi che pretendono
regolare ogni ora della giornata, acuendo il
desiderio di evadere (in tutti i sensi).
Berlusconi è il ribelle
numero uno di un’Italia ai limiti della
sopportazione. Peccato che si scaldi soltanto
quando ad essere toccato è il suo portafoglio.
Si infervora unicamente quando vede minacciato
il suo impero, i suoi interessi, la sua persona.
Non l’ho mai visto scaldarsi per le aziende che
chiudono, i cassintegrati, i precari, le
sanzioni usurarie comminate a chi non paga
puntualmente le esazioni di Stato e dintorni,
l’Iva anche se non incassata, e insomma tutti
gli adempimenti che vengono zelantemente
richiesti ai cittadini a fronte di prestazioni
carenti e di ripetute promesse mancate. Né s’è
mai scaldato per la tirannide delle banche, cui
è permesso prestare soldi che non hanno,
chiederne l’interesse e la puntuale
“restituzione” in soldi veri, ossia guadagnati
dai mutuatari lavorando e producendo. Del resto,
ci sono solo tre
modi per far soldi: lavorare onestamente
(cittadini); prelevarli legalmente ma
illecitamente (Stato e banche); rubarli
illegalmente e illecitamente (criminalità).
Si metta un po’ di più nei
nostri panni, caro premier, invece che solo nei
suoi, quando vuole pronunciare un discorso
appassionato e anticipare nuove iniziative.
Parlare solo dei suoi problemi mina la sua
credibilità di rappresentante degli interessi di
tutti, quale dovrebbe configurarsi la carica che
ricopre. Vorrei tanto vederle porre la stessa
enfasi, le stesse
palle che sfodera
piangendo su di sé, nel perorare i nostri
calpestati diritti. Marco Giacinto
Pellifroni
13 dicembre 2009
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