IL NUOVO PARTITO DELLA SINISTRA ITALIANA
di
Franco Astengo
Grandi manovre in corso
nella sinistra extraparlamentare italiana: è
stata varata, ieri, la nuova federazione dei
comunisti sulla base dell'assemblaggio (appunto
su base federale) tra
PRC e PdCI;
nel corso del prossimo week-end, 19 e 20
Dicembre, i promotori di
Sinistra e Libertà dovrebbero compiere il passaggio decisivo
della titolarità del simbolo e dell'attribuzione
della piena sovranità agli aderenti in luogo
dell' “appeseament” fin qui esercitato dai soci
fondatori (dall'albo dei quali, come è noto, si
sono sfilati
Verdi e
Socialisti). |
Questo
della cessione di titolarità e di
sovranità da parte dei partitini, che ovviamente
avverrà con il tempo e attraverso un percorso
sicuramente non lineare, appare come un momento
di apertura significativo ed importante, tale da
far accentrare su questa possibilità attenzioni
ed attese.
Il punto, però (come si
diceva una volta) sta da un'altra parte: la
sinistra italiana, proveniente dalla tradizione
comunista,
socialista, socialdemocratica, può
trovare nuovamente spazio politico ed,
eventualmente, istituzionale (penso alla
prossima legislatura) soltanto strutturandosi in
una nuova formazione politica, capace di nascere
aggregando le tante realtà presenti e
disponibili a diversi livelli, dotata – prima di
tutto – di una propria autonomia teorica,
politica, organizzativa.
Autonomia che dovrebbe
consentire di nuotare controcorrente nel magma
della politica italiana, senza perdere di vista
i decisivi risvolti internazionali, senza farsi
trascinare dall'enfatizzazione del giorno per
giorno e del fatto elettorale, ritrovando il
gusto dell'analisi, approfondendo i termini
reali dello stato di cose in atto.
E' anche tempo di
ricostruzioni storiche, a vent'anni dalla caduta
del muro di
Berlino, sulle vicende conclusive
riguardanti il
PCI e le sue successive
modificazioni ( si sono esercitati in tanti:
Magri,
Chiarante, Liguori, Cuperlo, tanto
per citare i nomi più importanti) e ne sono
venute proposizioni interessanti e pregiati
spunti di riflessione.
Al centro, però, di un
discorso che intenda svilupparsi sul piano
dell'autonomia teorica sarebbe necessario
analizzare le profonde trasformazioni avvenute
nel corso degli ultimi anni: trasformazioni che
hanno colpito al cuore l'identità di quella che
era stata la sinistra storica, in particolare
quella espressasi nel
“caso italiano” dominata da un
PCI, esempio di scuola del classico
partito di massa, davvero a vocazione egemonica
nelle sue espressioni di capacità di
rappresentanza di precisi e determinati ceti
sociali (non a caso i rapporti con gli altri
settori sociali erano definiti di
“alleanza”, come si evince
rileggendo, ad esempio, il
Togliatti di “ceti medi ed
Emilia rossa”).
Tutto nasce, infatti,
dalla catastrofe del valore d'uso, che era stato
alla base del binomio
“società sobria/ collettivo”
distintivo dell'identità sociale di quella
sinistra italiana alla cui storia ci stiamo
riferendo.
La catastrofe del valore
d'uso è alla base della trasformazione della
politica della rappresentanza nella politica
della rappresentazione.
Infatti, nella società
moderna, in quanto istituita sulla visibilità
delle classi, il partito politico rimanda, sia
pure con molte mediazioni, ancora agli interessi
del gruppo sociale di cui è appunto
rappresentante nelle istituzioni dello Stato.
Non che le istituzioni
politiche di oggi non producano rappresentazioni
ideologiche, come quelle dell'interesse generale
della Nazione (sulla base del quale si sono
bombardate, perfino, le città della
Serbia)
o quella del cittadino, liberamente autonomo e
capace di voto.
Ma accanto a tale funzione
dell'immaginario collettivo e individuale le
istituzioni di oggi mettono, comunque, in campo
una rappresentanza dei contenuti di vita,
distinti se non opposti, dei vari gruppi sociali
articolati secondo la loro appartenenza al mondo
economico reale.
Con la dissimulazione dei
rapporti asimmetrici tra classi in relazioni
simmetriche tra individui, questi ultimi,
percependosi come identità atomistiche, sono
costretti a recuperare un'identità comunitaria
attraverso pratiche solo simboliche e
compensative.
La colonizzazione del
valore d'uso da parte del valore di scambio è
alla base dell'autorappresentazione della
società contemporanea come un enorme ammasso,
non strutturato da una logica unitaria, di
merci, astratte dai loro processi genetici di
lavoro, e di individui astratti dai loro
processi genetici di classe.
A questo processo di
superficializzazione dell'esperienza, ove le
relazioni istitutive della trama sociale si
rendono invisibili, concorrono una cultura della
smaterializzazione simbolica e una cultura della
rappresentazione ridotta alla mera visione.
Si spiegano così la
perdita di senso storico e l'abbandono di
concezioni sistematiche.
Dove prevale la superficie
e la seduzione della forma sullo spessore di
contenuto, la realtà perde ogni sistematicità di
nessi e si fa valere soltanto la
giustapposizione di figure, ciascuna di volta in
volta più appariscente della altre.
La storia diventa solo un
magazzino, un deposito di eventi, personaggi,
stili, da cui trarre materiale depositato ed
accumulato, per ricostruire a proprio piacimento
il volto, sia del passato, sia della propria
contemporaneità.
Infatti lo spazio senza
tempo è uno spazio privo di gerarchie, dove la
sinistra non si distingue dalla destra e il
centro dalla periferia; perché non si danno più
né centri, né asimmetrie, né scale di valori.
Si spiega altresì
l'egemonia di una filosofia la cui tesi centrale
è la rinuncia a qualsiasi visione forte del
mondo, centrata sulla distinzione
essenza/apparenza, e la rivendicazione invece di
un pensiero debole che, senza velleità alcuna di
raggiungere pretesi ordini oggettivi del reale,
si conchiude nel circolo di soggetti che
interpretano azioni o documenti di altri
soggetti: esattamente quello che è accaduto, a
cavallo degli anni'90 del secolo scorso, ai
partiti della sinistra storica italiana.
Si è verificato, insomma,
un processo di occultamento dell'astratto nel
concreto e si è espressa l'ultima categoria
ideologica con forte valenza ecumenica e
pacificatrice, come è stato nel caso del
PD
a “vocazione maggioritaria”.
Ecco: riflettere su questi
punti, rovesciarne l'impostazione, trarre una
nuova dimensione teorica e poi politica dalla
capacità di non interpretare soltanto le azioni
e i documenti degli altri, potrebbe
rappresentare il punto di partenza
dell'indispensabile autonomia di un altrettanto
indispensabile nuovo partito della sinistra
italiana.
Savona,
4 Dicembre 2009
Franco Astengo
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