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Un viaggio lungo un anno

I racconti di Cristina Ricci*



Un’anfora, è partita da Niscemi un anno fa.

Ha percorso tutta l’Italia per giungere alla sua meta finale.

Ha percorso tutta l’Italia per dire basta al femminicidio e alla violenza di genere.

Chi la vede e non sa non può immaginare tutto quel che contiene e conterrà.

Chi la trasporta, chi la passa all’amica non sa.

Non può immaginare come sarà accoglierla né lasciarla andare via.

L’anfora, quel semplice vaso di terracotta, quel pugno di creta, si trasforma da simbolo ad amica.

 Eccolo lì, quel semplice vaso.

Sono bastati pochi istanti per capire che Pandora era tornata e con lei tutto il suo dolore.

L’anfora  accoglie e custodisce la sofferenza, l’angoscia, l’amarezza di tutte le donne che hanno visto la loro vita spezzata

La sofferenza che resta dentro anche quando i lividi sono passati.

L’angoscia che rimane dentro anche quando sei al sicuro, lontano da lui.

L’amarezza che conservi dentro nel vedere evaporare le tue aspirazioni.

Se il mondo fosse diverso Lorena l’avrebbe vista partire e Hina arrivare.

Ora loro non ci sono più, massacrate di botte e uccise.

Uccise da clan, da gruppi perché anche per uccidere ci vuole coraggio. Ma i loro assassini quel coraggio non l’avevano. Dovevano essere gruppo.

Lorena, Hina e tante tante altre ora non ci sono più; ma ci siamo noi.

Noi a dire basta.

Noi per non dimenticare.

Noi per dire non lasciamo che accada più.

Noi che non possiamo lasciar stare perché siamo state, per ora, più fortunate.

Noi a ricordarle, con le loro semplici storie che sono anche la nostra.

 

Ciao, mi chiamo Lorena, volevo solo vivere la  mia sessualità liberamente.

Non so’ neanche perché in quel gruppo.

Non so’ neanche perché con quei ragazzi.

Non so’ neanche perché e non importa. Non cerco né ho mai cercato giustificazioni o perdono.

Mi hanno trascinata là, in quella cascina, mi ci hanno portata con l’inganno sapendo già cosa sarebbe stato di me.

Mi ci hanno portata come si portano oggetti vecchi, rotti, di cui ci vogliamo sbarazzare.

Mi ci hanno portata per lasciarmi là, oramai mi avevano usata, non servivo più.

Mi avevano usata, ed io e il mio forse bambino eravamo ormai solo un problema.

Mi avevano usata, ed io e il mio forse bambino eravamo ormai solo un ostacolo per la loro futura vita di uomini adulti.

Mi ci hanno portata là, in quella cascina, senza pensare alla mia futura vita di donna e al loro forse figlio.

La mia futura vita?

Non importava nulla a loro.

Mi ci hanno portata e lasciata in quella cascina.

Mi ci hanno portata e minacciata.

Mi ci hanno portata e massacrata di botte.

Mi ci hanno portata e insultata.

Mi ci hanno portata e presa a calci e pugni.

Mi ci hanno portata e lasciata moribonda.

Mi ci hanno portata e lasciata sofferente.

Mi ci hanno portata e lasciata: morta.

Morta.

 

Ciao, mi chiamo Francesca. Vorrei essere libera.

Ciao, sono Francesca ho due figli.

Sono Francesca, non ci amiamo più.

Ho due figli e non un lavoro.

Vorrei essere libera, andare via.

Non ho un lavoro e ho due figli.

Resto.

Ciao, sono Francesca. La libertà è un lusso che non posso permettermi.

 

Ciao, mi chiamo Kamila, ho solo pochi anni.

Ciao, mi chiamo Kamila, non so ancora scrivere.

Ciao, mi chiamo Kamila e posso ancora permettermi il lusso di giocare.

Ciao, mi chiamo Kamila ed oggi è la mia festa, così mi dicono.

E’ la mia festa, il giorno in cui diventerò perfetta; perfetta come profetizza il mio nome.

Ciao, sono sempre Kamila. Anche se non capisco perché qui sul tavolo ci sia io e non un banchetto.

Sono Kamila e ho paura.

Sono Kamila  tenuta ferma.

Sono Kamila i miei occhi ruotano cercando di capire il perché del pugnale.

Sono Kamila e ora è solo dolore.

Dolore tra le mie cosce.

Le spine d’acacia mi trafiggono la carne.

Le mie gambe ora sono legate strette, resteranno così quaranta giorni.

Sono Kamila, il mio corpo ora sarà appetibile per un marito.

Appetibile per un uomo che crede che il modo migliore per scongiurare l’adulterio sia il mio dolore.

Appetibile per un uomo che dovrà lacerarmi la carne ogni volta che mi vorrà per sé.

Sono Kamila, dovrò subire la stessa tortura ogni volta che partorirò.

Ciao sono Kamila: non volevo essere perfetta.

 

Ciao, mi chiamo Core, volevo solo essere felice.

Mi ha corteggiata per mesi, mi ha riempito di fiori e di regali.

La marcia nuziale e le candele.

Volevo solo essere felice.

Ora sono incinta!

Ora sono felice!

“Ti ho scelto solo per il tuo utero!” Ora urla queste parole.

Ora urla.

Urla.

Io sono qui nell’angolo.

Sono qui sbattuta a terra dal ceffone.

Qualcosa di caldo cola lungo il labbro.

Sono qui sbattuta a terra dal ceffone.

Qualcosa macchia di rosso la mia camicetta.

Sono qui sbattuta a terra dal ceffone.

Volevo solo essere felice.

 

 

Ciao, mi chiamo Aisha  e vivo in Somalia.

Cammino sotto il sole. Il burka si trascina sul sentiero. La polvere si alza.

La polvere si alza quando cado in terra.

Si alza mentre mi tengono ferma e mi divincolo.

Si alza mentre loro si affannano su di me.

La polvere si alza.

Uno.

La polvere volteggia.

Due.

La polvere soffoca.

Tre.

Scrollo la polvere dai vestiti quando mi rialzo.

Con dolore torno a casa.

Ho tredici anni, il mondo cambia: lo so.

Ho tredici anni, il mondo cambia se lo vogliamo noi.

Il magistrato mi rassicura “Denuncia, non è colpa tua”.

La polvere si alza.

Ora sono allo stadio.

La polvere si alza.

Sono la protagonista della scena.

La polvere si alza.

Mi hanno stuprato.

Una.

La polvere volteggia.

Mi hanno giudicato colpevole.

Due.

La polvere soffoca.

Hanno emesso la sentenza: lapidata a morte.

Tre.

Le pietre volano e mi colpiscono.

Ciao mi chiamo Aisha, significa vita e prosperità.

Ciao mi chiamo Aisha, il mondo può cambiare ma non per me.

 

Ciao, mi chiamo Anna.

Mi chiamo Anna e vado a scuola in questa città borghese.

Ciao, mi chiamo Anna, finalmente un mito in cattedra.

Finalmente qualcuno che porta una nuova ventata nella scuola degli anni ’70.

Finalmente un mito, discussioni sul futuro femminile.

Nonostante tutto perché qualcuno insinua che resterò sempre un uccellino nel nido bisognoso di protezione?

 

Ciao, mi chiamo Hina.

Mio padre viene da lontano.

Mio padre cerca qui il suo riscatto.

Mio padre vive in un paese europeo, lavora come un europeo ma cerca un riscatto orientale.

Mio padre vive come un europeo ma esige una figlia orientale.

Ciao, mi chiamo Hina.

Studio in Europa, vivo in Europa, mi sento europea.

Mio padre vive in Europa, io indosso i jeans: sono il suo disonore.

Mio padre vive in Europa, ho un ragazzo cattolico: sono la sua vergogna.

Mio padre vive in Europa, convivo con il mio fidanzato italiano: ferisco il suo orgoglio.

Ciao mi chiamo Hina: non sono più un vanto.

Ciao, mi chiamo Hina: nulla di me è restato se non qualche povero resto avvolto nella plastica e sepolto in giardino.

  

 *Cristina Ricci, quarantun anni, abita a Spotorno,  ha  pubblicato il suo primo romanzo (La montagna d’acqua – ed. Il Filo, Roma), un altro recentemente finito e tanta voglia di scrivere.

A questo “scarno” curriculum si può aggiungere la collaborazione con il blog dell’Udi Savonese per il quale Cristina Ricci ha scritto alcuni pezzi