Nei meandri giudiziari e nel labirinto kafkiano
DEL CASTELLO
COME
FINIRA' ?
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Il procuratore del giudizio universale, Tony De
Petrus, detto l'amarissimo che fa benissimo,
stava consultando nel suo labirinto giuridico
amministrativo vecchie carte bollate
sogghignando compiaciuto alla lettura di certi
passaggi dei testi sapienziali, ermeneutici,
epistemologici .
"Questo signore - disse ad alta voce –
il
signore del Castello, questo principe, duca,
marchese, baronetto di Arcore, che dir si
voglia, adesso dovrà fare i conti con me.” |
De Petrus, quel processo, il processo dei
processi, il padre di tutti i processi - con la
sequela naturale ed ineluttabile della madre di
tutte le condanne - avrebbe tanto voluto che
avesse luogo a Norimberga; il processo di
Norimberga, insomma, perché riteneva la città
tedesca come la più adatta al tipo di processo
che aveva in mente.
Ma da Norimberga gli avevano fatto cortesemente
sapere che non vi erano aule disponibili, in
quanto – dopo la caduta del muro di Berlino –
stavano facendo diverse cause civili all'altra
metà della Germania. Gli abitanti dell'altra
metà avevano citato in giudizio Angela Merkel,
accusandola di aver compiuto atti di vandalismo,
vale a dire la distruzione del muro semi nuovo
ed ancora utilizzabile.
A malincuore, De Petrus aveva cercato sedi
giudiziarie alternative.
In via subordinata, la città americana di Salem
gli parve la più adatta. Lì sapevano come
trattare streghe, stregoni, maghi, fattucchiere,
avventurieri, cavalieri erranti, cavalieri di
ventura e cavalieri del lavoro. Salem, cittadina
dagli abitanti tranquilli.
“Sì – disse tra sé e sé, sorridendo compiaciuto
– un bel processo indiziario a Salem fa al caso
mio e soprattutto al caso suo...”
Ma da Salem, il governatore del Mississipi,
Walter Veltroni, l'autore del best seller “Noi
nella capanna dello zio Tom”, gli comunicò
con un telegramma urgentissimo che non vi erano
più alberi disponibili. C'era stata una grande
richiesta di legname per costruire le zattere di
salvataggio dell'economia americana. Tutte
le corde erano state utilizzate per porre
in salvo i pellegrini della Mayflower, appena
sbarcati sulle coste del Massachusset dai
barconi provenienti dalla Libia, noleggiati dal
colonnello Gheddafi, eccezionalmente uscito
dalla tenda per dare consigli ad un imputato
italiano rimasto nell'ombra.
Con grande disappunto di De Petrus, il quale – a
mali estremi, estremi rimedi – voleva evitare di
vedersi obbligato
a ripiegare su una sede di tribunale
nazionale. Avrebbe invece voluto dare una platea
internazionale all'avvenimento con dei giudici
super partes di vari paesi ed osservatori
neutrali, giornalisti de
El Pais,
The Guardian, Le Nouvel
Observateur, sempre obiettivi nei confronti
dell'imputato.
L'ultima occasione di dare un'udienza ed una
risonanza mondiali al processo dei processi si
presentò col viaggio nel Golfo Persico del
Signore del Castello, alla testa di una
delegazione di inquisiti.
“C'è vicina Riad, capitale dell'Arabia Saudita”
pensò sogghignando come Mefistofele
l'implacabile inquisitore De Petrus.
“Ecco l'Arabia Saudita mi sembra adattissima al
processo del reo non confesso...”
Ma subito si alzò l'avvocato difensore Ghedini
gridando come un ossesso: “In Arabia Saudita
vige la pena di morte!”
“Enbé
? - chiese con aria ingenua facendo lo gnorri De
Petrus – che vuol dire ? Se l'imputato è
innocente e non ha nulla da temere (ma io,
aggiunse con tono da arringa finale, mi chiedo:
è veramente innocente ?) cosa gli può importare
del fatto che i sauditi tagliano le mani ai
ladri e le teste agli assassini ? Davvero Riad è
ideale come sede del collegio giudicante...
Andrebbe benissimo; per lui soprattutto, vi
assicuro. Non lo dico per me, da buon
garantista, lo dico per lui...“ |
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Il legislatore gandhiano, Marco Pannella sbottò
con aria annoiata ma di estremo fastidio:”Non se
ne parla nemmeno. Tanto vale giudicarlo nella
base di Guantanamo. Da non violento, posso al
massimo accettare per lui il tribunale
ecclesiastico della Sacra Rota.”
“E mica deve divorziare...” esclamò ironico De
Petrus.
“E invece sì!”- ribatté
l'avvocato Ghedini- dalla signora
Veronica Lario, per ora sua moglie in attesa di
diventare maggiorenne.” |
“E di che diavolo è accusato ?” chiese De Petrus
per aggiungere un'altra pietra al già voluminoso
dossier.
“Di aver offerto le caramelle ad una
diciottenne, quindi, ad una minorenne, come era
appunto la signora Veronica.”
“Ma questa è un altra
causa giudiziaria! Che ci azzecca ? Non facciamo
confusione, per piacere.” esortò De Petrus un
po' deluso di non aver trovato elementi nuovi
d'accusa. In un angoletto al piano zero del
condominio, annuivano facendo di sì con la testa
Santoro e
Travaglio, sempre
costretti a richiamare all'ordine i disordinati
e confusionari Ghedini e Belpietro, seduti sul
banco opposto assieme a Vauro che poteva
ritrarli a suo piacimento, mentre leggevano i
gialli del lodo Mondadori. Ritratti immortali
come quelli di Forattini che valevano quasi
quanto una storia di Tacito o un editoriale di
Bisio su
Zelig. Molto di più in ogni caso di un fondo
di Giuliano Ferrara su
Novella
2000 o di Vittorio Feltri su
Chi.
Non essendo ammessi i fotografi, nel tribunale
condominiale di Piano zero, si faceva- su
suggerimento del governatore Veltroni - come nei
tribunali dell'Oregon: i colpevoli venivano
ritratti assieme ai giurati e agli altri membri
della corte, solo da un disegnatore.
Vauro era la matita adatta in quanto ritrattista
emerito diplomato all'Accademia di Brera.
Ma torniamo a noi, anzi a lui.
Sostenendo le ragioni umanitarie di Marco
Pannella, la digiunatrice
Emma Bonino, propose come sede del giudizio
universale la corte dei diritti dell'uomo dell'Aja,
nei giorni dispari perché quelli pari erano
riservati al processo al serbo Karadzic.
L'Aja rifiutò perché i radicali non avevano
ancora pagato la fattura dei tulipani serviti
per abbellire il salone del loro ultimo
congresso ad Amsterdam. Gli olandesi non erano
più disposti a fare credito a nessuno, nemmeno
al governatore Draghi di Bankitalia.
De Petrus era a corto di idee e di argomenti.
Peccato – pensò – che dopo il processo a Saddam
Hussein, Bagdad non sia più disponibile e che
dopo la visita del ministro La Russa, neppure i
talebani a Kabul siano più disposti a fornire
sedi adatte al dibattimento per il nostro
piccolo grande accusato
Little Big Man.
Il grande inquisitore fu costretto a
riconsiderare l'ipotesi di un tribunale
nazionale nel Bel Paese.
Milano, la capitale morale dove De Petrus aveva
mosso, da neonato, i primi passi camminando a
quattro zampe sulle mani pulite, stava
preparando l'esposizione universale e non voleva
saperne di giudizi universali di nessun genere.
Letizia Moratti disse che uno spettacolo così
grande, un kolossal da milioni di euro, non
tollerava shows concorrenti. Andassero a farsi
giudicare altrove.
Brescia, la leonessa d'Italia, ruggendo, disse
che i cristiani potevano anche andare a farsi
sbranare all'arena di Verona oppure al Colosseo
, ma lei non era più disponibile per spettacoli
che alla fine stufavano gli spettatori, che
chiedevano sempre il rimborso dei biglietti. |
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Questi ultimi cominciarono ad andare d'accordo
ed a sperare nella prescrizione universale.
Venne consultato un altro specialista in rinvii,
Angelino Alfano il quale, in Parlamento, stava
facendo il gioco del Lodo con un gruppetto di
sparuti rappresentanti dell'opposizione e con
alcuni turisti giapponesi in visita a Roma. Un
fiore di Lodo. |
Mi spiace, caro onorevole collega, ha perso.
Venite a giocare al gioco delle tre carte...
Indovinate dov'è il processo breve, il medio
oppure il lungo...sotto quale carta si trova?”
Angelino Alfano per il suo gioco delle tre carte
era lodato da tutti, meno che dai giudici della
Consulta i quali costituivano però un'eccezione.
Tutti gli altri si divertivano da matti.
Secondo la Consulta, invece, il gioco delle tre
carte era poco costituzionale, ma per il resto
il Lodo Alfano poteva anche andare bene. Così
Pier Ferdinando Casini propose semplicemente di
renderlo più costituzionale ed il gioco era
fatto.
Ravvivando la fiamma nel caminetto della Camera,
Sua Sufficienza Gianfranco Fini assieme al
caporale Ignazio La Russa – sempre in piena
intesa con il saggio del Colle – proposero
anch'essi di rendere più costituzionale il gioco
delle tre carte.
Angiolino Alfano non era disposto a tanti
sacrifici. “Accetterò di rendere più
costituzionale il mio gioco se Fini e Berlusconi
accorderanno i loro violini. Altrimenti, non c'è
armonia. Si va al voto!”
“Sì, ma che sia un voto di castità “ chiese la
monaca di Monza, Rosy Bindi.
Marino Marini ed i musicisti del suo complesso
democratico affermarono che era un'operazione
giusta e pulita e Pierluigi Bersani, il loro
direttore d'orchestra avrebbe dovuto prendere
esempio da Angiolino. Pierluigi Bersani era
impegnato a fare una serenata a suor
Rosy Bindi e si offese moltissimo per le
critiche al suo operato da parte di Marino.
“Faccio capo orchestra a Montecitorio don
Franceschini, così impari! Quanto al voto
anticipato meglio non pensarci: ci mancherebbe
solo quello con l'aria che tira.” |
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Per mandare il cavaliere in pensione c'è ancora
tempo. D'accordo: è un mistico, ma ce lo vedete
voi che va a prendere i voti ?” Infatti, il
cavaliere smentì nel modo più categorico la sua
intenzione di entrare nella cabina elettorale o
di farci entrare i poveri elettori italiani:”In
costume da bagno, in questa stagione? Ma siete
matti?” |
Una montagna di incartamenti processuali. Dotate
di modernissimi mezzi tecnologici, le procure
della snella, agile e veloce magistratura
avevano ingaggiato, Roberto Benigni, il piccolo
scrivano fiorentino, per trascrivere i testi
stenografati delle udienze.
Durata media dei processi, una ventina d'anni; a
volte cinque lustri, raro il mezzo secolo.
Quelli condannati all'ergastolo uscivano subito
perché avevano già scontato la pena, in attesa
della sentenza definitiva della Cassazione.
Primo grado, secondo grado, Cassazione e – non
di rado – terzo grado come a Guantanamo. In
tutto il mondo c'erano scambi di carte bollate.
I generali dell'esercito austriaco avevano
appreso con stupore che i brasiliani stavano per
estradare Cesare Battisti: forse era evaso, a
loro insaputa, dal castello del buon consiglio
di Trento, prima della guerra '15-18. Vatti a
sapere.
Insomma, ci voleva tempo. Certi processi non
finivano mai, anzi non cominciavano neppure.
Tanto se non finivano mai, cosa cominciavano a
fare ?
Era proprio il tipo di processo nel quale
sperava Reo Silvio: il processo lungo come la
Quaresima. Per questo Marco Pannella ed Emma
Bonino digiunavano, essendo in Quaresima.
Romano Prodi, pedalando
sulla sua bicicletta, spiegava ai giornalisti
sportivi di
Tuttosport
e del Corriere dello Sport: “Silvio pedala
in vista del traguardo della prescrizione.”
Vi era stato un po' di sbandamento tra i
gregari. “Ma il capo vuole il processo di tappa
breve oppure lungo ?” chiedeva angosciato
Daniele Capezzone, detto la voce del padrone, al
quale per non sbagliare dava sempre ragione.
Angela Finocchiaro, minimizzando gli effetti
collaterali dell'influenza Marrazzo, gridava a
chi voleva sentirla: “Non ci faremo
infinocchiare, col trans-ferimento del processo
ad una nuova sede, come Brescia.”
La leonessa: “Lo credo bene. Ho già detto di no.
Come ve lo devo dire? Con un maxi ruggito ? Non
voglio maxi-processi.”
Casini: “Questa legge sul
processo breve è una porcheria. Non me la bevo.
Non metterò mai più piede alla
buvette di Montecitorio.”
Schifani: “Non volevo dirlo, ma certo che fa
proprio schifo!”
Bersani: “Nemmeno io me la bevo. E chi sono io
per berla ?”
Bonaiuti: “Zitto tu che ti sei bevuto tutte le
panzane del post-comunismo.”
Bersani: “Sì, ma non erano ghiacciate come
questa legge che vuole congelare i processi.
Eppoi, Bonaiuti, fatti gli affari tuoi. Io mi
sono bevute le panzane ma erano i tempi del
disgelo. ”
“Bei tempi!” disse Massimo D'Alema dal suo trono
europeo, da Bruxelles.
Ma, insomma, come dicevano i bravi a Don
Franceschini: “Questo processo non s'ha da
fare...”
Persino l'inquisitore De Petrus, sempre in
piazza anche nella brutta stagione, aveva i suoi
grattacapi: “Non ho bisogno di prendere lezioni
da De Magistris all'interno della mia squadra.
Ho i miei valori!”
Si fa o non si fa, questo
benedetto processo al reo, chiedeva la gente
molto annoiata dai
racconti dei cappuccetti rossi, vecchi di anni.
“Dobbiamo farla finita!” disse il consiglio
delle toghe rosse. “Troviamo una sede
processuale e amen!” gridò De Petrus.
Biscardi propose immediatamente il processo del
lunedì. La Rai rimise in onda il processo alla
tappa. Gigi Proietti propose come tribunale il
cinema- teatro Brancaccio di via Merulana, a
Roma.
“Troppo vicino a Santa Maria Maggiore – obiettò
De Petrus – e lì,si sa, tutti i santi finiscono
in gloria.”
Luciana Littizzetto e Fabio Fazio proposero “Che
Tempo che fa”.
De Petrus obiettò che come sede giudiziaria “Che
tempo che fa” non andava bene perché “quella
trasmissione lascia il tempo che trova.”
“Porta a porta - disse ronzando con insistenza
Bruno Vespa – per me sarebbe il luogo ideale.
Con tutti i processi che ho già celebrato. Che
ci vuole ? Chiamo uno psicologo, un criminologo,
una magistrata, qualche chilo di giornalisti ed
è fatta.”
“Meglio Annozero!”
proposero, sogghignando
Santoro, Travaglio
e Vauro.
“Dove lo mettiamo Ballarò
?” chiese con petulanza l'editorialista, autore
di autorevoli fondi, Maurizio Crozza. “Perché no
l'emiciclo di
Zelig,
chiese molto contrariato Nino Bixio.
“Se è per questo ci
sarebbe il mio hotel a cinque stelle!” dichiarò
ai cronisti de
Il Secolo XIX e di
Radio 19
il magnate delle catene alberghiere, Beppe
Grillo, il mio blog è anche parlante.”
Massimo D'Alema, dalla reggia di Bruxelles,
propose l'atomium, le sfere d'acciaio vuote,
raffiguranti atomi di ferro, costruite per una
esposizione universale, nel quartiere del
Centenario.
“No, l'atomium non va bene, perché gli avvocati
raccontano troppe palle e lì troverebbero
l'ispirazione.” obiettò, spazientito, De Petrus.
“Venite a chi l'ha visto il processo ?” propose
un dirigente Rai- Tv.
“Venite al Tg 5” propose
con clemenza Clemente Mimum e, con altrettanta
clemenza, Clemente Mastella propose di abbinare
i processi: “Quello alla mia
Lady
innocente e quello al reo.”
Fido Fede assicurò un processo equo e neutrale
da parte del Tg 4.
“Striscia la notizia” per
voce di Greggio, Iacchetti e del Gabibbo avanzò
la propria candidatura, sostenuta da Antonio
Ricci, poco convinto dell'offerta: “Poi mi tocca
mandargli un tapiro d'oro da Staffelli ” aveva
pensato, con un pizzico di avarizia tutta ligure
o ingauna. Beppe Grillo che – prima di aprire
una catena di hotels a cinque stelle, cioé prima
di diventare
miliardario –
faceva il
clochard a Parigi, sotto i ponti della
Senna, propose un ristorante alla moda di
Montmartre, gestito da un suo amico, certo
Ratatouille. Topo Gigio si disse disposto a
sacrificare il dente del giudizio se Bonaiuti
gli lasciava fare uno spot alla televisione.
Beppe Grillo propose un altro hotel a cinque
stelle: La Sirenetta di Copenaghen. “L'imputato dovrebbe trovarsi a suo
agio.”
“Ma no. Ho aperto io un modesto residence a
Maranello. Venite tutti nel mio residence, si
chiama “Italia Futura”. Facciamo lì un bel
processo rapido da formula uno, come quello
fatto a Briatore e alla Renault dalla
federazione internazionale automobilistica. Ci
saranno naturalmente le hostess vestire in rosso
in onore del cavallino rampante. Hostess bionde,
brune, more di bosco, castagne di stagione.
Venite nel mio residence.”
suggerì il
gran patron
della Ferrari, Luca Cordero di Montezemolo.
All'apertura del processo a Maranello ci
andarono tutti i politici.
Di corsa.
Il
premier
fu il primo ad arrivare.
*Franco Ivaldo è giornalista e scrittore.
Savonese, ha 69 anni. E' vissuto parecchi anni a
Roma ed a Bruxelles. E' autore del libro |