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Savona come Dubai?

di Milena Debenedetti

 

Quante volte abbiamo sentito il paragone alquanto pomposo se non ridicolo. Ricordava le grossolanità di quei miliardari tanto dotati di risorse economiche quanto privi di gusto, che mettendosi una copia in miniatura della torre di Pisa (o magari di un vulcano attivo…) in giardino sono convinti di aver catturato la bellezza dell’arte e della natura.

Così, paragonando allegramente mele con pere, se non con grossi cocomeri, si portava a modello di ricchezza, benessere, progresso e futuro quell’ipertrofica speculazione per ultraricchi, raccontandone mirabilie, e spiegando che la stessa sorte poteva toccare a Savona, era nelle nostre mani un tale “sviluppo”, che avrebbe portato lavoro e prosperità per tutti.

Proibito dire che un futuro così ci faceva schifo in ogni caso. Vietato avere diverse speranze, ideali, aspirazioni, nel mondo del denaro e del liberismo trionfante. Ci facevano la paternale, assumendo un atteggiamento benevolmente protettivo, superiore, da uomini di mondo, da adulti responsabili che hanno a che fare con un bambino ingenuo e inesperto, a cui spiegare come vanno le cose, e dei soldi che reggono tutto, e dell’ineluttabilità dei meccanismi, e dell’inutilità di posizioni di principio.

Oppure, viceversa, ci dipingevano come i vecchini un po’ rincoglioniti ancora attaccati alle loro nostalgie e ai quattro stracci che non ci sono più, a pretendere di fermare la storia.

Mai che ci facessero la grazia, pur discordando dalle nostre posizioni, di considerarci interlocutori alla pari, con un cervello, delle conoscenze, e argomenti a sostenere le loro tesi, e controproposte concrete.

No. Si fermavano prima, alla definizione stereotipata, agli epiteti, di cui “pantofolai” era il più gentile, per arrivare ad ambientalisti velleitari, sottintendendo che chiunque protestava dovesse appartenere alla specie dei radical chic o dei “ricchi” pensionati, che non hanno bisogno di lavorare per vivere. Ignorando del tutto le proposte e gli allarmi e il buon senso per continuare a sparlare di “quelli del no”.

La storia è andata avanti così e sta ancora andando avanti così, con quasi tutta l’informazione a fargli da grancassa.

Forse, sorge un timido dubbio dentro di me: perché senza queste tattiche, sul piano del puro confronto logico e concreto, si sarebbero rivelati molto più inconsistenti ed attaccabili di quanto volessero apparire?

Infatti poi si è provato a lasciar perdere l’argomento ambiente, territorio, estetica, qualità della vita, senso della misura, come se non avesse alcuna importanza. (E invece ne ha eccome, oh se ne ha! E ce ne accorgeremo sempre di più, man mano che avremo distrutto ogni cosa, tagliando i ponti dietro di noi.)

Ma da quell’orecchio non ci sentivano, e allora si è provato e si prova a mettere in dubbio nel concreto le loro affermazioni.

O.K., va bene, ci piacciono le ciminiere fumanti, le distese di cemento in mezzo al mare, le torri, i moletti, i porticcioli, i palazzoni e quant’altro. Ci piacciono da impazzire. Non c’è alternativa, non c’è altro da fare, è il futuro, è lo sviluppo, ci dite.

Assodato questo, andiamo a vedere nel dettaglio i numeri, le cifre, i piani. Perché a sparare a casaccio le prospettive di occupazione a botte di centinaia, più l’indotto, sempre vago ma iperbolico, sono capaci tutti.

2009, fuga da Dubai La crisi arriva anche in paradiso

A dare una veste realistica a quelle cifre, e nel contempo a paragonarle con il numero di persone, di occupati, danneggiati da queste speculazioni, e dall’inquinamento, nel turismo, nell’agricoltura, nella pesca, e nei “loro” indotti, con proiezioni nel futuro, già un po’ meno.

Tanto poi una volta approvato il progetto e ottenuto lo scopo chi si ricorda di quei numeri? L’importante è farsi belli prima per acquistar consensi. Con disinvolta nonchalance, con assoluta sicurezza. Ricordo benissimo un assessore comunale affermare di essere favorevole ad un progetto, così, sulla fiducia, anche se mancava addirittura un particolare da poco come il piano industriale. E il Consiglio, fervente, approvare a larga maggioranza.

Oltretutto quando si parla di edilizia, ad esempio, già sappiamo che sono posti a termine e più spesso a vantaggio di subappalti di subappalti ( con ricorso a quella stessa immigrazione di cui poi, in pubblico, si deplorano ipocritamente gli effetti, scatenando in modo sciagurato le ire della popolazione e irresponsabili guerre fra poveri). In generale già sappiamo che si tratta spesso di sfruttare i giovani a tempo determinato con ricambio frequente.

 

Insomma, di lavoro qualificato, residenziale e stabile con ricadute veramente positive sulla comunità solo tracce.

Altro argomento che fa storcere il naso,  le cifre stratosferiche, inimmaginabili, guadagnate da  pochi speculatori a fronte di ricadute misere per la cittadinanza, in termine di vantaggi di riqualificazione e opere pubbliche, spesso poi asservite alla realizzazione stessa. A fronte di terreni demaniali in zone preziose praticamente regalati. A fronte di spese sanitarie in crescita per le malattie correlate all’inquinamento crescente.

Perché qui si usa il trucco squallido, giocando con le parole, di dire che le morti, per esempio per tumori, diminuiscono. Già, ma questo è dovuto ai miglioramenti nelle cure, non certo a miglioramenti ambientali. E i malati, si sa, costano, costano moltissimo alla collettività, in termini di trattamenti, ricoveri ospedalieri, ore lavorative perse. Anche i malati che guariscono.

Altro danno collaterale. I soldi, quelli che girano, i finanziamenti, i bilanci, sono sempre quelli. Ogni qualvolta vengono benevolmente ceduti alla speculazione sterile o a chi vuole lucrare senza grossi rischi in imprese obsolete o vecchio stile (tipo carbone, giusto per fare un esempio), la comunità è due volte danneggiata, perché si perde la possibilità di destinarli, invece, a imprese innovative, a investimenti all’avanguardia, a progetti più lungimiranti, a tecnologia e ricerca, a riqualificazioni (vere!!!!!Non nominali) di ambiente e territorio a fini turistici, agricoli, culturali.

Ogni qualvolta si costruisce un palazzone vuoto è come mettere un inutile monumento funebre sulla nostra terra. Ogni qualvolta si svendono o si lasciano cadere a pezzi immobili storici è come fare ammuffire all’acqua e al sole i soldi di famiglia. Ogni qualvolta facciamo scelte sbagliate nel presente ci ipotechiamo il futuro.

Pensiamoci, quando li lasciamo fare pensando che dopotutto non ci riguarda, ma sì, che facciano pure, chi se ne frega… Ci stanno letteralmente togliendo i soldi di tasca, invece. E’ come se ci derubassero, tutti noi, la collettività, quella cosa che abbiamo dimenticato di essere, persi in un egoismo individualista tanto frivolo quanto ottuso.

Colmo del ridicolo e dell’ingiustizia, magari danno degli egoisti a coloro che si battono contro questi progetti, sottintendendo che abbiano qualche interesse personale, per scaldarsi così.

Tipico loro accusare gli altri dei loro difetti, esaltar pagliuzze per non vedere le travi.

Si sperava che con le prime avvisaglie della crisi qualche resipiscenza, qualche crisi di coscienza, si vedesse, all’orizzonte. Invece no, per i più decisi è solo un’occasione per schiumare di “posti di lavoro” con la bava alla bocca, per volerci, in quanto più poveri, più docili, ricattati e ricattabili.

Adesso, Dubai. La tanto decantata ed esaltata. Il simbolo. (Tra parentesi: il nostro premier pochi giorni fa gironzolava negli Emirati. Ennesima prova che, oltretutto, porta pure sfiga). La mega speculazione si sta rivelando un enorme, fragile castello di carta costruito, letteralmente, su discutibili finanze, su mostruosi giri di capitale, una bolla, insomma, come tante altre già scoppiate o ancora sospese.

E nella rete fittissima in cui tutta questa finanza misteriosa e incorporea è collegata, scollegata peraltro dalla realtà dei beni concreti e degli esseri umani, la bolla si sta trascinando dietro il suo bell’effetto domino, con conseguenze devastanti sulle Borse di mezzo mondo, sull’economia, su di noi. Un caso di una serie che, purtroppo, prevedo lunga.

Vediamo se la citeranno ancora ad esempio, adesso, i soloni-sappiamo-tutto-noi. Quelli che spiegano come va il mondo e il futuro agli ingenui che giocano ancora con le bambole, il mare e gli alberelli.

Chissà che non siamo ancora in tempo a ripensarci e cambiare strada. A cogliere la fortuna di essere ritardatari e provinciali, per fermarci in tempo. Chissà che un giorno non dobbiamo ringraziare quei quattro “patetici” personaggi, attaccati in pantofole a uno scoglietto come patelle. E riconoscere che, forse, il vero futuro erano loro. 

 

 Milena Debenedetti 

Il mio ultimo romanzo  I Maghi degli Elementi