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Vivere senza lavorare. Utopia?

 

  Marco Giacinto Pellifroni

 


M. G. Pellifroni
Una domanda vecchia quanto l’uomo. Le strade per raggiungere lo scopo di vivere a spese altrui sono sostanzialmente due: una legale ed una fuori della legge. I più furbi sono quelli che riescono a rientrare nella prima categoria, partendo comunque sempre dalla seconda: gli inizi dei grandi accentramenti di potere e ricchezze sono sempre oscuri, e i loro protagonisti riescono a riscattarsi soltanto dopo aver compiuto il salto di qualità ed aver promulgato leggi atte a promuoverli al rango di notabili, nobili, sovrani, banchieri. Ciò che accomuna tutti questi personaggi ai vertici della scala sociale è il loro parassitismo, ossia la loro capacità di prelevare risorse dal lavoro dei loro sudditi, oggi chiamati contribuenti.

Il loro capolavoro è quello di apparire nella piena legalità, grazie al fatto che le leggi sono loro a promulgarle, utilizzando il braccio armato del potere per combattere la concorrenza di quanti “non ce l’hanno fatta” e sono rimasti ai piani inferiori, della criminalità individuale od organizzata. A differenza di questi ultimi, ai piani alti non si spara in prima persona, ma attraverso forze armate regolari; anche se il fine ultimo è poi sempre lo stesso: spogliare chi lavora del frutto delle sue fatiche e far passare questa appropriazione come lecita. Una appropriazione cui si dà il nome di tassazione.

La parte lecita della tassazione, tuttavia, è solo quella utilizzata per opere di comune interesse e per il mantenimento di un organismo pubblico che sappia oculatamente amministrarla; la parte parassitaria è quella dedicata agli agi della classe dominante. La forbice tra queste due parti si è venuta via via sbilanciando a favore della seconda, determinando un profondo disagio sociale, oggi giunto alla sua forma più acuta.

Al di sopra del parassitismo di stato opera, assai più discretamente, quello bancario, connotato da una doppia furbizia, avendo trovato il modo di rendere subalterna la classe politica e farsi da questa legalizzare l’intrinseca illegalità alla base del suo meccanismo operativo: in sostanza il signoraggio primario e secondario (rimando ai miei articoli sul tema nell’archivio di www.truciolisavonesi.it).

Le banche hanno davvero trovato il modo di riversare, in forma occulta ai più, il frutto del lavoro delle nazioni non già nei loro bilanci, ma in una contabilità parallela, che ha avuto sinora sbocco, attraverso canali riservati, nei cosiddetti paradisi fiscali, dai quali poi rientra per l’acquisto, attraverso le multinazionali, di fette crescenti delle attività produttive.

I paradisi fiscali  sono nazioni, di dimensioni territoriali da ridotte a minuscole, che hanno deciso di praticare il parassitismo, anziché sulle proprie popolazioni, su quelle straniere. Come? Trasformandosi esse stesse in agglomerati bancari i cui depositi sono caratterizzati da imposte irrisorie rispetto a quelle degli stati di provenienza e dalla indulgente chiusura di entrambi gli occhi sulla loro natura. Tutto nella piena legalità locale, trattandosi di stati sovrani e quindi liberi di dotarsi delle leggi che più gli convengono. La contraddizione è che questa indulgenza conveniva anche agli stati di provenienza dei capitali, in quanto i loro proprietari erano quegli stessi che avevano varato leggi fiscali sempre più severe nel tentativo velleitario di catturare, attraverso le tasse, sempre più risorse dalla maggioranza produttiva della nazione per compensare la propria voracità.

Ho usato l’imperfetto, in quanto ultimamente gli stati produttori hanno, almeno a parole, dichiarato guerra agli staterelli “canaglia”, per evitare il perpetuarsi dell’espatrio di capitali. Autogol? Difficile da credere, perché questa “conversione” troncherebbe la stessa ragion d’essere della finanza creativa, ossia del furto di denaro alla collettività, se venisse a mancare un luogo di ricettazione e “lavaggio” dei profitti evasi. Staremo a vedere.

L’elenco degli staterelli è lungo, ma stupisce i più ingenui trovarvi in posizione primaria la banca del Vaticano, l’IOR, Istituto per le Opere di Religione, generosamente aperto per decenni, in contrasto col suo stesso statuto, ad entità esterne che nulla avevano a che fare con la Chiesa e le sue opere di carità. *

È necessario a questo punto un inciso. All’interno delle forme di parassitismo legalizzato si distinguono due sottoclassi: quella laica, cui ho sopra accennato, e quella spirituale, che fa appello alla metafisica e all’inclinazione dell’uomo di ricorrere ad enti intermedi tra lui stesso e la divinità. Questo bisogno intimo, presente nei più, è stato abilmente sfruttato nei millenni dalle caste sacerdotali, le quali, vantando arcane ed esclusive doti di contatto con l’aldilà, nonché il possesso delle chiavi per consentirne l’accesso ai propri fedeli, hanno da sempre prosperato su questa aspirazione dell’uomo verso la trascendenza, accumulando nel tempo immense ricchezze attraverso donazioni e lasciti testamentari, assimilabili a circonvenzioni di massa, ma intesi dai donatori come “pedaggi” per il paradiso, ultraterreno stavolta. (Secoli fa si chiamavano indulgenze e furono la causa prima della Riforma protestante di Lutero).

Il secolo XX, con la sua rivoluzione scientifica,  ha ridotto grandemente la mole di queste appropriazioni, così da spingere il clero a dover escogitare altre forme di sussistenza. Dapprima il concordato del 1929 tra santa sede e stato italiano, che ne riconosceva la completa sovranità sul suo minuscolo territorio, schermandolo quindi da eventuali indagini giudiziarie; e poi le modifiche del 1985, con il sussidio dell’otto per mille, hanno in modo diverso permesso al Vaticano di sopperire alle decrescenti entrate dei sempre più secolarizzati fedeli. Soprattutto l’extra-territorialità e la natura di vera e propria fortezza inviolabile alle forze dell’ordine e alla magistratura italiane, nonché l’esempio di altri piccoli stati che, dall’iniziale vocazione agricola e poi turistica, erano passati a quella finanziaria (vedi, per non andar troppo lontano, la Repubblica di San Marino), avevano convinto i dirigenti dell’IOR che questa banca potesse essere la nuova gallina dalle uova d’oro.

Con parecchi vantaggi in più rispetto agli altri staterelli: come l’essere al servizio di un’entità, la Chiesa cattolica, con un’immagine di superiorità morale conferitale dallo status di guida spirituale di oltre un miliardo di fedeli sparsi in tutto il mondo; nonché il godere di ampie e consolidate coperture politiche all’interno in particolare dello stato italiano. Ma l’ingordigia, quando si maneggia troppo denaro, cresce al crescere del giro di soldi. E le grandi banche d’affari sono state -e le sopravvissute al recente ciclone tuttora sono-  testimoni della veridicità di questo assunto.

Sulla base dei suddetti vantaggi, negli anni ’70 si aprì per l’IOR il periodo, dapprima aureo e poi sempre più burrascoso, dei traffici con faccendieri in odore di mafia o P2, come Sindona, Calvi, Gelli, ecc., che proseguì, dopo una breve pausa di leccamento delle ferite all’immagine della Chiesa, con l’era tangentizia, che raggiunse il suo apice negli anni ’80 con la maxi tangente Enimont, transitata in parte per le casse dell’IOR, e proseguì negli anni ’90, con l’imbarazzante catena di ripetute rogatorie spiccate dal pool di Mani Pulite. Rogatorie che adombravano l’esistenza di una “lavanderia” di denaro di dubbia provenienza nel cuore stesso di Roma attraverso tutti quegli anni.

Come ho succintamente illustrato, la tentazione di vivere “a sbafo”, che Dante avrebbe ascritto al girone degli avari, è una delle più forti che il diavolo esercita (seconda solo alla tentazione della carne, la lussuria), ed evidentemente neppure gli esorcisti in abito talare  riescono a fugarla. Sembra che papa Lucani fosse fermamente intenzionato a porre fine alle acrobazie finanziarie dell’epoca avviata da monsignor Marcinkus, ma l’uomo ebbe letteralmente vita breve, morendo nemmeno un mese dopo la sua elezione a pontefice in circostanze quanto meno sospette.

Per concludere, l’avvento del denaro ha consentito ad una ristretta cerchia di individui di raggiungere l’ancestrale scopo di vivere facendo lavorare altri al loro posto. Chi ci è riuscito meglio di tutti sono stati in tempi remoti i monarchi assoluti, con il loro corteggio di nobili; e in tempi moderni i banchieri, dapprima su scale nazionali, e infine su scala planetaria, con vassalli più consoni ai tempi, scelti tra i politici.

 

* V. il recente libro di Gianluigi Nuzzi “Vaticano SpA”, Settembre 2009, 8^ edizione

 

Marco Giacinto Pellifroni                                                       8 novembre 2009