Quando il disagio della civiltà crea mostri

Una condanna senza fine

Contro la solitudine innata dell'uomo una tecnologia compulsiva

La ricerca continua ed ossessiva di cui molti di noi sono vittime sta avanzando senza apparente possibilità di risoluzione.

Stiamo parlando della comunicazione via cellulare, quella che appare e viene offerta come la più grande rivoluzione del nostro mondo in via di progressiva tecnologizzazione.

Ci consente infatti d’essere in collegamento col mondo che ci circonda e di connettersi con un flusso eterno di vita che pare non seguire più neppure i ritmi vitali e circadiani che ognuno di noi comunque vive.

Infatti ancora dormiamo, ci alimentiamo, provvediamo alle nostre abluzioni quotidiane, lavoriamo, conversiamo, leggiamo, seguiamo il nostro sport preferito.

Ma questo sembra assolutamente incompatibile con l’idea introdotta dalla comunicazione telefonica via cellulare.

Fino a non molto tempo fa infatti, quando si decideva di chiamare qualcuno che non fosse l’amato bene (che rappresentava e rappresenta tuttora una specificità assoluta), ci si chiedeva -prima d’alzare la cornetta del vecchio telefono a disco- se l’ora era opportuna, se era davvero necessario “disturbare”, se la richiesta di comunicazione poteva trovare l’altro disponibile. Davvero facile. Certo. Infatti la “fissità” dell’apparecchio telefonico ci rappresentava la realtà dell’altro in un luogo fisico (l’ufficio, l’entrata di casa o nei casi più moderni e spregiudicati la cucina o la camera da letto) che assomigliava al nostro, dal quale pure noi avremmo chiamato. Quindi una situazione di parità, almeno logistica. Ed era del tutto logico che fossero considerati sconvenienti orari che riconoscevamo come disturbanti: la sera dopo le 22, l’ora del pranzo o della cena (a meno che non avessimo ricevuto una precisa indicazione del nostro corrispettivo), la mattina presto, la domenica e le altre occasioni che immaginavamo come degne d’essere tutelate e protette da incursioni esterne. Facevano eccezione le famose chiamate natalizie e pasquali dove la chiamata telefonica doveva necessariamente avvenire in un momento di grande convivialità, perché questo ci dava la certezza di scambiare le ultime notizie ed i rituali auguri con le famiglie al gran completo.

Difatti ancora oggi, la chiamata al telefono fisso ad ore strane ci fa sussultare, e pensare subito a qualche cattiva notizia. Non solo: arrivavamo decisamente puntuali agli appuntamenti, perché la modifica in corso d’opera era inimmaginabile.

E se non trovavamo nessuno, ed il telefono squillava a vuoto, apprendevamo, in via indiretta, che l’altro non c’era.

Semplicemente non era presente nel luogo dove lo ricercavamo, e con mesto dispiacere ci ripromettevamo di richiamare.

Oggi la presenza di una modalità di comunicazione così immediata e senza filtri, né di pensiero né d’azione, fa sì che la chiamata e quindi la risposta al cellulare diventi una sorta di obbligatorietà dalla quale non possiamo esimerci.

Il tempo di veglia sembra essere ormai strutturato sulle 24 ore, durante le quali pare che non abbiamo null’altro da fare che rispondere a chi ci cerca. Non è inusuale trovare persone che ammettono senza tema di derisione di portare il cellulare in bagno o sistemarlo sul comodino, avendo ormai superato da tempo, al punto da sembrare incredibilmente fuori luogo, l’intollerabile mancanza del cellulare al supermercato, in macchina, alla riunione di condominio, ai funerali, a messa, al cinema, in biblioteca, a scuola, in ospedale… insomma in tutti quei luoghi che non possono essere raggiungibili col fisso.

Non solo: quando per un motivo contingente non facciamo in tempo a rispondere (perché ci stiamo lavando i piedi, perché stiamo scendendo da un treno, perché non sentiamo la suoneria), nell’altro scatta una strana forma di pensiero, inusuale ai tempi del fisso, dal sapore lievemente paranoide: non mi vuole rispondere, non vuole farsi trovare…

Il telefonino spento poi appare davvero come una mancanza intollerabile di educazione, che può trovare parziale risarcimento solo se l’altro ha avuto il buon cuore di inserire la segreteria telefonica (a proposito, ricordate quando al fisso ci imbattevamo con qualche batticuore o tartagliamento con questa comunicazione in differita?).

In sostanza, questa nostra ricerca forsennata d’essere rintracciabili e d’essere connessi col mondo (ora anche attraverso internet) che ci compensa dalla nostra incomprimibile solitudine, pare però trovare qualche difficoltà ad allargarsi anche al mondo del visibile. Le vendite della nuova generazione di cellulare, quella per intenderci dove oltre alla vocalità si intercetta anche la fisicità dell’altro, sembra non abbiano sfondato sul mercato. Come se fosse una barriera ancora difficilmente superabile.

Qualche prospettiva di contenimento? Timore di un Grande Fratello domestico e continuato? Timore di non poter più mentire sul luogo dove effettivamente ci troviamo? Forse….Speriamo.

 Efestione