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I racconti di Cristina Ricci*

Odissea


"Per un uomo di settant'anni, sei in ottima forma" commentò il dottor Glazunov alzando gli occhi  

dall'ultimo tabulato stampato dal Medcom. "Io non te ne darei più di sessantacinque." *


Questo mi aveva detto il mio amico medico giorni fa.

Le sue parole continuano a risuonarmi dentro. Chissà poi perché. Nulla di cui dovermi preoccupare, anzi. Però quella frase rimbalzava e rimbalza dentro come la pallina di un flipper che fa di tutto per non finire fuori gioco.

Anche per me il non essere ingoiato dalla buca è lo scopo ultimo di quel rimbalzare, la stessa forza che mi spinge avanti.

 Settant’anni e ancora faccio di tutto per allontanare l’inevitabile “Game over”.

“Io non te ne darei più di sessantacinque” e come dargli torto? Per tenere la pallina in gioco il più a lungo possibile mi sono imposto da anni un regime salutistico. Stop al fumo, all’abituale whisky dopo cena e via libera ad una dieta povera di grassi condita da quotidiane passeggiate a passo veloce. La palestra quella no, troppo difficile per il mio orgoglio sopportare il confronto con giovani corpi. Un’umiliazione intollerabile per il mio ego che tuttavia si sottopone a faticose sedute casalinghe con la panca ed i pesi che ho sistemato in quel che una volta era lo studio. Quelle che anni fa erano sembrate rinunce si sono trasformate in abitudini di vita. I risultati di quelle fatiche si sono ben presto visti. Il grasso addominale si è sciolto pian piano e oggi il mio fisico asciutto fa invidia anche a chi è molto più giovane di me. Io invece invidio la loro età, il tempo che hanno a disposizione e che per me, nel bilancio della vita, è soltanto un passivo.

È stata infatti, la mia,  una scelta dettata non tanto dal buon senso quanto dalla voglia di recuperare attimi, giorni e magari addirittura anni dopo aver visto la propria vita crollare al primo soffio proprio come i castelli di carte che, da bambino, costruivo per ingannare il tempo e la solitudine.

La vita ha subito un brusco cambiamento il giorno in cui lei se n’era andata. Poche parole  erano bastate per farmi capire che, senza rendermene conto, la donna amata fosse svanita sotto i miei quotidiani sguardi fino a divenire un’estranea. Proprio come i figli che giorno dopo giorno, crescendo sotto i nostri occhi si erano tramutati in giovani adulti scalzando dalla mente persino il ricordo dei bambini che furono.

Sono sempre stato un uomo orgoglioso, questo lo ammetto, ma non un uomo ostinato, fermo sempre e comunque nelle sue posizioni.

Se dicessi di non aver sofferto dalla volontaria assenza di Maia direi una bugia; ma lo farei anche se ammettessi di aver patito per la sua mancanza.

Così ho passato i primi mesi della mia nuova vita da scapolo, single è per me un termine privo di significato, dicevo, ho passato quei mesi assorbito dall’incombenza di nuovi compiti, un poco astrusi, come l’utilizzo di un elettrodomestico di cui ben conoscevo la meccanica ma di cui raramente avevo sperimentato l’uso.

Ho passato i primi mesi della mia nuova vita da scapolo assorbito dall’incombenza di nuovi compiti e dalla riflessione di quanto Maia fosse ormai divenuta un’abitudine nella mia esistenza e non più una gioia.

Sono un uomo orgoglioso dicevo, ma non fermo sempre e comunque nelle sue posizioni.

Posso dire di essere un uomo diverso da quello che ero, un uomo migliore di quello che Maia ha lasciato cinque anni fa, un uomo cambiato perché, nonostante il mio orgoglio, ho ammesso che, se Maia è andata via, anch’io per lei avevo smesso di essere una gioia e mi ero trasformato in qualcos’altro.

Nelle mie insonni notti questo è il tormento che più mi assilla. Cosa ero diventato io per Maia? Cosa, per spingerla lontano da me? Quando ho smesso di essere gioia? Ci penso e ci ripenso, notte dopo notte.

Ci penso e ci ripenso.

Notte dopo notte e ancora non capisco.

Mi pare di essere sempre stato me stesso, di essere, addirittura, lo stesso di un tempo.

Di essermi attenuto ai miei compiti, di essere stato un buon padre, di aver fatto tutto come promesso… come promesso quella domenica dal cielo sereno di tanti anni fa.

Eppure qualcosa mi devo essere perso se tu, Maia, cinque anni fa, hai pronunciato quella frase e sei andata via. Uscita.

Uscita dalla nostra casa.

Uscita, ma non dalla mia vita.

Ho ricercato le foto del nostro matrimonio.

Sono ormai stinte, sbiadite.

Sbiadite come ormai, devo ammetterlo nonostante l’orgoglio, sono anch’io.

Stinto e sbiadito nonostante il mio invidiabile fisico e le mie eccellenti analisi.

Stinto e sbiadito nonostante il tenue colore che la voglia di recuperare questi cinque anni passati stende sulla mia esistenza.

Stinto e sbiadito nonostante il tenue colore che la voglia di vivere stende sulla mia esistenza.

Colore che si propaga sui miei pomeriggi al circolo, sulle mie serate al dancing con nuove amicizie femminili.

Colore che si accende un poco quando la mia risata risuona ancora argentina.

Ho ricercato le foto del nostro matrimonio.

Speravo di trovare lì la risposta alle mie notturne domande.

Ho trovato invece solo il riflesso di ciò che eravamo. Ho visto due ragazzi. Due giovani che potrebbero anche essere i nostri figli. I figli di ciò che siamo oggi.

Ho visto due ragazzi, i loro sogni, e la strada che hanno percorso.

Ti ho rivisto Maia, ho rivisto i tuoi occhi limpidi, il tuo sorriso pieno di promesse.

Ho sentito ancora la fragilità della tua mano stretta nella mia.

Ho sentito il suo tepore e un’improvvisa dolcezza ha scaldato il mio cuore oggi come allora.

Ho ricercato le foto del nostro matrimonio.

Sono ormai stinte, sbiadite ma non è sfumato in me l’amore che ho provato per te.

Per te Maia, per te ragazza dagli occhi limpidi che ancora inseguo.

Per te Maia, per te ragazza che era gioia e che non sapevo potesse divenire abitudine.

 *incipit di Arthur C. Clarke (1917-2008) 2061: Odissea tre

  

 *Cristina Ricci, quarantun anni, abita a Spotorno,  ha  pubblicato il suo primo romanzo (La montagna d’acqua – ed. Il Filo, Roma), un altro recentemente finito e tanta voglia di scrivere.

A questo “scarno” curriculum si può aggiungere la collaborazione con il blog dell’Udi Savonese per il quale Cristina Ricci ha scritto alcuni pezzi