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IL LIBRO (E I DISCHI) DEL MESE.

LE “ROSE DELLA COLPA” di STEVE EARLE

di Massimo Bianco

Le rose della colpa, le chiamava Bobby. (…) Avvolte nel cellophane, con un’ampollina di plastica piena d’acqua alla base dello stelo. Le comprano gli uomini per le persone care quando rientrano a casa troppo tardi o si dimenticano anniversari e compleanni. Bobby negli anni ne aveva comprate a centinaia, letteralmente, mentre si trascinava a casa barcollante, dopo questa o quella disavventura, e Kim le aveva conservate una a una. (…) Ognuna di quelle rose rappresentava una delusione, una promessa non mantenuta…”

Abbiamo saltato il libro del mese di settembre. Per farci perdonare, in questo ottobre 2009 in un certo senso raddoppiamo: libro e dischi. Infatti, Steve Earle, l’autore del volume di racconti che presentiamo, è soprattutto un grande musicista. Anima ribelle classe 1955, originario della Virginia ma cresciuto a san Antonio, Texas, Steve Earle inizia la carriera a Nashville come musicista country rock, ispirandosi soprattutto a giganti del genere come Johnny Cash e Hank Williams. Il suo primo album “Guitar town” (1986), nonostante la sua indubbia energia rock, viene etichettato dalla critica come country, seppure atipico e fuori dai cliché. Poco alla volta i suoi interessi musicali lo stanno però già portando ad avvicinarsi sempre più al classico rock americano prodotto da artisti come Bruce Springsteen o John Mellencamp.

Album come “Copperhead Road” (1988) oppure “The hard way” (1990) e il live “Shut up and die like an aviator” (1991), sono dunque ottimi ed elettrizzanti dischi di rock americano springstiniano non del tutto dimentichi della lezione folk e country, ambito quest’ultimo a cui all’epoca continuava peraltro a essere assimilato da molta critica, anche se ormai di vero country nella sua musica era rimasto ben poco. Artista attento al mondo che lo circonda, nei suoi dischi rivela fin da subito una grande cura nei testi, attraverso i quali racconta storie di deboli, perdenti e reduci dal Vietnam.

Nonostante (o forse proprio per via del) la buona notorietà conseguita, nel frattempo Earle è purtroppo entrato, come troppo sovente accade nello stressante mondo del rock, nel tunnel dell’alcool e della droga, sostanze il cui abuso lo porta addirittura a un arresto per tentata rapina a mano armata, illegalità causata proprio dall’incessante necessità di procacciarsi gli stupefacenti. Egli trascorre in galera oltre un anno, durante il quale ha però modo di disintossicarsi e resuscitare letteralmente.

La sua nuova vita artistica inizia con l’album folk acustico “Train a comin’” (1995) e prosegue con ottimi dischi di graffiante ed energico rock elettrico spruzzato di folk come “Trascendental Blues” (2000) e “Jerusalem” (2002), così impegnati nel criticare il sistema di vita americano e la politica del governo dell’era Bush da causargli il boicottaggio di una parte dei media statunitensi, ma in grado anche di fargli guadagnare, e proprio con il suo disco più feroce, “The revolution starts… now” (2004), il premio Grammy Award per il miglior album di folk contemporaneo. Earle non dimentica però le sue origini country e pubblica così anche cd come “The mountain” (1999) tributo alla cosiddetta musica bluegrass e cioè al country appalachiano. Oggi, a 54 anni, l’artista continua indefesso la sua attività musicale e il suo ultimo prodotto (senza contare il recentissimo “Live at the BBC” che raccoglie sue vecchie esibizioni dal vivo) “Townes” (2008) è un omaggio a uno dei suoi maestri, Townes Van Zant, rinomato compositore country & folk rock scomparso nel 1997.

Nel frattempo al musicista si è affiancato uno Steve Earle scrittore. “Le rose della colpa” del 2001, pubblicato in Italia nel 2005 dall’editore Meridiano Zero (titolo originale: “Doghouse roses”) è una antologia di racconti e contiene undici storie, tutte convincenti e con almeno quattro o cinque picchi assoluti. In proposito sottoscriviamo al 100% quanto viene affermato nel risvolto di copertina:

“È riuscito a trasportare in questa raccolta tutto il talento, la passione, la rabbia che caratterizzano le sue canzoni. Ma Earle è andato anche oltre, dimostrandosi un autentico scrittore, dotato di una prosa matura, acuta, e fondamentalmente sincera.”

Il racconto che dà il titolo all’antologia ha, e non poteva forse essere altrimenti, evidenti toni autobiografici. Si tratta, infatti, di una cruda discesa agli inferi della droga “finì per non avere più nulla. Niente soldi. Niente auto. Nessun posto dove vivere”, da parte di Bobby Charles, una stella del country rock. È la storia di un uomo in corsa verso la morte mentre la compagna è costretta ad assistere impotente alla sua rovina e al prosciugarsi del loro amore. Almeno fino alla redenzione finale, quando “tornò a incidere dischi adorati dalla critica e con riscontri commerciali decenti.

Se già questo è un ottimo racconto, il resto della collezione non è da meno, perché Steve si dimostra capace di esplorare qualsiasi tema con la medesima credibilità. Vedasi ad esempio “La danza del giaguaro”, forse il più bello del lotto, che narra le sofferenze dell’emigrazione clandestina, la spietatezza dei cosiddetti coyote, coloro che per soldi fanno passare ai disperati il confine tra Messico e Stati Uniti, “Lui ed Eligio erano stati i primi passeggeri a salire a bordo, ma ora c’erano altre trenta, forse addirittura quaranta anime pigiate in quello spazio quasi buio e quasi completamente privo d’aria”, e l’inesorabile perdita delle proprie radici da parte degli indios centroamericani. Ed è anche una storia, questa, impregnata di cinismo e sfiducia nel sistema:

Un qualche politico a Washington o Città del Messico promette pubblicamente di prendere provvedimenti contro <questi animali che stanno avvelenando i nostri figli>. Il politico in questione ha bisogno di vittime con nomi e cognomi. Deve saltare una testa, ma di chi? (…) Convincere il mondo che sia in corso una guerra alla droga in grande stile è di vitale importanza. E che il flusso di droga, armi e soldi continui a scorrere è un imperativo categorico. Perciò viene organizzato un sacrificio al Dio dei servizi segreti, e stavolta come capro espiatorio era stato scelto l’Americano. Niente di personale. Semplicemente, era venuto il suo turno.

C’è poi l’eterno problema del razzismo in “Taneytown”:

Mamma mi ha detto fai quello che ti pare ma non andare a Taneytown. Dice che alla gente di lì i negri non piacciono.

La cieca ottusità delle autorità è suo bersaglio in “La valigia rossa.”, gustoso quadretto della provincia americana e grottesca disavventura per il matto e squinternato ma innocuo protagonista:

Pochi conoscevano il suo cognome o ricordavano un’epoca in cui non era stato parte dell’arredamento del paese. C’era sempre stato, molto semplicemente,  e aveva sempre camminato su e giù per Main Street a passettini rapidi e corti, un andatura che lo faceva ciondolare in maniera comica, mentre camminava con le sue onnipresenti valigie. (…)

         Huston. Tu sei nuovo di queste parti. Quando sarai in giro da un po’ più di tempo capirai da  solo che in Will’m o nelle sue valigie non c’è nulla di sospetto. Lui le portava in cima a Main Street, a quella stessa panchina davanti al tribunale, prima ancora che tu nascessi.

Una luce, per quanto fioca, si accese negli occhi dell’agente Huston.

        Davanti al Tribunale? A un edificio dello Stato? Ma non si rende conto, comandante? E se in quella valigia ci fosse una bomba?

Earle dice poi la sua, in maniera asciutta e misurata, sulla guerra del Vietnam in “Rimpatriata” e sulla pena di morte in “Testimone”, due tra i testi migliori del volume.

Naturalmente in mezzo a temi così impegnati non si dimentica della “sua” musica e la fa riappare qua e là, ad esempio in “Billy the Kid”, la favola triste di un genio perduto. “Le canzoni si susseguivano fluendo l’una nell’altra, e ogni volta che pensavi di aver sentito il pezzo che senza ombra di dubbio sarebbe stato il migliore del disco, arrivava quello successivo, e ti scuoteva fin nelle viscere.

Sono insomma undici storie da gustare una a una, magari ascoltando in sottofondo qualcuno dei suoi cd, e sperando che nel frattempo il loro autore si decida finalmente a regalarci una nuova opera narrativa e che questa approdi qui in Italia.

Massimo Bianco