I racconti di Cristina Ricci*
AMICHE
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Salirono per le terrazze, poi per altre scale.
Lontano, nello scorcio di mare, s’alzava, tra
fiamme rosa, il mosaico della sera. Entrarono
nei vicoli. Ancora quattro passi, e anche la
piazza era percorsa. Non c’era anima viva. Sui
sedili di pietra, qualche foglia d’ulivo
accartocciata. Due mani erose, e tagliate ai
polsi, si stringevano sulla lastra della
fontana. Il paese un tempo, a dispetto del nome,
doveva essere abitato da gente mite*. |
Tutto
era ancora come nei miei ricordi, eppure così
diverso.
I muri a secco che tanto ammiravo quasi non si
scorgevano più. Edere e fiori li ricoprono.
Ricordo invece come brillavano al sole, quasi
che il sudore di chi li costruiva e li curava
quotidianamente li lucidasse.
Anche la fontana sembrava silenziosa. Non più
l’allegro argenteo tintinnare dell’acqua che
sgorga.
Soffre forse di malinconia? Da quanto tempo
nessuno si disseta più dalla sua fonte? Da
quanto non ode chiacchiere di comari e
confidenza tra amiche?
Sembra un sogno, eppure era la vita: la mia
vita.
Non era un sogno, ma questa sera lo diverrà.
Saliamo a fatica. Non nel fisico, ma nel cuore.
La fatica dei ricordi, il tenere a bada emozioni
che il nostro cuore erutta come un vulcano che
si è risvegliato. Ma la lava non distrugge.
Brucia tutta la nostra ruggine, le nostre
delusioni e le amarezza della vita che fu.
Ci purifica, e noi, come antiche fenici,
rinasciamo.
Attraversiamo la piazza, pochi passi e siamo già
oltre. Il paese è finito.
Questa sera non ci accompagnano i saluti delle
vicine, li strilli dei bambini.
Solo il silenzio del crepuscolo, l’eterno canto
di cicale e grilli.
Il vento canta tra gli aghi dei pini, accarezza
le foglie e porta il sussurro del mare.
Anche i profumi sono diversi, non più l’aroma
del tabacco fumato sugli usci, non più il legno
bruciato nei camini o la fragranza del pane.
Solo l’odore della terra bruciata, arsa dal
sole.
Tutto sembra abbandonato, morto, ma non è così:
è solo addormentato.
A noi il compito di risvegliare. Perché questo
può la forza dell’amore.
Questo vogliamo fare stasera. Come due fate
arranchiamo sulle stesse salite, attraversiamo
le stesse vie e gli stessi vicoli.
Il tempo andato ritorna e io sono ancora con te.
Amica mia, riecco il nostro posto, il nostro
tronco e la pietra piatta sulla quale sempre
sedevamo.
Estate o inverno non importava.
Qui era il nostro momento. Un attimo per
raccontarci le nostre pene, i nostri segreti, i
nostri amori.
Un istante per essere noi stesse, fuori dai
conformismi, fuori dalle regole.
Come è bello ritrovarti.
Ancora una volta così vicine al mondo eppure
così lontane.
Nulla più ci turba, ora che abbiamo raggiunto
l’agognata pace dei sensi.
Ancora una volta sediamo qui a osservare il
tramonto.
In questo crepuscolo tutto è immutato. Lo stesso
mare, lo stesso cielo.
La luce del sole si va spegnendo, i colori del
mondo cambiano. Strano paradosso: tutto è più
nitido, più luminoso.
Anche per noi è così: arrivate vicino al
traguardo tutto ci è parso più chiaro, salite e
discese hanno avuto finalmente un senso.
Il mare è calmo, l’azzurro diventa violetto e
anche la sua natura si trasforma. Non sembra più
acqua. Innumerevoli specchi fanno brillare la
sua superficie.
I nostri passi sono forse sulle stesse orme di
Eugenio?
Abbiamo anche noi seguitato una muraglia che ha
in cima cocci aguzzi di bottiglia?
Ricordo ancora l’ultima volta che ci siamo viste
qui.
Ognuna con il nostro bagaglio. Le parole non
sono servite, è bastato uno sguardo, un
abbraccio e sapevamo già che le nostre vite si
sarebbero divise.
Tu partivi per quel mare, io restavo qui; ognuna
a inseguire il proprio sogno.
Il tempo è passato. A occhi distratti tutto
sembra morto, non c’è anima viva.
Sui sedili di pietra solo qualche foglia di
ulivo accartocciata.
Ma noi sappiamo che così non è.
Nel calare della sera, come due fate siamo
passate e tutto abbiamo risvegliato.
Poco importa se pochi hanno visto e udito. Poco
importa se pochi vedono e odono, se vedranno o
sentiranno.
Il vento ora è più forte; risuona il rintocco
della campana abbandonata, è tempo di tornare.
Ancora un abbraccio tra noi, dobbiamo rientrare
ma sappiamo che l’affetto che ci ha legato in
vita ci terrà unite ancora.
Occhi distratti non scorgeranno, cuori freddi
non capiranno, in fondo di noi altro non resta
che una squadrata pietra.
* incipit tratto da
“Vento Largo” di Francesco
Biamonti
A questo “scarno” curriculum si può aggiungere la collaborazione con il blog dell’Udi Savonese per il quale Cristina Ricci ha scritto alcuni pezzi
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