Dovrebbe toccare la nostra
anima, ma non lo fa. Magari, curiosamente,
quando viaggiamo all’estero apprezziamo
bellezza, qualità urbana, ambiente, pulizia,
dove li troviamo. Ma in Italia no.
Sappiamo benissimo che
tutto questo patrimonio naturale e artistico che
ci è toccato in sorte, se adeguatamente tutelato
e valorizzato, potrebbe essere una risorsa
economica ben più consistente e fondamentale di
quanto già non sia. Ci toccherebbe interrogarci
su molte scelte scellerate e incuranti del
passato, che si tendono a perpetuare nel
presente, devastazioni irreversibili, scempi,
incuria, insediamenti umani e industriali del
tutto sbagliati…
Ma andiamo oltre. Su questo
al mondo siamo in buona compagnia, anche se
nella classifica dei peggiori ci battiamo bene.
Il punto specifico che mi interessava era un
altro. Mi riferivo a un concetto più tipico
nostro, che ha comunque a che fare con
tutto questo: sembra proprio che mediamente
siamo insensibili alla bellezza, che nella
nostra vita quotidiana non ce ne importi un gran
che. Anzi. A volte sembra addirittura che
proviamo una sorta di gioia feroce a
distruggerla, a violentarla, a umiliarla ovunque
possiamo, a circondarci di bruttezza trionfante
e volgare, anche del tutto immotivata,
diversamente, magari, da una fabbrica, un
viadotto, che almeno un suo perché ce l‘ha o
l‘ha avuto. Bruttezza fine a se stessa.
Eppure, ci sono delle
contraddizioni: non è che ci manchi il gusto in
assoluto. Pensiamo alla nostra moda, al design.
Tutti concordano che gli italiani all’estero
appaiono i meglio vestiti.
Ma allora, perché? Perché
non ci accorgiamo, o non ci importa, di tutta la
bruttezza che disseminiamo?
Farà anche parte della
nostra indole come popolo. Ma ci deve essere
sotto una questione diversa, culturale.
Certi tentativi di
spiegazione non reggono. Non è per esempio
un discorso di mancanza di mezzi. Lo credo
che non si può pretendere che la baracca del
senza casa sia raffinata esteticamente, lo credo
che certe zone sono brutte e desolate perché
povere, ma vale anche un molto meno spiegabile
contrario: ricchezza come trionfo di bruttezza.
Passando per la pianura padana in autostrada, ad
esempio, vi vedrete scorrere ai lati tantissime
villette di persone evidentemente non sprovviste
di pecunia, ma una più brutta, pretenziosa e
chiassosa dell’altra, o semplicemente squallide,
e con giardini mal tenuti e spelacchiati.
Probabilmente molte di
quelle villette saranno arredate splendidamente
all’interno, magari affatto pacchiane, e tenute
lucide come specchi. Allora, appunto, se non
è povertà, se non mancanza assoluta di gusto,
cos’è?
Villa Zanelli |
Vecchio ospedale San Paolo |
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Ecco,
qui cominciamo ad avvicinarci al concetto: il
concetto che non ci importa di ciò che è
esterno
al nostro
particulare.
Il mondo finisce sul pianerottolo, la comunità è
limitata alla famiglia e alle mura domestiche,
tutto ciò che esiste intorno, beni comuni,
ambiente, territorio, società, è solo una
serie di entità funzionali a servirci, e basta.
Non siamo, no, noi, entità inserite in un
equilibrio, che dobbiamo stare attenti a non
alterare e turbare. Non è un rapporto di
scambio, di attenzione, paritario, sensibile.
No:
io
da una parte, il singolo essere, in un tripudio
di egoismo antropocentrico, o, al più, come
dicevo e quando va bene, la famiglia, e
dall’altra “il resto del mondo”, come in una
partita di calcio che è obbligatorio vincere a
qualunque costo, insultando l‘allenatore se non
ci riesce.
Ecco, in questo quadro, tutto
va a posto o quasi. Tutto si incasella e si
spiega perfettamente. E qui in Liguria, a
Savona, siamo campioni assoluti in questo
squallore.
Le borse gonfie di rifiuti di
tutti i tipi buttate nel cassonetto
spensieratamente, ignorando i contenitori della
differenziata poco distanti. I rifiuti sono un
problema? Certo, ma chi se ne frega, io pago le
tasse, non è un problema mio. Appena liberata la
mia lucida casetta da quell’involucro
maleodorante, anzi, appena posato sul
pianerottolo ad appestare i vicini, in attesa di
gettarlo, sono a posto e non ci penso più.
Certo, i contenitori non sono
comodi, frequenti e vicini, lo sappiamo. Certo,
i dubbi sull’efficacia ci sono tutti. Ma finché
le persone manifestano questa assoluta
superficialità e indifferenza, danno un comodo
alibi a chi non se ne vuole occupare o ha già
scelto le più lucrose soluzioni, a scapito della
salute, del territorio, dell’ambiente, del
futuro.
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Le
auto che affollano le strade, che imbruttiscono,
che degradano, che arrugginiscono lentamente in
doppie file, ma viste come un diritto
inalienabile. Il diritto
al brutto e alla pseudo comodità.
Si spiega perché in pochi
provino la stessa fitta di dolore che provo io
ogni volta che vedo villa Zanelli o il vecchio
ospedale S. Paolo nel degrado. In questo secondo
caso, si aggiunge una ulteriore fitta
nell’immaginare cosa saranno capaci di farne,
una volta iniziato il “recupero”, come la
piazzetta dell‘Astor o come
la futura Margonara.
Ma nessuno, o troppo pochi
almeno, soffrono per la bruttezza in sé, la
percepiscono come una violenza nel proprio
animo, sentono proprie le cose di tutti.
Poi c’è il rapporto con la
natura. La natura, specie in città, “sporca” e
disturba. Gatti avvelenati, piccioni presi a
calci, addirittura pini decennali e rampicanti
(è successo a Torre del Mare) spruzzati con il
diserbante, perché qualcuno voleva l’auto e il
bel piazzale cementato puliti dalla resina. Se
questi sono i cittadini, come si può sperare che
siano migliori e più sensibili i loro
amministratori?
Ogni occasione è buona per
tagliare alberi. Inutili alberi che tolgono
parcheggi e restringono le strade. Si sfrattano
colonie feline dalle scuole. Si proibisce
di nutrire i piccioni che così si
ammalano e trasmettono infezioni. Si apre la
caccia a tutto quello che si muove.
La natura è solo un grosso
fastidio nell’equilibrio del mondo. Il bel mondo
delle città e delle auto e della case tirate a
lucido. Secondo loro.
E se protesti sei un patetico
ambientalista, velleitario. Se protesti contro i
palazzi dei grandi architetti, non capisci
l’arte, il prestigio, l’innovazione. Quella è
vera bellezza.
Be’, può anche darsi,
estrapolata dal contesto. Ecco, forse quello che
intendo io non è un concetto di bellezza
assoluta, ma piuttosto lo chiamerei di
armonia.
Vi svelo un segreto, signori
cari: se distruggete alberi e
animali e ambiente ancora sano, se sfregiate con
mura di cemento, se abbattete o snaturate
palazzi antichi, togliendo loro l’anima, se non
siete capaci di restaurare, conservare,
proteggere, integrare, la bellezza che uccidete
è qualcosa di più profondo, si chiama armonia,
ed è la musica silenziosa del mondo.
E ha a che fare direttamente
con la qualità della nostra anima, con il nostro
equilibrio interiore, impalpabile e misterioso,
ma vitale.
Fateci caso: bellezza chiama
bellezza, rende le persone più attente,
civili,sorridenti. Degrado, bruttura, squallore,
anche se di lusso, rendono più maleducati,
incattiviti, disattenti, chiamano altro degrado
e altra bruttura.
L’ambientalismo non c’entra
affatto: persino quelli che lo disprezzano, pur
senza rendersene conto, subiscono tutto questo,
e un albero tagliato, un gatto ucciso, un brutto
palazzone, una strada sporca e grigia di auto,
fa male anche a loro come a tutti .
Per
questo sono sempre ingrugnati e acidi, brutti
dentro e fuori, e mai in pace col mondo. Per
quanti soldi abbiano. Perché hanno perso il
senso dell’armonia, si struggono per una
mancanza che non riescono a spiegare, e non
avranno pace finché non lo sottrarranno a tutti
gli altri.
Milena
Debenedetti
Il mio nuovo romanzo
I Maghi degli Elementi
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