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Il bello e il brutto(e il cattivo?)

di Milena Debenedetti

 

In questi momenti di fine estate mi torna in mente una riflessione che rimugino da tempo.

Riflessione che può sembrare a margine, o inquinata da una sottile vena di snobismo. E invece, a ben pensarci, è perfettamente in linea e coerente con alcuni dei dibattiti cittadini.

 

 


Mi sono sempre chiesta, senza mai smettere di stupirmi, per quale motivo a noi italiani sembri mancare totalmente l’amore e la cura per il bello, nella sua più vasta accezione.

Eppure possiamo godere di un clima in generale buono, effetto serra permettendo, di stupendi paesaggi, la cui  varietà e magnificenza non ha eguali in alcun paese al mondo. Siamo stati la culla delle belle arti, della civiltà romana, del  rinascimento; le opere dei nostri artisti, i monumenti, i palazzi, le chiese, sono lì a testimoniare uno splendore, anche qui, insuperato.

Dovrebbe toccare la nostra anima, ma non lo fa. Magari, curiosamente, quando viaggiamo all’estero apprezziamo bellezza, qualità urbana, ambiente, pulizia, dove li troviamo. Ma in Italia no.

Sappiamo benissimo che tutto questo patrimonio naturale e artistico che ci è toccato in sorte, se adeguatamente tutelato e valorizzato, potrebbe essere una risorsa economica ben più consistente e fondamentale di quanto già non sia. Ci toccherebbe interrogarci su molte scelte scellerate e incuranti del passato, che si tendono a perpetuare nel presente, devastazioni irreversibili, scempi, incuria, insediamenti umani e industriali del tutto sbagliati…

Ma andiamo oltre. Su questo al mondo siamo in buona compagnia, anche se nella classifica dei peggiori ci battiamo bene.  Il punto specifico che mi interessava era un altro. Mi riferivo a un concetto più tipico nostro, che ha  comunque a che fare con tutto questo: sembra proprio che mediamente  siamo insensibili alla bellezza, che nella nostra vita quotidiana non ce ne importi un gran che.  Anzi. A volte sembra addirittura che proviamo una sorta di gioia feroce a distruggerla, a violentarla, a umiliarla ovunque possiamo, a circondarci di bruttezza trionfante e volgare, anche del tutto immotivata, diversamente, magari, da una fabbrica, un viadotto, che almeno un suo perché ce l‘ha o l‘ha avuto. Bruttezza fine a se stessa.

Eppure, ci sono delle contraddizioni: non è che ci manchi il gusto in assoluto. Pensiamo alla nostra moda, al design. Tutti concordano che gli italiani all’estero appaiono i meglio vestiti.

Ma allora, perché? Perché non ci accorgiamo, o non ci importa, di tutta la bruttezza che disseminiamo?

Farà anche parte della nostra indole come popolo. Ma ci deve essere sotto una questione diversa, culturale.

Certi tentativi di spiegazione  non reggono. Non è per esempio un discorso di mancanza di mezzi. Lo credo  che non si può pretendere che la baracca del senza casa sia raffinata esteticamente, lo credo che certe zone sono brutte e desolate perché povere, ma vale anche un molto meno spiegabile contrario: ricchezza come trionfo di bruttezza. Passando per la pianura padana in autostrada, ad esempio, vi vedrete scorrere ai lati tantissime villette di persone evidentemente non sprovviste di pecunia, ma una più brutta, pretenziosa e chiassosa dell’altra, o semplicemente squallide, e con giardini mal tenuti e spelacchiati.

Probabilmente molte di quelle villette saranno arredate splendidamente all’interno, magari affatto pacchiane, e tenute lucide come specchi. Allora, appunto, se non  è povertà, se non mancanza assoluta di gusto, cos’è?


Villa Zanelli

Vecchio ospedale San Paolo

Ecco, qui cominciamo ad avvicinarci al concetto: il concetto che non ci importa di ciò che è esterno al nostro particulare.  Il mondo finisce sul pianerottolo, la comunità è limitata alla famiglia e alle mura domestiche, tutto ciò che esiste intorno, beni comuni, ambiente, territorio, società,  è solo una serie di entità funzionali a servirci, e basta. Non siamo, no, noi, entità inserite in un equilibrio, che dobbiamo stare attenti a non alterare e turbare. Non è un rapporto di scambio, di attenzione, paritario, sensibile.

No: io da una parte, il singolo essere, in un tripudio di egoismo antropocentrico, o, al più, come dicevo e quando va bene, la famiglia, e dall’altra “il resto del mondo”, come in una partita di calcio che è obbligatorio vincere a qualunque costo, insultando l‘allenatore se non ci riesce.

Ecco, in questo quadro, tutto va a posto o quasi. Tutto si incasella e si spiega perfettamente. E qui in Liguria, a Savona, siamo campioni assoluti in questo squallore.

Le borse gonfie di rifiuti di tutti i tipi buttate nel cassonetto spensieratamente, ignorando i contenitori della differenziata poco distanti. I rifiuti sono un problema? Certo, ma chi se ne frega, io pago le tasse, non è un problema mio. Appena liberata la mia lucida casetta da quell’involucro maleodorante, anzi, appena posato sul pianerottolo ad appestare i vicini, in attesa di gettarlo, sono a posto e non ci penso più.

Certo, i contenitori non sono comodi, frequenti e vicini, lo sappiamo. Certo, i dubbi sull’efficacia ci sono tutti. Ma finché le persone manifestano questa assoluta superficialità e indifferenza, danno un comodo alibi a chi non se ne vuole occupare o ha già scelto le più lucrose soluzioni, a scapito della salute, del territorio, dell’ambiente, del futuro.

Le auto che affollano le strade, che imbruttiscono, che degradano, che arrugginiscono lentamente in doppie file, ma viste come un diritto inalienabile. Il diritto al brutto e alla pseudo comodità.

Si spiega perché in pochi provino la stessa fitta di dolore che provo io ogni volta che vedo villa Zanelli o il vecchio ospedale S. Paolo nel degrado. In questo secondo caso, si aggiunge una ulteriore fitta nell’immaginare cosa saranno capaci di farne, una volta iniziato il “recupero”, come la piazzetta dell‘Astor  o come la futura Margonara.

Ma nessuno, o troppo pochi almeno, soffrono per la bruttezza in sé, la percepiscono come una violenza nel proprio animo, sentono proprie le cose di tutti.

Poi c’è il rapporto con la natura. La natura, specie in città, “sporca” e disturba. Gatti avvelenati, piccioni presi a calci, addirittura pini decennali e rampicanti (è successo a Torre del Mare) spruzzati con il diserbante, perché qualcuno voleva l’auto e il bel piazzale cementato puliti dalla resina. Se questi sono i cittadini, come si può sperare che siano migliori e più sensibili i loro amministratori?

Ogni occasione è buona per tagliare alberi. Inutili alberi che tolgono parcheggi e restringono le strade. Si sfrattano colonie feline dalle scuole. Si proibisce  di nutrire i piccioni che così si ammalano e trasmettono infezioni. Si apre la caccia a tutto quello che si muove.

La natura è solo un grosso fastidio nell’equilibrio del mondo. Il bel mondo delle città e delle auto e della case tirate a lucido. Secondo loro.

E se protesti sei un patetico ambientalista, velleitario. Se protesti contro i palazzi dei grandi architetti, non capisci l’arte, il prestigio, l’innovazione. Quella è vera bellezza.

Be’, può anche darsi, estrapolata dal contesto. Ecco, forse quello che intendo io non è un concetto di bellezza assoluta, ma piuttosto lo chiamerei di armonia.

Vi svelo un segreto, signori cari:  se distruggete alberi e animali e ambiente ancora sano, se sfregiate con mura di cemento, se abbattete o snaturate palazzi antichi, togliendo loro l’anima, se non  siete capaci di restaurare, conservare, proteggere, integrare, la bellezza che uccidete è qualcosa di più profondo, si chiama armonia, ed è la musica silenziosa del mondo.

E ha a che fare direttamente con la qualità della nostra anima, con il nostro equilibrio interiore, impalpabile e misterioso, ma vitale.

Fateci caso: bellezza chiama bellezza, rende le persone più attente, civili,sorridenti. Degrado, bruttura, squallore, anche se di lusso, rendono più maleducati, incattiviti, disattenti, chiamano altro degrado e altra bruttura.

L’ambientalismo non c’entra affatto: persino quelli che lo disprezzano, pur senza rendersene conto, subiscono tutto questo, e un albero tagliato, un gatto ucciso, un brutto palazzone, una strada sporca e grigia di auto,  fa male anche a loro come a tutti .

Per questo sono sempre ingrugnati e acidi, brutti dentro e fuori, e mai in pace col mondo. Per quanti soldi abbiano. Perché hanno perso il senso dell’armonia, si struggono per una mancanza che non riescono a spiegare, e non avranno pace finché non lo sottrarranno a tutti gli altri.

 

Milena Debenedetti 

Il mio nuovo romanzo  I Maghi degli Elementi