versione stampabile

VIZI PUBBLICI E VIZIETTI PRIVATI
di Fulvio Sguerso

Da tempo la questione morale è all’ordine del giorno nel nostro beneamato (?) Paese, e le ultime – per ora – imprese amatorie vagamente dannunziane (con il fascino del Potere e del Danaro al posto di quello mitico del “divino Ariele”) del nostro Cavaliere balzate all’onore o, meglio, al disonore delle cronache,  non aiutano certo a orientare le giovani generazioni verso quello stile di vita, se non casto, almeno sobrio e, si diceva una volta “costumato”, tanto raccomandato dai pulpiti e dalle autorità cosiddette civili quanto disatteso nei fatti, anche per via del continuo battage televisivo e invita giorno e notte a non porre limiti ai consumi, ai desideri, ai bisogni artificiali come i telematico che paradisi decantati dal Baudelaire (di cui i nostri adolescenti consumatori di hashish non hanno probabilmente letto neanche un verso).
Nel leggere dunque le cronache scandalose e scandalistiche che riguardano la vita privata, anzi intima del nostro premier - al netto delle indignate smentite del medesimo e dei suoi avvocati, e delle controinchieste dei giornali e dei settimanali di sua proprietà – non si può fare a meno di interrogarsi  sulla gravità raggiunta da quella che è stata definita da Benedetto XVI “emergenza educativa”, proprio sul tema della rilassatezza dei costumi pubblici e privati che caratterizza questo momento storico della società europea e, ahimé, soprattutto italiana. Come si spiega che proprio la nostra cara (?) Italia, con tutta la sua tradizione cattolica e dopo una cosiddetta prima Repubblica governata per un cinquantennio da coalizioni moderate che avevano nella  Democrazia Cristiana il loro centro e il loro equilibrio, sia precipitata nel volgere di pochi anni in questa deriva qualunquistica, libertina e paganeggiante che sembra ormai senza limiti? Di chi è la responsabilità? Della televisione? Del mercato? Del Sessantotto? Del berlusconismo dilagante e seducente? Se lo chiede, tra gli altri, Barbara Spinelli sulla Stampa del 23 giugno: “Non son pochi , in Italia, gli esasperati di quel che sta avvenendo nel Paese: fuori casa l’attenzione delle democrazie si concentra sulla crisi economica, sui meno protetti che ne patiranno, su governi che per decenni hanno omesso di vigilare, sui rapporti di forza che mutano nel mondo, mentre da noi i giornali si riempiono di storie laide che hanno il premier come protagonista e i suoi patemi, i suoi impulsi, le sue libertine sregolatezze come trama. Si vorrebbe parlare d’altro, ma quast’altro è introvabile.” Ed è introvabile perché lo spazio pubblico, il proscenio politico è occupato dalla personalità del leader, dai suoi gusti, dalle sue ville, dalle sue feste, dalle sue vicende familiari e giudiziarie e, insomma, dalla spettacolarizzazione del suo privato: “ E’ da quasi un ventennio che l’Italia è ammaliata da questo modello casalingo, edificato sulla negazione dello spazio pubblico e delle sue istituzioni.

Umberto Eco
Chi ha forgiato tale modello è irritato, perché il golem che ha fabbricato si scaglia ora contro di lui….”.
Sembra quasi la favola dell’apprendista stregone, ma il nostro Cavaliere non è né un apprendista né uno stregone, non lo si può nemmeno definire – né lui vuol essere definito – un politico; certo è un abile e imperterrito affabulatore che per tre volte ha sedotto la maggioranza degli italiani e delle italiane, interpretandone evidentemente la mentalità, le pulsioni e i sogni nemmeno tanto segreti; e non è colpa sua se ci sono in giro tante aspiranti veline e tante buone madri di famiglia pronte a offrire le loro figlie non alla Patria ma a un signore che può farne la fortuna, televisiva o politica, con il suo placet
.
Per questo non ha torto Umberto Eco quando afferma, sull’Espresso del 16 luglio, che “è inutile prendersela con Berlusconi che fa, per così dire, il suo mestiere.

 E’ la maggioranza degli italiani che ha accettato il conflitto di interessi, che accetta le ronde, che accetta il lodo Alfano, e che ora avrebbe accettato abbastanza tranquillamente – se il presidente della repubblica non avesse alzato un sopracciglio – la mordacchia messa (per ora sperimentalmente) alla stampa. La stessa nazione accetterebbe senza esitazione, e anzi con una certa maliziosa complicità, che Berlusconi andasse a veline, se ora non intervenisse a turbare la pubblica coscienza una cauta censura della Chiesa….”. E meno male che le cosiddette gerarchie ecclesiastiche hanno conservato il loro prestigio e il loro carisma, e una loro parola vale, per l’opinione pubblica del nostro Paese, più delle sarcastiche tirate dei Travaglio, dei Di Pietro e dei Beppe Grillo messi insieme; molto più di “Anno Zero”, infatti, hanno scosso gli animi, e quindi preoccupato – ma, a quanto pare, grazie al provvidenziale G8 aquilano, per l’espace d’un matin - il Cavaliere e i suoi avvocati, le inequivocabili accuse di monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana: “Disprezzo esibito nei confronti di tutto ciò che è pudore, sobrietà, autocontrollo. Sfoggio di un libertinaggio gaio e irresponsabile salvo poi, alla prima occasione, servirsi del richiamo alla moralità, prima tanto dileggiata a parole e con i fatti, per altri scopi, di tipo politico, economico o di altro genere”. Meglio tardi che mai, vien fatto di pensare; e se parole tanto dure e chiare vengono pronunciate da un alto prelato dal pulpito di una chiesa, in una occasione solenne come il memoriale del martirio di Santa Maria Goretti, significa che l’emergenza morale rappresentata dai costumi pubblici e privati (viene in mente uno slogan del Sessantotto: “Il privato è politico”, sed quantum mutatus ab illo !) del nostro premier non è il bieco complotto di una Sinistra priva di argomenti politici più consistenti. Ma a questo punto si potrebbe obiettare che l’uso spregiudicato e strumentale della morale e persino della religione non è un’esclusiva berlusconiana, né un tratto caratteristico della nostra epoca secolarizzata, pluralista e relativista: basta rileggersi le istruzioni e le tecniche seduttive che Machiavelli   raccomandava al suo Principe ideale, nel 1513, per togliersi ogni illusione. Ma allora che cosa ne è della famosa trasparenza delle istituzioni e del celebrato ma sovente eluso “controllo democratico del Potere”? Bella e spiritosa domanda, magari da rivolgere ai tanti avvocati e portavoce del nostro imperturbato, imperturbabile e romantico Cavaliere senza macchia e senza paura.

Fulvio Sguerso