TRUCIOLI
SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni
L’opinione/ Quel “liberi tutti”,
dalla scuola del Pci ai nostri giorni col Pd
Il comico Grillo,
società televisiva, populismo E …<Vien da dire,
mal scavato vecchia talpa> La
candidatura del comico Grillo alla segreteria del PD, al
di là della sua proponibilità materiale, offre lo spunto per una
riflessione di carattere generale collocata anche al di là delle
consuete annotazioni sul populismo, che partono da Giannini e l”Uomo
Qualunque”, passano per Poujade ed approdano ai modelli
dominanti, attualmente, nel sistema politico italiano, impersonificati
dall'attuale Presidente del Consiglio e dal suo contraltare
ex-magistrato, mentre la Lega Nord ha preso la via del partito
etnoregionalista di massa e dentro il partito ( o meglio la “coalizione
dominante”) del già citato Presidente del Consiglio albergano ancora
consistenti settori ad “integrazione sociale” (populismo
che, come ha fatto notare Galli della Loggia, ha piena
cittadinanza, ed anzi può essere utile, in una sistema politico
articolato come il nostro, nel suo rapporto complessivo con la società
civile). Il PD
sfugge a questo tipo di catalogazioni, più o meno “classiche”, da
manuale di scienza politica, ad appunto per questo è oggetto di questo
tipo di assalti che dimostrano, peraltro, l'assoluta fragilità del
soggetto più rappresentativo di quella che fu una presunta “area
riformista” e che oggi pare non possedere più alcuna identità, ed alcun
titolo di presenza nella già citata complessità del sistema politico. Come si è
arrivati a questo punto?
L'itinerario è quello della grande crisi dei corpi intermedi che ha
agitato la società italiana a partire dai primi anni'90 del secolo
scorso, allorquando ai fattori internazionali di crisi sistemica (
parametri di Maastricht, caduta del muro di Berlino,
cessione di sovranità dello “Stato – Nazione”) si aggiunsero gli
elementi di una particolare crisi interna, dovuta alla crescita
esponenziale del debito pubblico e alla scoperta di un vasto intreccio
di corruzione tra partiti e settori “forti” dell'economia nazionale (
ricordiamo la tangente “Montedison”, madre di tutte le
tangenti e, in principio, il meccanismo messo in atto dal processo di
nazionalizzazione dell'energia elettrica. Una vicenda proveniente da
lontano, esplosa in varie forme, a partire da quello scandalo dei
petroli, all'inizio degli anni '70, cui i partiti cercarono di porre
argine, alcuni furbescamente, altri ingenuamente, con il finanziamento
pubblico: strumento assolutamente impopolare, che ha contribuito
fortemente alla crisi di credibilità dei partiti stessi, ricordando
anche l'esito del primo referendum sulla materia, svoltosi nel 1978, che
ebbe sì un esito positivo per i partiti, ma per il rotto della cuffia,
facendo suonare un fortissimo campanello d'allarme: si rovesciava, a
partire da quel momento, il rapporto di egemonia tra partiti e società
civile, a favore di quest'ultima dopo che, per trent'anni, era stata
saldamente in mano – appunto – ai partiti stessi). Una crisi
che i partiti hanno creduto, anche qui un furbescamente, creduto di
compensare esaltando il proprio potere di nomina, diventato quasi
esclusivo al riguardo della scelta dei componenti del Parlamento. In questo
quadro è avvenuta la trasformazione del PCI, non tanto in PDS,
DS “o come si chiama adesso”, ma da partito ad integrazione di
massa, a partito “elettorale” fino a partito egemonizzato dalla “società
televisiva”, elemento ben diverso dalla “società civile” (proprio perché
il rapporto con la “società televisiva” è unidirezionale, mentre quello
con la società civile complesso ed articolato, al di fuori della portata
della ricerca “ossessiva” del “nuovismo” che caratterizza questa
fase, da parte del PD). Forniamo
allora qualche cifra di questo passaggio: il punto di passaggio più
importante, per quel che riguarda appunto il PCI era
rappresentato dalla forza del gruppo dirigente, indipendentemente dalla
collocazione istituzionale, e quindi, dalla ricerca del consenso al di
fuori dal quadro di partito: era necessario, invece, per essere un
dirigente politico, muoversi in modo da essere rappresentativi degli
atteggiamenti etico – politici presenti nelle sezioni e nel partito in
generale. Si tratta
di una differenza fondamentale, se pensiamo che dal 1948 al 1979 i
membri del Comitato Centrale del Partito e della Commissione
Centrale di Controllo membri dei due rami del Parlamento, erano
mediamente tra il 20% ed il 30% (29,4% al 1953, 28,7% al 1958, 29,5% al
1963, 27,1% al 1968, 24,5% nel 1972, 22% nel 1979, 22,2% nel 1983). Parliamo
di organismi composti, complessivamente, da circa 200 persone (non certo
i 3.000 delle Assemblee Nazionali di adesso). Si
poneva, quindi, un problema di selezione dei quadri dirigenti e di
accesso alle istituzioni, attraverso i meccanismi collettivi di
costruzione del partito: mera cooptazione e burocratismo? Non
crediamo proprio, ma semplicemente si ravvisavano in allora
margini molto ristretti per qualsiasi ipotetico tentativo di crearsi una
legittimità elettorale ai margini del partito, con posizioni
artificiosamente differenziate, magari attraverso meccanismi di
carattere clientelare. Rischio
di promuovere i “fedeli” e lasciar fuori i “bravi” ed “indisciplinati?
Un rischio sicuramente corso e l'accenno al fatto che la garanzia, sotto
questo aspetto, avrebbe dovuto venir fuori da una apertura del dibattito
che, nel PCI, rappresentò il vero punto di ritardo. Punto di
ritardo che avrebbe ben potuto essere colmato senza azzerare del tutto
l'identità organizzativa del partito. Abbiamo
citato il PCI perché, all'interno del sistema politico italiano
dell'epoca, rappresentava il modello più importante del partito “ad
integrazione di massa”, teorizzato da Duverger: ma è quel
modello, in generale, che ci premeva ricordare e mettere a confronto con
il vuoto che ci ritroviamo davanti oggi .
Rispetto a ciò che accade oggi, forse sarebbe stato bene riflettere al
meglio su quel tipo di partito e sulle modificazioni da apportare alla
sua vita interna. Invece “liberi
tutti”, con una ricerca del “nuovo” e di una “legittima
esterna”, al riguardo della quale non era contemplata nessuna
possibilità di trasmissione dal partito alla società dal punto di vista
del sistema dei valori e della linea politica, agendo soltanto in chiave
propagandistica e in funzione “governista”, arrivando alla fine,
con la gestione più recente del PD, addirittura a confondere i
meccanismi di scelta per le cariche pubbliche, con quelli necessari per
selezionare i quadri di partito (si veda l'attuale rincorsa alla
segreteria, il cui modello appare quello delle primarie USA per la
Presidenza, in un contesto come ciascheduno di noi ben comprende,
affatto diverso e che ha dato vita ad un meccanismo di andata e ritorno
che ci permettiamo, senza offesa per alcuno, di definire almeno “grottesco”). Si è così
smarrito il modello del partito ad integrazione di massa, per approdare
ad un esito totalmente incerto e non classificabile sul piano della
struttura di un qualsivoglia corpo intermedio (partito, gruppo politico,
soggetto politico) di mediazione tra la politica e la società, con
ricerche assurde di tipo “giovanilistico” al riguardo
delle quali ci permettiamo davvero di dubitare della effettiva
genuinità.
Risultato: una perdita totale di egemonia, non compensata dalle
apparizioni televisive (come ben sanno anche dalle parti della sinistra
ex-”arcobaleno” la cui evoluzione forse è ancora peggiore di quella del
PD, ma che non esaminiamo per ragioni di economia del discorso)
e, di conseguenza, facilmente esposta agli attacchi provenienti proprio
da quella “società televisiva” portatrice del germe del
“populismo”. Verrebbe
proprio da concludere: “mal scavato vecchia talpa!”.
Savona, li 14 Luglio 2009
Franco Astengo
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