L’opinione/ La
millenaria capacità della chiesa cattolica con l’ultima enciclica
Il papato di Benedetto XVI
e il “socialismo cristiano”
La
fase del post-liberismo e della globalizzazione alla luce di “Caritas
in veritate”
Nei giorni dell'inutile G8
il più alto magistero della Chiesa Cattolica,
confermandosi nella grande capacità di
intervenire a tempo nelle attuali e vitali
questioni del secolo, interviene attraverso una
importante enciclica papale dedicata ai temi
della globalizzazione, dell'economia, della
società e dei risvolti etici che interessano l'
iniziativa pastorale ed il rapporto di questa
con gli stati, i sistemi politici, la società
moderna in generale. |
Emerge, da questo testo, curiosamente, una contraddizione
che si potrebbe definire “ciclica”: da un papato, come quello di
Benedetto XVI
che ben si può definire, sul piano strettamente religioso (semplificando molto,
in verità), come
“integralista” emerge una angolazione sui problemi dell'economia,
del lavoro, della convivenza sociale di apertura intellettuale e di analisi
complessiva, (c'è chi, nei commenti, colloca il testo di questa “Caritas
in Veritate” sul solco della montiniana “Populorum
progressio”): una presunta contraddizione che era emersa anche
oltre un secolo fa, nel
1891,
quando
Leone XIII,
il papa che aveva assunto (per la prima volta nella storia) la filosofia
tomistica come filosofia ufficiale della Chiesa cattolica, emanò l'enciclica “Rerum
Novarum”, che rappresentò la base su cui elaborare una vera e
propria dottrina sociale, sulla cui base costruirono i propri presupposti
teorici le future forze politiche di ispirazione cattolica che stavano per
scendere in campo, nella vita politica dell'Europa, per contrastare, proprio sul
terreno del confronto di massa, i partiti socialisti che, in quel momento
stavano organizzandosi, per reclamare, oltre a diverse condizioni materiali di
vita, anche un mutamento radicale nella concezione della vita politica e
istituzionale dei diversi paesi, con l'estensione, graduale e contrastata, del
suffragio universale.
Oggi “mutatis
mutandis” la Chiesa Cattolica si trova di fronte ad un problema, per
certi versi analogo: in un clima complessivo di secolarizzazione che ha
contrassegnato l'avanzata tecnologica delle seconda metà del '900
la crisi, prima finanziaria poi economica globale, ha posto in evidenza
l'impossibilità di procedere con il liberismo
reaganian-tachteriano che ha caratterizzato l'ultimo ventennio;
si affermano nuove grandi nazioni formidabili sul piano economico e poste assai
contraddittoriamente sul piano politico (dittature centralizzate, democrazie
“aperte”, ecc) mentre crescono le diseguaglianze di fondo, a livello di
continenti.
La
Chiesa Cattolica,
o meglio l'enciclica papale, non recita sicuramente il “de profundis” del
capitalismo e, sicuramente, non ne progetta il superamento, pur ponendo al
centro il tema del lavoro
(distinguendo molto bene da una qualsiasi idea di recupero della contraddizione
di classe).
Sicuramente, nel testo papale, ci si misura con l'ipotesi
di tracciare la strada per una “torsione” verso il bene comune ancorato
saldamente ad un'etica della responsabilità e della giustizia sociale, in un
contesto complessivo (e qui la contraddizione che si segnalava poc'anzi, stride
molto meno ed il solco appare davvero essere quello di
Leone XIII)
di “adesione
ai valori del cristianesimo, quale elemento indispensabile per la costruzione di
una buona società e di un vero sviluppo umano integrale”.
Il punto più importante che l'enciclica affronta è quello
di un “nuovo
governo mondiale”, fondato su di una sorta di ideale “socialismo
cristiano”: un'utopia, un sogno, oppure un modo per dirottare
forze capaci di raccogliere le tensioni, liberate dalla crisi delle grandi
ideologie, e ricondurle dentro il recinto del magistero universale della Chiesa?
La risposta a questi interrogativi, dato e non concesso
che questi siano posti correttamente, non è semplice: ma si tratta, comunque, di
un terreno di sfida per chi pensa di andare avanti nell'idea di una radicale
trasformazione degli equilibri sociali e politici, partendo da una visione
dell'economia e dello sviluppo sulla base dell'intervento collettivo,
dell'equilibrio, di nuove relazioni tra gli Stati, di diverse aggregazioni
geo-politiche a partire da quella europea.
Nel testo di “Caritas
in veritate” si fissano i paletti di una visione morale della
Chiesa nella fase del “post
– liberismo” e della crisi della globalizzazione, reclamando per
la religione uno “spazio pubblico”, reclamando il rapporto tra la scienza e la
metafisica, la protezione della vita, il dialogo tra politica e teologia.
Una proposta insidiosa per quanti intendono reclamare la
laicità del governo dello sviluppo, la democrazia quale fattore di eguaglianza e
di affrontamento concreto delle contraddizioni sociali e, necessariamente, si
trovano nella condizione di esercitare una pratica “dialogante”.
Abbiamo bisogno, assoluto, di un utilizzo diverso delle
fonti energetiche, di uno sviluppo della tecnica quale fattore di miglioramento
progressivo della condizione umana, di un primato dell'etica laica rispetto alle
grandi questioni economiche.
Non c'è oscurantismo nelle parole dell'enciclica, anzi
emerge una sorprendente modernità: proprio per questo, però, dal nostro punto di
vista risalta l'esigenza di un ritorno all'illuminismo, al protagonismo della
politica, alla funzione dello Stato separato con grande precisione e grande
capacità di confronto culturale, da tensioni etiche che appartengono ad una
altra sfera.
Abbiamo bisogno di tornare al pieno esercizio di una
democrazia intesa in funzione di “liberazione
dei popoli”.
Savona, li 8 Luglio 2009
Franco Astengo