L'ex-presidente della Camera dei Deputati,
Fausto
Bertinotti, attraverso una intervista rilasciata a “La Stampa” ha lanciato la proposta di
una riunificazione partitica dell'opposizione di centro –
sinistra (da
Rifondazione Comunista fino al PD) presente in Italia, fuori
e dentro al Parlamento.
Inutile dire che le sue parole hanno
suscitato notevoli reazioni, animando il dibattito: un
dibattito, al riguardo del quale, crediamo valga la pena entrare
nel merito. |
L'agire politico procede
giorno per giorno, richiede rispetto immediate
ai più diversi livelli, reclama -comunque – il
riferirsi ad una prospettiva di medio – lungo
periodo e, soprattutto, non consente di lasciare
vuoti, che immediatamente sono riempiti. Nella fattispecie , poi, non
vorremmo che si scambiasse la necessità di
cancellare le culture politiche di un intero
secolo (il tanto famigerato '900: lungo o
corto?) con il semplice fallimento della linea
politica contingente di un piccolo partito in
paese di secondaria importanza come l'Italia: un
piccolo partito dimostratosi incapace, sul piano
strategico, di coniugare un presunto
“movimentismo” con un realistico “governativismo”,
che lo ha portato ad allevare uno stuolo di
“piccoli presidenti e assessori che cresceranno”
e che adesso rappresentano, scissioni o non
scissioni, un ceto politico “pesante”, capace
soltanto di proporre “rinnovamenti e/o
arroccamenti” in funzione della conservazione
del posto. Detto questo per la
precisione e per puntualizzare al meglio
l'avvenire, sembra proprio il caso di affrontare
con il massimo della capacità di riflessione la
questione di fondo che viene posta: una
riunificazione partitica in funzione, appunto,
della costruzione di una nuova cultura politica
(o viceversa: una nuova cultura politica per la
costruzione di una riunificazione partitica?). I partiti, i grandi partiti
di massa nei punti”alti” dell'Occidente si
costruirono, all'epoca, attorno a “fratture
sociali” ben definite, mentre ad Oriente si
verificò invece una accelerazione attraverso un
inveramento statuale di fraintendimenti
dell'analisi marxiana sui quali non è possibile,
a questo punto, soffermarsi. Rimaniamo, allora, alle
“fratture sociali” attive, in allora, in
Occidente per chiederci: sono finite, hanno
esaurito la loro funzione, oppure sono ancor
attive e necessitano di una risposta sul piano
politico? Andiamo per ordine:
1)
La frattura centro –
periferia (alla quale andrebbe aggregata quella
città – campagna) appare quanto mai viva, non
soltanto nell'affermazione dei partiti
etnoregionalisti ed euroscettici, ma ben più
complessivamente, con l'intera periferia del
mondo che si muove verso il centro;
2)
La frattura capitale –
lavoro ha certamente mutato di segno, si sono
stratificati diversi livelli di sfruttamento
dell'uomo sull'uomo, stanno tornando di moda gli
“schiavi” sia nella società “affluenti” sia in
quelle povere ed i “liberti” partecipano e
concorrono a creare le condizioni di
sfruttamento, che permane, eccome se permane;
3)
La frattura Stato –
Chiesa: nel “caso italiano” non è mai stata così
operante, non è mai avvenuto che la Chiesa
(neppure ai tempi della DC, anzi De Gasperi
respinse assalti molto pesanti, fino al punto di
subire un ostracismo “personale” da parte del
Vaticano) sia stata così interferente nelle
questioni dello Stato italiano. Tutto ciò non
accade soltanto in Italia, pensiamo alla
situazione spagnola, dove lo scontro non è mai
stato così aspro.
Questa brevissima analisi,
se considerata veritiera, ci pare indichi la
necessità di aprire un dibattito sulla
prospettiva di un rinnovamento nelle forme
politiche della sinistra italiana che non sia
semplicemente frutto della pressione derivante
da episodiche sconfitte elettorali, ma partendo
da una condizione di realistica valutazione
della situazione sociale, in una dimensione non
provincialistica, e la conseguente elaborazione
di un quadro teorico – programmatico adeguato.
Non è finita qui: perché
se si vuole affrontare per intero questo
argomento vanno compiute delle scelte ben
precise anche sul terreno della struttura
politica (quale partito? Ha ancora un valore il
concetto di “integrazione di massa”? Oppure
bisogna rifugiarsi nell'americanizzazione
compiuta, nella “vocazione maggioritaria”, nel
“catch all party”? Come giudichiamo un
meccanismo dell'alternanza bipartitico, cosa ben
diversa, tra l'altro, dal bipolarismo?) e della
costruzione sistematica, a livello nazionale e
sovranazionale ( quali poteri da cedere, da
parte dello “Stato Nazione” alle evidente
ragioni della sovranazionalità, a partire dalla
dimensione europea? La Repubblica rimane fondata
sul Parlamento e sui consessi elettivi, a
livello locale,o lo logiche del maggioritario,
del presidenzialismo, dell'elezione diretta,
della personalizzazione ormai risultano essere
incontrastatamente egemoni?). Ho elencato soltanto alcune
delle domande possibili, ma si potrebbe
proseguire a lungo, soltanto allo scopo di
individuare il terreno e delimitare il perimetro
della discussione: non tanto e non solo rispetto
al tema dell'ampia riunificazione partitica
proposta nell'occasione, ma anche per quel che
riguarda anche altri livelli del dibattito che
sta attraversando, sinceramente ancora in una
maniera molto confusa, quel che rimane della
sinistra italiana.
Se, infine, si pensa che
siano, in gioco, nel breve periodo le sorti
dell'agibilità democratica in Italia, allora la
proposta potrebbe essere quella di formare un
“listone” elettorale dell'opposizione, per
cercare di battere, alle prossime elezioni
politiche, l'attuale maggioranza e,
successivamente, modificare la legge elettorale
in senso proporzionale “vero”, senza premi o
trucchi di sovrappresentazione di minoranze
(meccanismi che, la storia insegna, aprono la
strada ad avventure autoritarie), e confrontarsi
serenamente costruendo nuove, diverse,
antagoniste identità.
Savona,
12 Giugno 2009
Franco Astengo
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