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SCENDERE NEL FUTURO
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![]() Marco Giacinto Pellifroni |
C’erano una volta due continenti
divisi da un vasto oceano, che non aveva permesso che esigui
scambi materiali e umani tra le opposte sponde. Uno si chiamava
Futuria; l’altro Antiqua.
Futuria aveva sperimentato un tumultuoso
sviluppo industriale e tecnologico; uno sviluppo
in buona parte autogeno, con ridotti scambi
commerciali con l’estero, in quanto ricco di
materie prime. Negli ultimi tempi, però, i
giacimenti rendevano sempre meno e a crescenti
costi energetici e di manodopera, i cui
compensi, a seguito di agitazioni sindacali, si
adeguavano al continuo miglioramento del tenore
di vita, che però doveva fare i conti con un
degrado ambientale sempre meno tollerabile.
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I movimenti ambientalisti si
moltiplicavano ed erano riusciti ad ottenere
leggi severe contro l’inquinamento, aumentando
ulteriormente i costi di produzione delle merci,
anche superflue, cui nessuno intendeva più
rinunciare. Per giunta, il denaro circolante era
di proprietà di una Banca Centrale privata, che
assorbiva l’intero valore della produzione,
com’era ormai evidente dai pignoramenti dei beni
dei cittadini non più in grado di restituire i
finti prestiti che le banche ormai lesinavano,
per arginare le diffuse sofferenze. Antiqua era invece un
continente prevalentemente agricolo, dedito in
buona parte al baratto. Le campagne producevano
derrate alimentari in abbondanza e solo una
minima frazione della popolazione viveva nelle
città, di dimensioni a misura d’uomo, e non di
macchina come in Futuria. I rari viaggiatori
provenienti da quest’ultimo continente
raccontavano storie mirabolanti sulla loro
civiltà, lasciando a bocca aperta gli ingenui
agricoltori di Antiqua. Questi cominciarono a
premere sul governo -peraltro unico ente
autorizzato ad emettere il denaro corrispondente
ai modesti e reali scambi di merci e servizi-
affinché si “modernizzasse” e togliesse dalle
loro spalle il peso della fatica che la
coltivazione della terra e delle miniere
comportava. La richiesta di cambiamento era
diventata tale che il governo stava pensando ad
un abboccamento con la sua controparte in
Futuria al fine di trovare un accordo in grado
di soddisfare gli aneliti popolari. In questo clima due
delegazioni si incontrarono su un’isola neutrale
al centro dell’oceano, per tentare di addivenire
ad una soluzione che risolvesse i problemi delle
rispettive popolazioni.
Futuria propose di
trasferire le sue industrie a maggior impatto
ambientale, non più tollerate in patria, sul
suolo di Antiqua, trasferendovi una grossa fetta
della manodopera agricola a salari che
consentissero ai neo-operai un tenore di vita
non troppo diverso da quello delle campagne, con
la promessa però di futuri miglioramenti; forse,
chissà, pure un’automobile. Futuria aveva
imposto, per procedere alla delocalizzazione
delle proprie industrie e mantenere bassi i
costi di produzione, che esse fossero esenti da
vincoli ambientali e che si reprimesse sul
nascere, col pugno di ferro, il sorgere di
eventuali organizzazioni sindacali. Le materie
prime, ovviamente, dovevano essere reperite in
loco a prezzi irrisori, dovuti al fatto che non
ne era stata estratta che una minima parte.
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Ultima clausola: in compenso per questo “paradiso industriale”, Antiqua si impegnava a fabbricare in massima parte merci da esportare a Futuria; merci infatti non assorbili da un mercato locale che, abituato da secoli di duro lavoro agricolo a spendere il minimo indispensabile, era restio a lasciarsi lusingare da articoli non strettamente necessari. Futuria avrebbe pagato le merci in talleri, sua valuta imposta al resto del mondo con la forza delle armi, in quanto non garantita da alcun bene concreto e per giunta emessa da una conventicola di banchieri privati che, senza palesi colpi di stato, se n’erano con ciò impossessati. |
Questo fatto, pur basilare,
non fu tuttavia rivelato al governo di Antiqua
(come non era noto, d’altronde, agli stessi
cittadini di Futuria), che dava per scontato che
anche a Futuria vigesse l’ovvia condizione che
il denaro per il pubblico uso fosse pubblico e
regolato dallo Stato, e non da banche private. Affare fatto. Sulle prime
vissero tutti felici e contenti, come nelle
favole. Futuria era compiaciuta di aver promosso
un’orgia consumistica con valanghe di merci,
anche inutili, a prezzi stracciati, pagati con
valuta cartacea stampata a rotta di collo dalle
rotative private; per giunta, si erano potute
varare leggi antinquinamento sempre più rigide,
migliorando l’ambiente in patria (di pari passo
al peggioramento in Antiqua). L’unica cosa che
sembrava essersi messa di traverso era il numero
crescente di disoccupati e il calo dei salari,
con i sindacati privati di ogni forza
contrattuale, proprio per la rarefazione della
domanda di lavoro, dopo il trasferimento su
Antiqua di molte attività produttive (tranne
l’industria delle armi!). Anche sull’altro lato
dell’oceano, dopo i primi entusiasmi, gli ex
contadini cominciavano a tumultuare per il
progressivo crollo delle condizioni di lavoro e
di vita in quartieri suburbani degradati. Ma
anche lo stesso governo era ogni giorno più
inquieto per l’accumularsi del proprio credito
verso Futuria; un credito racchiuso in una
montagna di carta che diminuiva di valore quanto
più cresceva. A completare l’opera, la crescente
disoccupazione di Futuria e il conseguente minor
reddito medio faceva calare le esportazioni di
merci da Antiqua, che vide chiudere a ritmi
impensabili un gran numero di fabbriche e
piccole attività nate e cresciute all’ombra
delle grandi realizzazioni promosse da Futuria.
File di neo-operai dovettero gettare la tuta e
tornare ai propri campi, per trovarli spesso
inquinati dal disordine ecologico permesso dal
governo e/o privi di acqua, imbrigliata in
colossali dighe idro-elettriche o risucchiata
dai grandi agglomerati industriali e poi resa ai
corsi di origine altamente tossica. Stava
affondando il mito dell’agricoltura industriale,
che trascinava con sé anche quella tradizionale,
avvelenata dalle fabbriche deregolate. Lo Stato
si ritrovò con un pugno di mosche, essendosi
accorto troppo tardi che la superiorità del
creditore rispetto al debitore vale fino a una
certa soglia, oltre la quale le posizioni si
invertono e il credito non può essere riscosso
se non a costo di perdere tutto. Antiqua si
accorse di essersi legata a doppio filo a
Futuria, dopo averle sacrificato la propria
forza-lavoro e il proprio territorio. I corni
del dilemma erano ormai questi: rovesciare sul
mercato trilioni di talleri, causando la
bancarotta di Futuria, e la propria; ovvero
dimenticare i talleri e stampare la propria
moneta, già pubblica, in proporzione alla
produzione di beni, non più mirati
all’esportazione, ma al consumo interno. Tanto
meglio se sobrio: ne avrebbero guadagnato
l’ambiente, le campagne, i contadini di ritorno. Ma una grossa incognita
restava tuttora irrisolta oltre oceano: una
Futuria ormai povera di materie prime, piena di
disoccupati e con una valuta inaffidabile, non
avrebbe ceduto alla tentazione di aggredire
Antiqua per depredarla di ciò che le mancava,
puntando sulla propria superiorità tecnologica e
militare? I suoi banchieri privati, inoltre, non
potevano tollerare una situazione di
deprezzamento del denaro che producevano a costo
zero, né che ad Antiqua il denaro fosse emesso,
e quindi garantito, dallo Stato, in ragione
della ricchezza nazionale reale, svalutando per
confronto il tallero. Un esempio troppo
stridente e pericoloso. D’altronde, Futuria non
aveva sempre risolto con la minaccia o
addirittura l’impiego di portaerei e bombardieri
ogni sua decisione penalizzante per il resto del
mondo? Forse che qualcuno aveva osato fiatare
quando aveva imposto l’equivalenza del tallero
all’oro obbligando tutti a riferirsi al primo
come fosse oro colato in tutte le transazioni
internazionali? E qualcuno aveva mai sparato
anche un solo colpo quando, anni dopo, venuta
alla luce la scopertura aurea del tallero, aveva
ciononostante preteso che il primo mantenesse lo
status di valuta di riserva, e cioè che si
prestasse fede ad una ormai palese finzione?
Fuor di metafora, oggi
siamo a questo punto, con Cina-Antiqua il cui
yuan è emesso e garantito dallo Stato grazie al
lavoro di tutti, e quindi pubblico e libero da
interesse; e di converso con Futuria-USA vittima
di una cricca di banchieri privati, usurpatori
dello Stato americano tramite
Un ultimo punto: la moneta
unica globale è l’obiettivo ultimo dei banchieri
privati transnazionali, perlopiù giudaici, che
però ne vorrebbero regolare senza interferenze
esterne l’emissione attraverso l’IMF da loro
controllato, arrivando così di fatto al dominio
assoluto del mondo.
* Situazione pressoché
speculare a quella europea, dove domina Marco Giacinto Pellifroni
7 giugno 2009
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