Tabbò parla di <un’opera
essenziale per lo sviluppo economico della città>
Albenga: caro sindaco, tifare va bene
ma sul porticciolo illudere fa male
Cosa risponde ai
“tifosi” Giulia Maria Crespi (Fai). Si tace sul destino dell’agricoltura e sugli
incapaci da anni in sella, sulla distruzione di Bastia
di Luciano Corrado
![]() Antonello Tabbò |
Albenga
–
L’avvocato Antonello Tabbò,
tra i sindaci più apprezzati della Riviera, si è
lasciato andare – ha seguito un collaudato
copione – osannando la costruzione del nuovo
porticciolo turistico. Per precisare dalle
colonne de
Il Sole
24 Ore: <Si
tratta di un’opera essenziale per lo sviluppo
economico della città, confidiamo molto sulle
ricadute positive. L’economia di Albenga è in
crescita e in cerca di mondi nuovi: siamo bravi
in agricoltura, visto che ogni anno esportiamo
120-130 milioni di vasi di piante
aromatiche e fiori, nel terziario, nel
commercio, nel turismo. Il nuovo porto dovrà
garantirci ulteriori opportunità nel turismo
culturale, archeologico e dell’arte. Ma anche
nel settore della nautica, con l’indotto e
l’occupazione che saranno generati> (vedi….) |
Non è la
prima volta che Trucioli Savonesi ricorda il
parere di un personaggio a caratura nazionale,
Giulia
Maria Crespi, presidente del
Fai
(Fondo per l’ambiente italiano), già
proprietaria dell’editoriale
Corriere
della Sera. La
Crespi
ha più volte ribadito, riferendosi alla
costruzione a pioggia, alla frenesia di nuovi
porticcioli:
<La teoria
di chi sostiene che i porticcioli rilancino il
turismo di qualità,
messo in
crisi da cementizzazione e “seconde case”, a
suon di monolocali e bilocali, magari pagati a
peso d’oro, fuori da ogni logica di sana
economia, non è soltanto strumentale e
propagandistica; non
poggia su alcuna seria e documentata
ricerca di mercato. Se fosse cosi, cioè che
basta un porticciolo per creare nuovi posti di
lavoro ed un volano economico, in decine e
decine di località costiere non ci sarebbe mai
stata crisi, né ieri, né oggi. E’ un falso, a
volte pronunciato in buona fede, a volte una
mezza verità, a volte serve a coprire difficoltà
e vendere illusioni…>.
Nessuno
si è mai sognato nella redazione di Trucioli,
piccolo ed inascoltato blog, di sostenere che,
laddove non sia compromesso il litorale e
l’ecosistema marino, un porto
non
possa avere un ruolo socio-economico di rilievo.
Da qui a
sbandierare, come accade quasi sempre (senza
andare lontano, a
Borghetto, a Ceriale, ora
…) che il nuovo porto diventerà “volano
per l’economia di Albenga” è un vero e
proprio pesce d’aprile.
Se fosse
cosi, ci sarebbero banche, grandi e piccole, che
si disputano i finanziamenti per favorire la
costruzione di nuovi alberghi nelle città
“ricche” di porticcioli. Risulta invece, che
proprio le banche fanno a gara a finanziare un
altro genere di interventi edilizi. E che nei
casi in cui esiste la convenzione-obbligo di
costruire un albergo, garanzie e costi dei
finanziamenti sono assai poco incentivanti.
Cresce il rischio, aumentano tassi e garanzie
richieste.
Se poi
il sindaco
Antonello
Tabbò, gentiluomo, ha notizie diverse, lo
comunichi ai “media locali” collegati con
l’efficiente ufficio stampa del Comune. Magari
indicando costruttori e loro amici (ad Albenga
non mancano, neppure tra qualche personaggio
della politica) che stanno facendo a gara a
dotare la città di un vero albergo. Un
costruttore in effetti esiste, ha persino
assunto l’ex dirigente del settore urbanistico
di un importante Comune e risulta che gli
alberghi li acquisti in leasing.
Si potrebbe fare il passaparola.
L’ex
tecnico comunale potrebbe spiegarci come
affrontare i casi di quelle strutture che
“partono” come albergo tradizionale, i giornali
lanciano in ripetizione (a scadenze)
l’avvenimento, per finire sul carro dei rinvii,
della variante su variante, e ritrovarsi il
residence che funziona con due dipendenti e
neppure il portiere notturno (non obbligatorio).
O situazioni peggiori, da alberghi ad
appartamenti, una volta scaduto il vincolo. E
via alle inchieste, alle puntuali “prescrizioni”
del reato. Se il sindaco Antonello Tabbò ha notizie diverse, più confortanti, si faccia promotore, anche in quel di Albenga, di investimenti in attività alberghiere. Con gli stessi vincoli, ad esempio, messi in atto nella provincia di Bolzano. |
![]() Albenga - le torri |
E se gli
investitori non vogliono e non possono fare gli
albergatori, possono cedere l’azienda alla
stregua della maggioranza dei negozi.
Non molto tempo fa il
proprietario di un immobile fronte mare, in
Riviera, di fronte al dicktat del Comune: o
albergo o blocchiamo tutto, commentava: <Perché dovrei essere proprio io a far beneficenza,
mentre ci sono società che hanno comprato e
ristrutturato in seconde case alberghi, dopo
essere ricorsi a progettisti sindaci, avvocati
assessori, direttori dei lavori, commercialisti,
fornitori, artigiani “amici degli amici”…?.>
|
Ad
Albenga nel 1977 (guida della
Regione
Liguria) erano in attività 17 esercizi
alberghieri. Nella guida edita dalla Provincia
di Savona del 2009 sono rimasti nove. Con il più
confortevole “Ca
di Bertà” che di fatto si è ristretto a
“camera e colazione”. Non c’entra la morte del
proprietario (Delfino).
L’attività l’aveva già ridotta lui. E, forse non
tutti sanno che furono una serie di articoli
(anni novanta) del
Secolo
XIX ad indurre la Procura della Repubblica
ad aprire un’inchiesta. Al giornale era arrivata
una missiva, assai informata, dove diceva che in
quell’area, con diversi ruderi, stava sorgendo
un complesso edilizio, con il tacito consenso di
un sindaco e di un entourage. Niente albergo o
complesso ricettivo.
Fu il
Pm,
Emilio Gatti, ora a Genova in tribunale, a
disporre il sequestro dell’intera area, con
lavori in corso. Sequestrati gli atti della
relativa concessione edilizia, con il parere non
vincolante della commissione.
Delfino, gran lavoratore, ottimo commerciante di frutta e verdura, al Mercato di
Savona,
confidò al
Secolo
XIX che fu costretto
dall’inchiesta
a realizzare quel “gioiello” alberghiero,
ritenuto sprecato in quella realtà, parole di
Delfino. Da bravo
commerciante aveva capito che i soldi investiti
nell’albergo non avrebbero mai fruttato il
dovuto. E la stessa banca (a dimensione
nazionale) intervenne con l“ufficio studi” per
confermare che a fronte di un investimento di
alcuni miliardi (allora di lire) il ritorno
sarebbe stato e si rilevò minimo.
E senza
alberghi come si creano posti di lavoro annuali,
non precari? Turismo di qualità?
Non sono
negozietti gestiti rigorosamente in famiglia.
E
l’ultima grande “bugia” sono i dati statistici.
Ci si confronta, con alberghi pieni o vuoti,
dimenticando che il loro numero, negli anni si è
dimezzato nell’intera provincia. E' come se un
grande parcheggio fosse ridotto a metà, per poi
dire che i posti auto sono sempre occupati.
Certo un
porto, soprattutto nella fase iniziale, crea
lavoro. Nel tempo – caso
Andora
– mette in circuito attività, soprattutto
artigianali. Più problematico il discorso degli
esercizi commerciali.
Qualche
esempio pratico. In quello che era il porto di
Loano,
iniziato dal Comune (sindaco
Ciarlo)
e passato di mano (compreso il secondo
editore-magnate svizzero, ora deceduto,
Max Frey)
si sono insediati alcuni esercizi pubblici. Con
pochissime eccezioni (non è il caso di fare
nomi) è stato un susseguirsi di annunci sul
bollettino dei protesti, fallimenti, chiusure,
riaperture. Eppure gli affitti (trattandosi di
demanio) erano davvero irrisori, pesava il
cerino acceso dei costi d’acquisto e di
gestione. I mesi di “non lavoro”.
Un porto
turistico è soltanto una delle componenti del
mosaico economico, è indispensabile il contesto
urbano di accoglienza e di qualità. E’ possibile
in un agglomerato cementizio, schiacciato tra
collina e mare? Senza spazi e viabilità
adeguata?
Il
diportista appartiene ad uno strato sociale non
di massa. Ha le sue esigenze. Può scegliere le
distanze.
Lo
scorso anno c’è già stata ad Albenga la pubblica
presa di posizione di
Mario Saccone, imprenditore nel settore dei campeggi, con incarichi
a livello provinciale e regionale (presidente
Faita). Ha scongiurato, supplicato tutti, via giornali, a far presto
il porto per “rilanciare
Albenga”. Altrimenti la città, a suo
dire, muore.
Saccone è tra quelli che potrebbero dare il buon esempio.
Impegnare i soldi in un albergo. In quel di
Noli
(dove è previsto un approdo con Spotorno),
Saccone
aveva una proprietà, un panorama mozzafiato
sul mare. Non risulta
volesse realizzare un albergo al
“servizio” del futuro porticciolo di
Spotorno-Noli.
Anche
all’epoca altri predicavano l’urgenza e
l’utilità dell’approdo (finora bloccato dal
Via a
causa della posidonia, protetta con legge
Europea), ma li ritroviamo, in società ad hoc
che hanno “arricchito” di tante “casine” sul
mare e sulla prima collina la nostra Riviera. E’
necessario rivelare anche ruoli pubblici
ricoperti?
Albenga, per chi conosce la storia sociale, ha un grande patrimonio in costante
distruzione. Si chiama agricoltura. In mezzo
mondo, le multinazionali comprano aree,
investono in terreni agricoli, perché è
l’agricoltura l’”oro
del futuro”. La sopravvivenza
dell’umanità.
Da anni
chi ha portato al fallimento della politica
agricola savonese e della piana più estesa della
Liguria, blatera, occupa posizioni di potere,
nelle associazioni e nelle istituzioni locali.
Se fosse alla
Fiat,
alla
Pirelli, diciamo a caso, l’avrebbero
cacciati a pedate. Invece da 30 anni e oltre
(gli archivi dei giornali documentano)
continuano a “tenere lezioni” di agricoltura, di
rilancio, strategie innovative, di
associazionismo, riuscendo a farsi anche
eleggere da chi “si accontenta e gode”.
Il
percorso dell’agricoltura lo possono
testimoniare quanti nei campi ci vivono e ci
lavorano, spesso da una vita. I loro figli, i
loro nipoti.
Il
nostri “supertutori” sono stati cosi
“previdenti” che non hanno fatto barricate
quando si è abdicato a tutelare, per i binari a
monte, migliaia e migliaia di ettari di terreno
agricolo tra
Bastia e
Salea.
Se
qualcuno ha dubbi parli con
Mario
Anfossi che non risulta essere un
rivoluzionario comunista. Parli con
Ivo Valgiraldo per anni attivissimo presidente
Coldiretti di Ceriale che
ha anche avuto la fortuna (quale tecnico di
serre) di girare il mondo già negli anni
sessanta, di conoscere le realtà agricole, le
innovazioni del mercato.
Sempre a
Ceriale
risale al 12 aprile 1965: il commendator rag.
Carlo
Fizzotti, nella sua relazione di presidente
dell’Azienda di soggiorno, scriveva: <Va
bene il turismo, ma se le costruzioni
continueranno ad ingoiare le zone agricole, la
città sarà destinata a morire d’inedia, di
parassitismo>. E lo stesso concetto veniva
espresso per iscritto al sindaco dall’allora
segretario di sezione del partito socialista
italiano,
Carlo Camino (fu sindaco ed assessore
provinciale), il 30 settembre 1976 nell’ambito
delle osservazioni al piano regolatore generale.
Il
“sistema agricolo” della piana
non è
stato capace a fare sistema, neppure garantendo
la vendita dei prodotti, senza subire i
taglieggiamenti di intermediari e grossisti. Non
accade cosi, citiamo
Emilia
Romagna, la provincia di
Bolzano
(grazie ad efficienti cooperative).
Cosa
vogliono ancora dimostrare quei “signori” che da
anni dicono di rappresentare le categorie
agricole?
Piange
il cuore – direbbe lo storico-scrittore e
libraio
Gerry Delfino, libero testimone dei tempi –
pensare che l’agricoltura della piana si ridurrà
a fazzoletto.
Ceriale
è davanti agli occhi di tutti; le sue case
faranno unico muro con Albenga che dovrebbe
essere aiutata a
non
sciupare oltre (pur avendo creato ingenti
ricchezze con le costruzioni su aree agricole)
il suo “oro
perenne”: l’agricoltura dei nostri padri.
Luciano
Corrado
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