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SCINTILLE DI RIVOLTA

  Marco Giacinto Pellifroni

 

Marco Giacinto Pellifroni

L’altro ieri un gruppo di disoccupati, a volto coperto, ha fatto a Napoli un test di guerriglia urbana, incendiando un autobus e alcuni cassonetti, per poi fare irruzione e devastare una sede del PdL. Ha fatto su scala ridotta un gesto che in Francia e in Grecia si è di recente ripetuto a livello allargato contro un sistema che ha dissanguato i cittadini per salvare le banche, responsabili prime del disastro in corso da quasi 2 anni, a conclusione di un lungo processo di globalizzazione dei rischi e di privatizzazione e occultamento dei profitti.

Qualche mese fa una banca del savonese è stata rapinata da uomini incappucciati al grido di “le banche ci rapinano e noi le rapiniamo”.

Visto che l’informazione è nelle mani di chi ci governa, non è detto che episodi simili non vengano taciuti, onde evitarne il moltiplicarsi.

Viene tuttavia da chiedersi se, tra tante scintille isolate e tosto spente, non possa svilupparsene una che divampi e spinga all’emulazione una massa esasperata da una situazione in costante aggravamento.

Il nostro premier parla di malessere psicologico e incolpa i media, quasi fossero un corpo a lui estraneo, di propagare il pessimismo. Ergo, essendo solo una questione psicologica, non ha senso, secondo lui, attivarsi per alleviare le sofferenze di chi ha perso il posto di lavoro, la casa, o entrambi, ed è scivolato nella crescente categoria degli incapienti. Come vi sta scivolando buona parte delle piccole e medie imprese, alle quali né il governo né le banche hanno sinora dato il benché minimo aiuto. Solo proclami.

Lo scenario evoca quello di una nave in balia di una tempesta, mentre da terra, al sicuro, si incitano i naviganti a tener duro e a resistere. O quello dell’Italia del 1943, piegata dai bombardamenti, mentre il regime denunciava di disfattismo (quindi di un sentimento psicologico) chi chiedeva di eliminare la causa di tante disgrazie e firmare l’armistizio.

L’armistizio di oggi sarebbe la cessazione degli scandalosi privilegi concessi a una ristrettissima gerarchia di finanzieri di gestire i soldi pubblici, creandoli e prestandoceli a interesse attraverso uno Stato succube e connivente. Un armistizio che però nessuno ha il coraggio, o l’interesse, di chiedere, in quanto ciò metterebbe in piena luce la pluri-decennale sudditanza della classe politica agli interessi del grande capitale bancario, in cambio di una posizione economica così privilegiata da determinare ad ogni elezione una corsa affannata per ottenere o mantenere, senza esclusione di colpi, un “posto al sole”, dal parlamento all’ultimo seggio in consiglio comunale, con vantaggi sproporzionatamente maggiori via via che si sale la scala dal piccolo comune a Montecitorio, Palazzo Madama o, meglio ancora, ci si insedia su una poltrona da boiardo di stato: quelle da milioni di emolumenti e buonuscite, a prescindere dal risanamento o fallimento dell’azienda.

Vari commentatori internazionali prevedono che il restringersi della ricchezza verso il vertice della piramide dei redditi è l’ingrediente essenziale per l’innescarsi di fenomeni insurrezionali, che ovviamente i beneficiati dell’attuale sistema bollano con parole che riflettono il loro stato d’ansia: prime fra tutte il vocabolo terrorismo, nel senso che ne sono terrorizzati, ma si sforzano di rovesciare questo loro sentimento (psicologico!) sulla popolazione, continuando a parlare, in forma ossessiva, di sicurezza.

La sicurezza che loro preme di più è la propria: è quella di mantenere la posizione paradisiaca di esenzione dal bisogno, sogno ancestrale dell’umanità. Esemplare l’espressione di tranquilla paciosità che sempre aleggia sul volto del presidente del senato Schifani: uno di quelli che “ce l’hanno fatta”. Ed esemplare l’efficienza con cui hanno soffocato negli anni ’70 i movimenti eversivi che attentavano seriamente alla loro vita.  Non si contano le sigle dei servizi segreti fatti e disfatti dopo di allora e delle cose taciute ricorrendo al segreto di Stato (come negli USA, vedi l’articolo di Bob Chapman su questo stesso numero di Trucioli).

Il passaggio cruciale è quello dalla rivolta spontanea alla rivoluzione organizzata. Cruciale in quanto se, come nella maggior parte dei casi, la rivolta fallisce, lo Stato si sente autorizzato ad emanare provvedimenti sempre più restrittivi delle libertà individuali, col pretesto della sicurezza, trasformando i cittadini in sudditi guardati a vista. E non in senso metaforico: la vista è quella delle telecamere che stanno invadendo ogni angolo di vita collettiva e, c’è da aspettarsi, anche privata, proprio come in quei regimi totalitari tanto aborriti dai governanti che si dichiarano democratici e “libertari”.

Invito quanti vogliano entrare più in dettaglio nei meccanismi di condizionamento dei comportamenti di massa a leggere il libro “Le chiavi del potere” di Marco Della Luna. E, dello stesso autore, in collaborazione col neuropsichiatra Paolo Cioni, “Neuroschiavi”, in uscita presso la Macroedizioni. *

Berlusconi ha ragione: la psicologia determina i comportamenti e le azioni degli individui, e il morale è determinante nella loro riuscita. Il punto è che i moventi psicologici sono oggi studiati e utilizzati dal potere costituito per ammansire le masse, distogliendo il loro interesse dai problemi veri. Il gioco può riuscire, tuttavia, soltanto se non si intaccano le basi inviolabili della sussistenza, al di sotto delle quali gli specchietti per le allodole non incantano più, e i problemi vitali riemergono con intensificata virulenza. Le scintille allora si moltiplicano, e domare i vari focolai di incendio parlando di calcio e di veline non sarà più così facile.

 

* Vedi la copertina in allegato.

  

Marco Giacinto Pellifroni                                                             17 maggio 2009