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La vittoria dei perdenti

di Milena Debenedetti

 

Questa settimana, sgombrando il campo da telenovele sempre più nauseanti, anzi, dalle quali la nausea stessa prende le distanze nauseata, per le quali risulta un’infamia l’uso stesso della parola “moralità”, ho comunque un motivo di soddisfazione, per aver azzeccato le previsioni.

Abbiamo vinto. Il mio partito ha vinto le elezioni provinciali a Trento, staccando di un buon 10% il maggiore antagonista. Una vittoria netta e indiscutibile, anche se come al solito l’informazione ha sorvolato.  

Del resto, era stata una progressione inarrestabile: un 10% per volta in più, dalle politiche alle precedenti amministrative.

Un trend confermato e ribadito, anche se il risultato è appena meno clamoroso che in Abruzzo o Sardegna, dove ugualmente abbiamo vinto sfiorando addirittura  la maggioranza assoluta. Altro che Chavez. Altro che dati bulgari.

 Come dite? Vi vedo perplessi. Realtà alternativa? Ma no! I numeri parlano.

 Il PD? Ma quale PD! E chi parla di PD o PDL.

 Sto parlando del mio partito. Il PES, ricordate? L’avevo già citato: il Partito Elettori Smarriti. E’ in continua crescita,  è di gran lunga il più grande partito italiano, se fosse al governo potrebbe permettersi di legiferare senza ostacoli, ignorando qualsiasi opposizione, ancor più dell’attuale esecutivo.

Ma al governo non c’è, e non ci andrà mai, ovvio. Come si fa a fare un governo di astensionisti, ovvero, di coloro che per definizione si astengono dal decidere?

Eppure, ignorarli, anche se comodo (sono dispersi e non hanno voce) è alla lunga non soltanto sbagliato eticamente, ma pericolosissimo.

Perché dietro quei tanti  non voti, cui si aggiungono percentuali di coloro che votano per puro spirito democratico, ma con scarsissima convinzione e punto entusiasmo, più le schede nulle e bianche i cui dati sono avvolti in fitta nebbia…

Dietro quei voti, dicevo, si nascondono volti, persone, cervelli,  che si muovono e agiscono nella società, che hanno sogni, intenzioni e bisogni, che non possiamo permetterci di ignorare. E sono ormai indiscutibilmente la stragrande maggioranza del paese vero. Cui dobbiamo certo aggiungere, per completezza e obiettività, la percentuale tra il 60 e l’80 % degli entusiasti del premier, raggiungendo così dati che arrivano oltre il 150 %.

Ma va bene così, nel baratro di ignoranza in cui è precipitato questo paese la matematica può pure essere un’opinione. Ci sta.  

Allora, o ci arrendiamo definitivamente, o ammettiamo che questo paese somiglia sempre meno a una democrazia, con tutto quel che ne consegue (informazione controllata, repressione e negazione del dissenso, tv omologate eccetera), oppure dobbiamo ripartire proprio da quel dato.

E noi siamo ancora una democrazia, vero?

L’informazione è libera, anche se quei birbaccioni del Freedom House fondato da Eleanor Roosvelt ci collocano dalle parti di Tonga, ci danno dei semiliberi, ultimi in  Europa. Anche se il premier di un partito che strilla continuamente di contraddittorio e faziosità può disporre di trasmissione a comando sul principale canale, annullando un appuntamento al Quirinale per nominare dei nuovi ministri (bazzecole, tanto li aveva già in pectore ed è questo che conta), e liquidando il Capo dello Stato come una seccatura che può attendere, per raccontarci i fatti suoi con claque plaudente. Trasmissione con titolo involontariamente ironico “adesso parlo io”. E non fai già altro, a reti unificate, dalla mattina alla sera?

Scusate, ci sono cascata a nominare  ciò che non volevo nominare, ma ora mi ricompongo.

 Siamo ancora in democrazia. Non si manganella chi protesta o sciopera. Tutte le tv e i giornali hanno dato ampio risalto all’importante  premio ricevuto da Marco Travaglio in Germania per il contributo alla  libertà di informazione, per esempio. E sì che è un tipo scomodo, un peperino(...vedi)

  Le interviste a Beppe Grillo, gli spettacoli di Luttazzi, la satira più corrosiva alla Vauro imperversano indisturbati, quasi annoiano per il chiasso, tanto al confronto è discreto e modesto il mondo politico, in specie la maggioranza e il premier.

Le notizie dei cassintegrati, delle tante chiusure di fabbriche, vengono certo date per prime e con grande rilievo da tutti i notiziari. Ma che sciocca, forse non se ne sentono più perché la crisi sta passando. Dimenticavo.

 Allora, non volendo ammettere, non volendo sfiorare neppure come ipotesi che in questo paese la democrazia sia già archiviata come anticaglia, così come la festa della Liberazione, e che basti mettere la parola Libertà un po’ dappertutto per essere certi della medesima a dispetto di ogni evidenza, dobbiamo, democraticamente, ragionare sul perché e il percome dei tanti aderenti al PES.

Provare a capire, a immaginare le loro esigenze, il motivo dello scarso entusiasmo.

Perché ora come ora sono, come ho anticipato nel titolo, vincitori sul piano numerico, ma perdenti su tutti i fronti. E alla lunga i perdenti, se messi all’angolo con tutte le loro frustrazioni, possono diventare mine vaganti della società, sotto molti punti di vista. Non sempre sono silenziosi e rassegnati, apatici e distratti. Possono avere problemi così gravi da sfiorare il dramma. Magari economici. Possono accumulare rabbia e livore,  che poi si scatenano, alimentando pericolose derive emozionali, autoritarie o ribellistiche. Perturbando lo stesso tessuto sociale.

Ecco il senso dei mio definire pericoloso ignorarli. De resto, la nostra società è in quiete solo apparente. In torpore mediatico, in coma assistito.

  Dunque, ripartiamo da lì. Dal dato elettorale nel suo insieme, dalla possibile interpretazione, dal significato di astensione, dal perché queste persone hanno rinunciato a sentirsi rappresentate, dalle possibili ragioni condivisibili, da quanto arricchirebbe la società italiana e il progetto di futuro poter ricominciare a tenerne conto.

Perché al momento tutto, ma proprio tutto va in direzione opposta.

Alla prossima ne riparlo.

 Milena Debenedetti