![]() versione stampabile 12 MILIARDI PER L’ABRUZZO
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Questa la cifra preventivata dal ministro
dell’interno Maroni. Il governo è già al lavoro per trovare il modo di
far pagare questa cifra agli italiani, magari con un’una tantum sulla
benzina, destinata, come le precedenti di origine simile, a durare ben oltre
l’emergenza. Le occasioni che fanno leva sul senso di solidarietà sono le
più adatte a farsi perdonare nuove tasse, per poi dimenticarsi di toglierle. Io vorrei invece formulare una proposta, che immagino sarà scartata da una classe politica tesa a proteggere quei poteri che le hanno consentito di crogiolarsi nel bengodi cui è riuscita ad arrivare e che non conosce periodi di crisi, indenne da qualsiasi tempesta economica si abbatta sul Paese |
Dunque, dodici miliardi in preventivo per
far tornare L’Aquila ed altri 48 comuni dov’erano e com’erano. Come farà
lo Stato a disporne? O tassandoci, sottraendo risorse di spesa a noi
cittadini, come ho sopra accennato, o chiedendo un prestito, creando
quindi inflazione. A chi? Alla sua solita fonte: Questo meccanismo si chiama interesse composto, ed è
precisamente quello che rende nel tempo gli Stati perenni pedine nelle
mani dei banchieri; i quali, se una volta avevano perlomeno il
corrispettivo in oro di ciò che prestavano, dal 1971, anno in cui il
dollaro ha sostituito l’oro, non prestano altro che banconote: carta
straccia, che lo Stato paga invece col frutto del lavoro dei cittadini,
che hanno votato e continuano a votare gli stessi governanti che hanno
permesso e permettono questo enorme raggiro. Che impoverisce chi li vota
e ingrassa i banchieri, nonché gli eletti al loro servizio. Ma torniamo al caso Abruzzo. La proposta che qui
avanzo, certo indecente per i banchieri, richiede che lo Stato osi
mostrare le palle e stampi 12 miliardi, denominandoli come gli pare, che
so, talleri, lire, persino euro (ma equiparati a quelli metallici, che è
già “autorizzato” a coniare). L’importante è che non ci imprima sopra né
BCE né Banca d’Italia: perché se no dovrebbe, oltre che restituirli a
questi grassi signori privati, pagarci pure gli interessi, fissati a
loro discrezione. E ci aggiunga pure, sullo stile degli assegni, “la
presente banconota può circolare soltanto in Italia”. Faccia insomma come quando, scomparse dalla circolazione le 500 lire d’argento, stampò il loro equivalente in carta, con su scritto REPUBBLICA ITALIANA, anziché, appunto, Banca d’Italia. Niente banche private, centrale o commerciali, di mezzo: lo Stato non ha bisogno di loro, e userà questi soldi per pagare, in contanti, tutti i fornitori di materiali e d’opera per il ripristino delle città abruzzesi. Fornitori prioritariamente italiani, in quanto la moneta in predicato NON sarebbe convertibile in altre valute, avendo solo validità interna; quindi, niente fuga di capitali all’estero, e tanto meno nei paradisi fiscali (proprio come la moneta metallica). Con tanti saluti alla tracciabilità, tanto cara a Prodi, Visco e Padoa-Schioppa, dimostratasi inutile per combattere i fenomeni di riciclaggio, che dispongono di canali riservati, ad hoc. |
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Quando gli americani sbarcarono in Sicilia nel 1943,
immisero nel nostro circuito monetario le cosiddette AM-lire, stampate negli
USA, e quindi non corrispondenti ad una equipollente creazione di ricchezza
nazionale: fecero cioè pagare agli italiani buona parte delle spese militari
sostenute per la loro campagna militare nel nostro Paese. Data la
provenienza estranea delle AM-lire, il loro effetto fu puramente
inflazionistico, né più né meno del denaro falso, poiché ad esse non
corrispondeva un’equivalente creazione di ricchezza. Nel caso dell’Abruzzo, invece, i soldi immessi
darebbero lavoro a imprese perlopiù italiane per la creazione di beni di
pari valore, concorrenti all’aumento del PIL, senza la corrispondente
emissione di nuovi Buoni del Tesoro, più gli interessi, da cedere alla
solita BCE.
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Le guerre corrispondono a
terremoti provocati e la successiva ricostruzione di ciò che si è distrutto ha
sempre avuto l’effetto di un doping, in quanto gravato da interessi e, nel caso
delle nazioni soccombenti, della rifusione dei danni provocati. Fu esattamente
così dopo
Tornando al caso nostro, lo Stato italiano non farebbe che
ripetere i gesti più coraggiosi, sotto il profilo monetario, che siano mai stati
tentati: da Lincoln prima e da John F. Kennedy cent’anni dopo, con la stampa di
banconote, non più da banche private, ma dallo Stato, esenti da interessi, ossia
da quel morbo che anno dopo anno ci rende tutti debitori di una ristretta
oligarchia di parassiti privati, la cui spietatezza nell’esigere quanto
asseritamente dovutole non conosce limiti. Noi ne abbiamo avuto un primo test
nel 1992; e lo stanno subendo ancor più drammaticamente in questi mesi nazioni
strozzate dai creditori bancari: Islanda, Latvia, Ungheria, per citare solo i
più esposti.
Per osare un simile gesto di insubordinazione al “consenso di
Washington” e di Francoforte (sede della BCE), lo so bene, ci vorrebbe una
rivoluzione, probabilmente cruenta, in quanto la lobby del denaro non
assisterebbe inerte alla perdita dell’ormai plurisecolare facoltà di fare pasti
gratis. E il nostro Parlamento non ardirà mai fare quanto qui proposto, anche se
sarebbe davvero nell’interesse degli italiani; un interesse che per i suoi
membri è solo un ritornello ripetuto ogni sera a chiusura delle rituali
interviste ai TG.
Alle rivoluzioni in salsa
italiana non credo ormai più; ma almeno
Come sempre, chi vorrebbe cambiare le cose non ne ha i mezzi;
e chi li ha, si guarda bene dall’agitare le placide acque in cui vive così bene,
a carico della collettività. Morale: i 12 miliardi saranno ancora presi a
prestito dalla BCE, con tanto di cresta, andando a ingrossare il debito infinito
di tutti. Ovvero dalle tasse, aggiungendo altra zavorra ad un’economia già in
profondo affanno, con PIL in picchiata e deficit, di riflesso, in decisa salita.
Marco Giacinto Pellifroni 19 aprile 2009