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12 MILIARDI PER L’ABRUZZO

  Marco Giacinto Pellifroni

 

Marco Giacinto Pellifroni

Questa la cifra preventivata dal ministro dell’interno Maroni.

Il governo è già al lavoro per trovare il modo di far pagare questa cifra agli italiani, magari con un’una tantum sulla benzina, destinata, come le precedenti di origine simile, a durare ben oltre l’emergenza. Le occasioni che fanno leva sul senso di solidarietà sono le più adatte a farsi perdonare nuove tasse, per poi dimenticarsi di toglierle.

Io vorrei invece formulare una proposta, che immagino sarà scartata da una classe politica tesa a proteggere quei poteri che le hanno consentito di crogiolarsi nel bengodi cui è riuscita ad arrivare e che non conosce periodi di crisi, indenne da qualsiasi tempesta economica si abbatta sul Paese

Dunque, dodici miliardi in preventivo per far tornare L’Aquila ed altri 48 comuni dov’erano e com’erano. Come farà lo Stato a disporne? O tassandoci, sottraendo risorse di spesa a noi cittadini, come ho sopra accennato, o chiedendo un prestito, creando quindi inflazione. A chi? Alla sua solita fonte: la Banca Centrale Europea. È così che lo Stato italiano, come tutti gli altri, del resto, finanzia le sue spese. Siccome i reggitori dello Stato si sono riconosciuti incapaci, alla pari di minorenni o interdetti, di gestire i suoi bilanci, essi hanno volontariamente affidato a un Ente Superiore e transnazionale, la suddetta BCE, il compito di stampare il denaro necessario alla spesa pubblica, dandole in cambio Titoli del Tesoro. Più un congruo interesse. E poiché tale interesse esorbita dall’importo prestato, viene di anno in anno compensato con l’emissione di equipollenti Titoli del Tesoro, sempre gravati di interesse.

Questo meccanismo si chiama interesse composto, ed è precisamente quello che rende nel tempo gli Stati perenni pedine nelle mani dei banchieri; i quali, se una volta avevano perlomeno il corrispettivo in oro di ciò che prestavano, dal 1971, anno in cui il dollaro ha sostituito l’oro, non prestano altro che banconote: carta straccia, che lo Stato paga invece col frutto del lavoro dei cittadini, che hanno votato e continuano a votare gli stessi governanti che hanno permesso e permettono questo enorme raggiro. Che impoverisce chi li vota e ingrassa i banchieri, nonché gli eletti al loro servizio.

Ma torniamo al caso Abruzzo. La proposta che qui avanzo, certo indecente per i banchieri, richiede che lo Stato osi mostrare le palle e stampi 12 miliardi, denominandoli come gli pare, che so, talleri, lire, persino euro (ma equiparati a quelli metallici, che è già “autorizzato” a coniare). L’importante è che non ci imprima sopra né BCE né Banca d’Italia: perché se no dovrebbe, oltre che restituirli a questi grassi signori privati, pagarci pure gli interessi, fissati a loro discrezione. E ci aggiunga pure, sullo stile degli assegni, “la presente banconota può circolare soltanto in Italia”.

Faccia insomma come quando, scomparse dalla circolazione le 500 lire d’argento, stampò il loro equivalente in carta, con su scritto REPUBBLICA ITALIANA, anziché, appunto, Banca d’Italia. Niente banche private, centrale o commerciali, di mezzo: lo Stato non ha bisogno di loro, e userà questi soldi per pagare, in contanti, tutti i fornitori di materiali e d’opera per il ripristino delle città abruzzesi. Fornitori prioritariamente italiani, in quanto la moneta in predicato NON sarebbe convertibile in altre valute, avendo solo validità interna; quindi, niente fuga di capitali all’estero, e tanto meno nei paradisi fiscali (proprio come la moneta metallica). Con tanti saluti alla tracciabilità, tanto cara a Prodi, Visco e Padoa-Schioppa, dimostratasi inutile per combattere i fenomeni di riciclaggio, che dispongono di canali riservati, ad hoc.  

Quando gli americani sbarcarono in Sicilia nel 1943, immisero nel nostro circuito monetario le cosiddette AM-lire, stampate negli USA, e quindi non corrispondenti ad una equipollente creazione di ricchezza nazionale: fecero cioè pagare agli italiani buona parte delle spese militari sostenute per la loro campagna militare nel nostro Paese. Data la provenienza estranea delle AM-lire, il loro effetto fu puramente inflazionistico, né più né meno del denaro falso, poiché ad esse non corrispondeva un’equivalente creazione di ricchezza.

Nel caso dell’Abruzzo, invece, i soldi immessi darebbero lavoro a imprese perlopiù italiane per la creazione di beni di pari valore, concorrenti all’aumento del PIL, senza la corrispondente emissione di nuovi Buoni del Tesoro, più gli interessi, da cedere alla solita BCE.

D’altronde, la storia insegna che questa è la stessa logica che spinge le economie languenti a ricorrere cinicamente alla guerra per distruggere prima e ricostruire poi, e ridare fiato all’apparato produttivo. La differenza, nel caso Abruzzo e consimili, è che l’evento terremoto non è, ovviamente, volontario.

Le guerre corrispondono a terremoti provocati e la successiva ricostruzione di ciò che si è distrutto ha sempre avuto l’effetto di un doping, in quanto gravato da interessi e, nel caso delle nazioni soccombenti, della rifusione dei danni provocati. Fu esattamente così dopo la Grande Guerra, con la Germania soffocata dai diktat delle nazioni vincenti e creditrici, USA in testa, che concorsero all’avvio della Grande Depressione. La Seconda Guerra Mondiale inaugurò uno scenario alquanto diverso, che portò la prima nazione creditrice del mondo, ancora gli USA, a diventarne la più grande debitrice; e ultimamente anche il maggior virus finanziario dell’economia globale.

Tornando al caso nostro, lo Stato italiano non farebbe che ripetere i gesti più coraggiosi, sotto il profilo monetario, che siano mai stati tentati: da Lincoln prima e da John F. Kennedy cent’anni dopo, con la stampa di banconote, non più da banche private, ma dallo Stato, esenti da interessi, ossia da quel morbo che anno dopo anno ci rende tutti debitori di una ristretta oligarchia di parassiti privati, la cui spietatezza nell’esigere quanto asseritamente dovutole non conosce limiti. Noi ne abbiamo avuto un primo test nel 1992; e lo stanno subendo ancor più drammaticamente in questi mesi nazioni strozzate dai creditori bancari: Islanda, Latvia, Ungheria, per citare solo i più esposti.

Per osare un simile gesto di insubordinazione al “consenso di Washington” e di Francoforte (sede della BCE), lo so bene, ci vorrebbe una rivoluzione, probabilmente cruenta, in quanto la lobby del denaro non assisterebbe inerte alla perdita dell’ormai plurisecolare facoltà di fare pasti gratis. E il nostro Parlamento non ardirà mai fare quanto qui proposto, anche se sarebbe davvero nell’interesse degli italiani; un interesse che per i suoi membri è solo un ritornello ripetuto ogni sera a chiusura delle rituali interviste ai TG.

Alle rivoluzioni in salsa italiana non credo ormai più; ma almeno la Lega, composta di uomini che “ce l’anno duro”, lo dimostrino non solo per far saltare l’election day (che pure sarebbe stato davvero nell’interesse degli italiani). S’impuntino con altrettanta grinta per far stampare soldi italiani per l’Abruzzo. O “Roma ladrona” è solo un ricordo, e ora si sono tutti “afflosciati”?

Come sempre, chi vorrebbe cambiare le cose non ne ha i mezzi; e chi li ha, si guarda bene dall’agitare le placide acque in cui vive così bene, a carico della collettività. Morale: i 12 miliardi saranno ancora presi a prestito dalla BCE, con tanto di cresta, andando a ingrossare il debito infinito di tutti. Ovvero dalle tasse, aggiungendo altra zavorra ad un’economia già in profondo affanno, con PIL in picchiata e deficit, di riflesso, in decisa salita.

  

Marco Giacinto Pellifroni                                                   19 aprile 200