Come sono lontani dalla verità gli slogan politici
IL SECOLOXIX
Pierfranco Pellizzetti
Davvero "Tutto e tutti hanno un prezzo"? Continuo a rimuginare la sconfortante sentenza che mi ha appena scandito al telefono un amico con cui sovente discuto di politica. Difficile smentirlo, basti pensare alla fondazione del Popolo della Libertà assemblato acquistando all'incanto interi pezzi di classe politica. Operazione resa possibile dal fatto che troppi ormai avevano il cartellino del prezzo attaccato al bavero in attesa del migliore offerente. Anche se - va detto - non tutti si sono piegati all'andazzo. Soltanto pazzi melanconici o aspiranti leader, riottosi quanto isolati? Resta il fatto che da troppo tempo vige una sorta di monetizzazione della vita pubblica che ormai non si può neppure definire "deriva plutocratica" o "imprenditorializzazione della politica". È qualcosa di molto più inquietante: potremmo dire, l'imporsi dell'incontenibile, singola, volontà di un mega proprietario che dilaga annichilendo quanto le ruota attorno. La mentalità di un intero ceto dirigente e le regole vigenti ne vengono travolte, rimaneggiate all'insegna del tornaconto materiale eletto a criterio esclusivo: tanto nell'azienda-partito che domina il mercato, governata con piglio vetero-padronale da Silvio Berlusconi, come nella società a responsabilità limitata, nata dal merger tra ex comunisti ed ex democristiani, alla ricerca di sopravvivenza purchessia nell'oligopolio; da una comunicazione ridotta a produzione di slogan spudoratamente scissi dal verosimile ai percorsi biografici di quanti si consacrano al solo tirare a campare. Da comparse.
Prima vittima di tale mutazione (che a nessuno dei beneficiati conviene esplicitare) è l'anacronistico assunto "politica uguale verità", azzerato a difesa dell'andazzo. Sicché ormai ogni presa di posizione viene misurata sul metro bipartisan della pura e semplice convenienza. Con effetti a dir poco estranianti per l'uditorio.
Chi scrive non ha niente di personale contro il governatore della Regione Liguria, che neppure conosce. Fatto sta che Claudio Burlando ha fornito in questi ultimi tempi reiterate e preoccupanti prove di siffatta scissione comunicativa. Ci viene a spiegare che in quel di Morego sta prendendo corpo la nuova politica industriale hi-tech ligure e in contemporanea gli si dimette il direttore del Centro regionale preposto, denunciando l'impossibilità di operare. Fa autocritica? Neanche per sogno: ritorna nell'abituale penombra in attesa che ce ne si dimentichi. Piazza un fedelissimo ai vertici della Finanziaria Ligure assicurando mirabilie nel marketing territoriale che nessuno vede. Ipotizzo sul Secolo XIX quella che potrebbe essere la sua personale strategia di sopravvivenza ai vertici di via Fieschi e lui risponde che non mi è consentito ipotizzare. Ma che altro potrebbe fare un osservatore della politica locale se non formulare ipotesi, a fronte di una neolingua orwelliana che prende in giro la verità? Per cui si garantisce che la sanitàè risanata e sotto controllo mentre avanza lo sfascio. Per cui si assicura che la Cornigliano sottratta al controllo del siderurgico Riva verrà restituita alla città quando la si concede graziosamente a chi potrà accatastarvi container. Per cui si arriva a negare sponsorizzazioni che sono di pubblico dominio.
Manifestazioni di impudenza? Forse soltanto danni collaterali del cortocircuito di verità diventato estraneazione dal mondo; la fuga in una dimensione onirica dove sognare di proprie rielezioni. Ma anche scissione dal buon senso. Per cui Burlando può magnificare sul Secolo XIX la propria campagna elettorale rivelando che è in atto da tempo: un autogol, dato che lui non è un candidato alla Regione, ne è il presidente. E decenza minima imporrebbe di comportarsi come tale.
Pierfranco Pellizzetti (pellizzetti@ fastwebnet.it) è opinionista di Micromega.